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  • Autore
  • Laura Schioppa
  • Titolo
  • Fragmenta
  • Collana
  • La stanza del poeta
  • Pagine
  • 88
  • Anno
  • 2015
  • Prezzo
  • € 8,00


Una giovinezza da vivere insieme

ERANO I CAPEI d’oro a l’aura sparsi...
Citare Petrarca, quando si ha a che fare con la poesia di una donna che si chiama Laura, potrebbe addirittura sembrare ov-vio, forse banale... Ma (a parte la sugge-stione dei capelli biondi) il pensiero corre spontaneo a quei versi, a quelle parole, a quell’angelico seno e alle chiare fresche acque, dopo aver letto le poesie di Laura Schioppa... e desidera, il pensiero, confermarsi nell’idea che una poesia giovane ma attenta, personale ma leggibile, una poesia di oggi che non abbia dimenticato come si scrive, sia ancora possibile – e benvenuta.
Benvenuta, quindi, la poesia di questo piccolo libro, il terzo nella nuova serie della “stanza”, e ancora di una poetessa molisana, dopo Antonella Sozio.
È ancora giovane, troppo giovane, la nostra Laura, per volersi frammentare – come allude il titolo di questo suo (secon-do) libro – e donarsi a chi abbia non sol-tanto le orecchie per intendere, ma l’animo ben disposto a condividere. Detto che non è all’esordio, va pur detto – perché non sempre accade – che Laura sta lavorando con passione su di sé e sulle sue qualità espressive: anche questo le fa onore, nell’a-rengo difficile ove è scesa a misurarsi. Forse qualcosa ancora va regi-strata, ma si può essere certi, conoscendone ormai la volontà e l’onestà nel proporsi, che presto si avranno altri frutti da questa sua passione che cresce e matura.
Dall’incipit di «Viviamo di incertezze / e paure» si arriva facilmente ad afferma-zioni apodittiche, come «È un soffio la felicità»... Qui si può seguire un itinerario, scandito del resto nelle tre sezioni del libro (e la seconda è a due voci, a rafforzare l’idea di un darsi e l’attesa di una risposta per darsi ancora), un percorso che porta a conoscere, mentre l’autrice stessa si conosce.
Ed è lei stessa che dice, presentandosi:
La poesia è fatta così, è indomabile.
Del mio essere, sono tre gli elementi e la mia fine, in senso di violazione a cui ogni resistenza è vana al possesso; mi posseggono quando la vita punge con la sua dolcezza, forza, dolore:
Natura, madre-mondo, indole prepo-tente [natura cioè nel senso più ampio del suo essere: natura concreta che mi contorna, natura umana di chi mi circonda, e natura personale che mi controlla].
Amore, custode impietoso.
Mare, mio segreto amante.
In questi tre elementi è dunque l’unione della mia fine che in me è principio: tre “FRAGMENTA” di me.

Lasciamoci sedurre: Laura non ci porta dove non sappiamo, ma è stimolante an-darci con lei, con la sua serenità (mal-grado non manchino qui i momenti di aspra riflessione sui mali del mondo e sulla cattiveria dell’uomo). Lasciamoci prendere dal gioco sottile delle sue suggestioni, anche se è chiaro che si tratta di sogni destinati all’alba veritiera...
Con Laura ci ritroviamo a leggere le pagine di formazione di un cuore (e di una mente, certo, la mente ha la sua parte portante, qui) e ce ne facciamo testimoni a tutela di una serietà che convince e coinvolge: la giovane autrice di questo libro, nel frammentarsi per noi, poca voglia ha di scherzare, mettendoci anzi in gioco insieme a lei alla scoperta di un tutto che ci appartiene.

Giuseppe Napolitano

  • Autore
  • Isabella Michela Affinito
  • Titolo
  • Viaggio interiore
  • Pagine
  • 112
  • Anno
  • 2015
  • Prezzo
  • € 12,00
  • Isbn
  • 978-88-97930-39-6


Isabella Michela Affinito è una donna che segnala dimestichezza coi segni zodiacali e crede (ci credeva anche Dante) nell’influenza degli astri sulle umane inclinazioni. Per quel che riguarda lei, ritiene di subire – ma in positivo – l’ascendenza della luna che caratterialmente la connota. E intanto mostra di vivere uno stato permanente di tensioni interiori.
Avendo contattato nel corso degli studi l’Arte della Grecia antica, ne ha metabolizzato messaggi e forme, che per un certo tratto della sua esistenza, coniugandoli con approcci di artisti più vicini ai tempi nostri (vedi, per dirne uno, Vincent Van Gogh), ha scelto di affidare – nella rappresentazione – alla Pittura. Ma siccome quello della Pittura, pur essendo nobilissimo, è messaggio muto, nel senso che nonostante l’uso, il migliore possibile, dei suoi elementi costitutivi: colori, giochi di luci e di ombre, senso prospettico, profondità etc., non può esplicitare percorsi ragionati della memoria, né dubbi, né ripensamenti, né confessioni, né prospettive, l’autrice ha sentito il bisogno di supportarlo con la parola scritta. E non poteva – la parola – non comprendere anche il verso. Di qui nascono le numerose raccolte venute alla luce nel corso degli anni testimoniando una fecondità creativa che ha pochi eguali nella “nebulosa” dei tantissimi odierni corteggiatori delle “vergini muse”.
Dell’ultima (per ora) silloge della Affinito, già il titolo – Viaggio interiore – fa riferimento a un itinerario dell’Anima tutt’ora in corso, consolidando così l’idea che è la vita, di per sé, un viaggio nel gran mare del mistero (Gran mistero è la vita e nol conosce che l’ora estrema aveva fatto dire ad Adelchi tal Manzoni poco men che un paio di secoli or sono). Naturalmente quando il verso si costituisce di tal genere di problematiche, distanti anni luce da quelle della poesia – per così dire – civile (o sociale, se si preferisce), non può che esibire sostanza e contorni sfumati, entrambi rimessi a un lessico che predilige l’area semantica dell’astratto, dell’aeriforme, dell’enigmatico (non a caso una lirica reca a titolo Sibilla interiore) e a strutturazioni sintagmatiche parimenti riluttanti alla concretezza del reale oggettivo.
Si avverte nel corso della lettura l’incontenibile urgenza dell’Autrice di partecipare agli altri le profondità impervie della sua complessa psiche. Il che senza mezzi termini dichiara lei stessa nel preambolo in prosa che precede le liriche, scritto non per tessere l’elogio del diario (che da qualche tempo quotidianamente redige), e spiegarne l’utilità, ma anche con evidente intento esplicativo delle motivazioni esistenziali a monte della presente sua produzione in versi, già intuibile peraltro nella “Prefazione dell’Autrice”. Il tutto ribadito poi in chiusura in una intervista e in una “autopresentazione”.
Ci appare – dunque – Isabella Michela Affinito una intellettuale che dopo aver consumato in sé una serie di interessanti esperienze di vita, di indagini speculative, dopo essersi interrogata sui temi che ab aeterno si propongono in quegli spiriti ipersensibili sintonizzati su lunghezze d’onda non captate dalla massa, avvertono prepotente il bisogno di dire, ben sapendo che quanto custodito all’interno delle proprie coscienze, trasmesso agli altri può divenire veicolo di maturazione umana e di crescita culturale.
La veste formale delle liriche prescinde da moduli della tradizione per procedere alla libera, inseguendo un proprio pentagramma, che di volta in volta si adegua al mutar dello status interiore e alla materia trattata.

Aldo Cervo

  • Titolo
  • Frammenti di speranza
  • Autrici
  • Carmen Buono, Chiara Franchitti
  • Collana
  • Il nastro e la penna di una voce
  • Pagine
  • 112
  • Prezzo
  • € 12,00

Per comprendere il titolo – Il nastro e la penna di una voce – della collana che questo libro apre, bisogne-rebbe conoscere le due giovani che la curano, Carmen Buono e Chiara Franchitti, il “nastro” appunto e la “penna” di una “voce”, la voce di don Salvatore Rinaldi, portavoce di Voce piú alta. Tra i molti talenti di don Salvatore, personaggio ben noto nella sua città e nella sua provincia, c’è quello di avere la capacità di esprimere concetti elevati par-lando a braccio. Capacità di parlare – si diceva una volta – come un libro stampato. Ogni domenica don Salvatore celebra piú di una Messa e tiene piú di un’omelia, sempre a braccio, e tutte sono originali, tutte sono autentiche, tutte di grande interesse. E adatta, don Salvatore, il suo modo di parlare al pub-blico dei fedeli che ha davanti, con una lingua eleva-ta o addirittura aulica oppure con un linguaggio basso, magari inframmettendo parole o espressioni dialettali. Non si ripete, non è mai monotono, mai banale.
Partecipando alla Messa, Carmen, il “nastro”, re-gistra, Chiara, la “penna”, trascrive, le omelie di don Salvatore. Un lavoro prezioso, perché salvano dall’o-blio e consegnano alla carta stampata testi di grande interesse, che diversamente andrebbero perduti. E sono infatti proprio di grande interesse – e il lettore se ne renderà conto leggendo il libro – le omelie di don Salvatore; lo sono sia per la sua notevole prepa-razione culturale e teologica (ricordiamo che è stato per anni il chierichetto di Paolo VI), sia per le sue in-nate doti di intelligenza e anche di creatività.
È ovvio che quello del “nastro” e della “penna” è un lavoro non sempre facile, perché l’efficacia di un testo orale è legato anche all’espressività, al tono della voce, al ritmo, alla mimica ed ad altri elementi non riproducibili con la scrittura, e poi il pubblico della carta stampata è un pubblico diverso da quello che partecipa una mattina a una funzione religiosa. E quindi nel riportare per iscritto un testo che era orale e fatto a braccio c’è bisogno di un lavoro di editing e talvolta di adattamento e comunque senza mai inter-venire nei concetti e senza alterare né il contenuto, né lo spirito del testo. Un lavoro che le due giovani hanno fatto in modo eccellente pur senza mai sosti-tuirsi o sovrapporsi a don Salvatore. Di don Salvato-re infatti sono tutti i testi, anche se talvolta, leggendo delle bellissime espressioni, viene da domandarsi «possibile che abbia espresso a braccio un concetto cosí elevato e in modo cosí appropriato, con parole tanto belle?». Sí, don Salvatore ha queste capacità: sono delle doti innate, sia pure affinate da cultura e da studio.
Probabilmente c’è da rammaricarsi solo per il fatto che, per ovvi motivi, il “nastro” e la “penna” non riescono a partecipare a tutte le Messe e a registrare tutte le omelie. E d’altra parte don Salvatore non è tipo da considerare preziose le proprie parole, che in realtà quasi sempre lo sono, e quindi non si scrive mai in prima persona i testi.
Questo volume intende aprire una serie di pubblicazioni, nella collana che porta appunto il nome di Il nastro e la penna di una voce, ognuna delle quali avrà un proprio titolo e sarà legata a un periodo dell’anno liturgico. Si parte con Il tempo di Pasqua (2013-2014), seguiranno altri raggruppamenti di omelie che potranno essere sul Natale, sulla Quaresima, su Pasqua 2015, e cosí via.
Questo è quanto si ripromettono Carmen Buono e Chiara Franchitti, perché, come dicevano i nostri avi, verba volant ma scripta manent.

Amerigo Iannacone