Foglio Volante n°7 Anno XXXI Luglio 2016
Fonetismo ed esperanto
Spesso a noi italiani, parlando con gli stranieri, capita di dire – nell’intento di elogiare la nostra lingua – che l’italiano come si scrive cosí si legge. Sarebbe meglio se parlassimo dell’eufonia dell’italiano, se dicessimo che è una lingua eufonica, bella, tra le piú belle, se non la piú bella del mondo. Soprattutto per la fonetica, con un giusto equilibrio tra vocali e consonanti. E poi l’italiano ha un retroterra culturale che altre lingue non possono vantare. A partire dal latino, di cui la lingua italiana è figlia, lungo la storia di una dozzina di secoli da quel Sao ka kelle terre del X secolo, attraverso il volgare della Divina Commedia, e poi le opere letterarie di Petrarca, Ariosto, Tasso, Alfieri, Foscolo, Leopardi, Manzoni e le altre centinaia e centinaia di autori che hanno lasciato opere memorabili nella storia della letteratura universale.
Dire che una lingua come si scrive cosí si legge (o viceversa) è come dire che una lingua è fonetica, vale a dire che a ogni fonema (suono semplice) corrisponde un grafema (segno grafico) e viceversa: “casa”, quattro fonemi, due suoni vocalici e due consonantici, quattro grafemi; “libro”, cinque fonemi, cinque grafemi. In questo senso l’italiano è molto piú vicino al fonetismo di quanto lo siano altre lingue. In francese, si scrive “eau” (tre grafemi), si legge “o” (un fonema); in tedesco, si scrive “deutsche” (otto grafemi), si legge “doic’” (quattro fonemi); in inglese si scrive “food” (quattro grafemi) e si legge “fud” (tre fonemi); viceversa, si scrive “I” (un grafema) e si legge “ai” (due fonemi). E si potrebbe continuare all’infinito.
Ma anche nella fonetica italiana ci sono molte irregolarità. Solo qualche esempio: c’è un grafema a cui non corrisponde alcun fonema (la H); ci sono grafemi a cui corrispondono fonemi diversi (C e G, che possono essere palatali, come in “cena”, “gente” e gutturali, come in “cane”, “gatto”); c’è un fonema che può essere rappresentato da quattro grafemi diversi: C(h), K, Q e un pezzo di X; c’è un grafema (X) a cui corrispondono due fonemi (KS); ci sono fonemi come “gl” di “aglio” e “gn” di “gnocco”, rappresentati da due grafemi (digramma) e cosí via.
La nostra grammatica non è particolarmente facile, ma è anzi piuttosto complessa. In particolare per i verbi. Proviamo a esaminarli: esistono i tempi presente, imperfetto, passato remoto, futuro semplice, passato prossimo, trapassato prossimo e futuro anteriore, per l’indicativo; poi c’è il modo congiuntivo con quattro tempi, il condizionale con due. Per ogni tempo ci sono sei desinenze, una per ogni persona (prima, seconda e terza, singolare e plurale), e poi l’imperativo, il gerundio, l’infinito, il participio. Se proviamo a calcolare il numero delle desinenze, ne possiamo contare non meno di una ottantina, che dobbiamo moltiplicare per tre, ovvero per le tre coniugazioni -are, -ere, -ire, e che diventano quindi qualcosa come duecentocinquanta. E quando abbiamo imparato tutte le desinenze, ci accorgiamo che ne abbiamo imparato solo una parte, perché gran parte dei nostri verbi è irregolare: “andare”, non fa “io ando, tu andi, egli anda”, ma “io vado, tu vai, egli va”, dove è addirittura la radice a cambiare; il verbo “avere” non fa “io avo, tu avi, egli ava”, ma “io ho, tu hai, egli ha”; il verbo “essere”, non fa “io esso, tu essi, egli essa”, ma “io sono, tu sei, egli è”; il presente del verbo “morire” non è “io moro”, ma “io muoio”; del verbo “finire” non è “io fino”, ma “io finisco”; dal verbo “dire”, abbiamo “dico”; da “fare”, “faccio”; da “dovere” abbiamo “io devo, noi dobbiamo”; il participio passato di “esigere” è “esatto” e non “esigiuto”; il participio passato di “espellere” è “espulso”; il participio passato di “dirimere” non esiste; eccetera eccetera. Verbi perfettamente regolari in italiano non sono che una minoranza.
Ma in tutte le lingue esistono eccezioni e controeccesioni, casi e sottocasi e nessuna lingua è rigorosamente fonetica. Tutte le lingue eccetto una: l’esperanto. L’esperanto è rigorosamente fonetico: a ogni fonema corrisponde sempre un grafema e viceversa. E non esistono eccezioni. La grammatica si compone di sedici sole regole, senza alcuna eccezione. Le desinenze verbali sono in tutto sei: -as (presente), -is (passato), -os (futuro), -us (condizionale), -u (imperativo), -i (infinito). Ecco un esempio: diri (dire), diras (presente indicativo, per tutte le persone: dico, dici, dice, diciamo, dite, dicono), diris (passato: dicevo, dissi, ho detto), diros (dirò, dirai, ecc.), dirus (direi, diresti, ecc.), diru (imperativo: di’, dite).
Provare per credere, mettendo da parte i pregiudizi.
Amerigo Iannacone
Ritratto
Garza di nebbia
avvolge il mio pensiero,
un accenno d’ala
nel canto d’uccello,
che si erge e rifluisce
tra gli argini placidi
nell’incontro segreto d’altro mondo.
C’è il ricordo di uno scorrere
che va sotto arcate d’acqua,
con onde lievi nell’ora
che narra la storia di una vita,
e poi sarà quel che sarà.
Adriana Mondo
Reano (Torino)