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  • Titolo
  • Versi al succo di limone
  • Autore
  • Carmine Brancaccio
  • Collana
  • L'albatro
  • Pagine
  • 128
  • Anno
  • 2014
  • Prezzo
  • € 12,00


Prefazione alla prima edizione

Un’antologia è per definizione qualcosa di arbitrario. Lo è ancora di piú per un autore che è giovane come Carmine Brancaccio e la cui scrittura – diciamolo pure – è spesso piuttosto impermeabile. Non starò quindi a dire che la scelta di pubblicare alcuni testi anziché altri è soggettiva e se l’avesse fatta un altro sarebbe stata diversa: è scontato.
I criteri da seguire per una scelta antologica possono es-sere vari: optare per i testi piú emblematici, per quelli piú riusciti, per quelli che piú rientrano in una certa area tematica o in un certo stile, ecc. Io ho seguito il criterio piú banale, ma diciamo pure piú immediato. Ho riletto tutta l’opera di Carmine Brancaccio e ho preso quei testi che mi sono sem-brati di piú facile lettura e che ho sentito a me piú congeniali e ho voluto inserire gli ultimi due libri – che possono essere considerati dei poemetti – per intero, sia pure eliminando le sezioni e le parti in prosa.
Il titolo è venuto fuori in una conversazione fatta con l’autore e mi è sembrato confacente. Il succo di limone ha lo stesso effetto dell’inchiostro simpatico: consente una scrittura segreta, che si può decriptare scaldando il foglio. Anche i versi di Carmine Brancaccio sono da decriptare, ma poi, quando uno è riuscito ad entrarvi, vi troverà una poesia molto intensa. Forse, come il succo di limone, anche un po’ asprigna, ma proprio per questa sua caratteristica – in qual-che modo – come il limone deterge e purifica.
Carmine Brancaccio si affaccia giovanissimo sulla scena delle lettere. Il suo primo libro è infatti del 1997, quando il nostro autore aveva soltanto diciotto anni. Le poesie incluse, scritte negli anni precedenti, sono sí testi di un adolescente, ma vi si nota già una certa maturità oltre che la tendenza alla ricerca lessicale e un gusto per la metafora e il simbolismo. Questa ricerca lessicale segue un suo percorso e porta Bran-caccio anche a tentare varie strade stilistiche. Ultima delle quali è quella dei versi del poemetto Le quartine di Pierrot, uscito nel 2007, dove sperimenta l’endecasillabo, sia pure piuttosto libero, sia pure frammisto ad altri versi (decasillabo, dodecasillabo, novenario, ecc.) e, appunto, la regolarità della quartina.
La tematica, che nelle prime poesie verteva eminentemente su aspetti personali e intimistici, si allarga gradualmente al pensiero universale e alla poesia civile e sociale. Col volume Fughe, i re sono giullari, del 2002, possiamo dire che comincia una nuova stagione nella poesia di Brancaccio. C’è anche una svolta stilistica, ma la svolta è soprattutto tematica, come già il titolo ci suggerisce. I tre sostantivi “Fughe” “re” e “giullari”, sono in qualche modo parole d’altri tempi, ma sono altri tempi in cui viene proiettata la contemporaneità. E infatti sempre piú i detentori del potere non sono che giullari, menestrelli alla ricerca spasmodica di un consenso che non riescono a procurarsi coi fatti e cercano nella politica-spettacolo. Con questo libro comincia “La battaglia di Ceri-man”, come recita il titolo di una poesia e Ceriman non è altro che l’anagramma di Carmine.
Il libro successivo porta il titolo Laudano. Il “laudano” è, secondo il vocabolario, un «medicamento a base di oppio, zafferano, cannella, garofano e alcol usato come analgesico, specialmente nei dolori di origine addominale». Per Bran-caccio il “laudano” è la poesia. Quindi la poesia è un anal-gesico. Magari un analgesico del tutto naturale, ma che senz’altro lenisce il duro cammino dell’esistenza e della sof-ferenza che ne deriva. La poesia assume cosí anche, cosa di cui molti sono certi, una funzione terapeutica. Ma poesia è soprattutto un modo di essere e un modo di rapportarsi con la vita.
Nell’ultimo libro, Le quartine di Pierrot, troviamo una identificazione della maschera triste (ma già nella prima raccolta c’era una poesia intitolata “La maschera”) con quello che si trova ad essere il poeta nella società e troviamo un’identificazione poeta-clown triste-Pierrot-Brancaccio. «Mi alzai dal letto un giorno incerto / e decisi di divenire unicum / con la Arte che sgambettava furente / sottobraccio, furba, ancora zotica.»
A conclusione, abbiamo inserito alcuni recentissimi testi inediti, dove ancor piú si nota la ricerca non solo lessica-le/linguistica, ma anche tematica delle metafore (come in “Ballon d’essai”, “Simplegadi”, ecc.).
«Ma giú, dove la notte negli abissi / tormenta cuori tristi in bufera, / la balena stanca canta, mera / tragedia umana che un dí “io vi cantai”. // (Siamo pronti! / Dentro o fuori! / Sim-plegadi o la notte!)».
Come dire: gli scogli o il buio. Ma forse nel poeta è il no-vello Giasone che indicherà la rotta agli uomini/Argonauti. Per la conquista non del vello d’oro ma di una consapevolez-za etica.

Venafro, 4 novembre 2007
Amerigo Iannacone