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  • Autore
  • Giuseppe Napolitano
  • Titolo
  • Libertà di parole - Un'autobiografia che è la mia
  • Collana
  • Perseidi
  • Pagine
  • 192
  • Anno
  • 2017
  • Prezzo
  • € 12,00

Mi è appena giunto fra le mani grazie al suo editore Amerigo Iannacone e l'ho letto non d'un fiato, come suole dirsi, ma mossa dall'urgenza di arrivare fino in fondo e di dire a mia volta. E scriverò di getto, come solo so scrivere, di questa "Libertà di parole" di Giuseppe Napolitano, un'autobiografia di se stesso, già anticipatami in lettura e che dunque ho percorso con la curiosità dell'intellettuale e la benevolenza dell'amica e più volte sodale in progetti culturali, presentazioni, premi, pubblicazioni ec. (ed è uso leopardiano). Io, Giuseppe Napolitano, conosco molto bene e non solo per l'elencazione di "p" di poc'anzi, ma in virtù di una "profonda sintonia intellettuale" che mi riconosce tra le sue 188 pagine di scritto fitto ed intenso, in cui la concitazione e la concisione (Giuseppe deve aver sintetizzato molto della sua avventurosa vita) corrono e percorrono gli anni della sua formazione culturale, feconda di incontri e di presenze (fondamentali e, a volte vincolanti negli esordi, come si apprende, di una famiglia d'origine di scrittori - padre-preside, madre-maestra, zia-traduttrice - ed oggi moglie e figlia-scrittrici/attrici), incendiata di ideali e di visioni, animata dalla scuola vissuta tra dovere ed intemperanze, vivificata sempre da Amori-passioni solo in apparenza condizionanti. Perché l'unico "daimon" cui Giuseppe dice di aver sempre obbedito è stata la Parola, declinata in ogni sua forma ed accolta mirabilmente anche nei suoi contorni, rorida di un umorismo intellettuale di matrice sveviana e pirandelliana. Traduttore singolare anche di Catullo e aperto a sperimentalismi e frequentazioni straniere (tradotto in più lingue, da ultimo in Cinese), Giuseppe Napolitano non ha dunque smesso qui di guardarsi allo specchio, altra immagine molto cara alla sua poetica: la sua autobiografia - che non teme per nulla di essere tacciata di autoreferenzialità celebrativa, il che non è per nulla, a partire dal tono e dall'uso di un registro linguistico a volte anche colloquiale - si propone pertanto fuori da ogni implicito canone per porsi invece quale percorso introspettivo di un presente, che radica nel passato ma sa di avere in un domani che è qui - sono parole sue - la strada prefissata. Tutto è così ricomposto, Amico mio, tutto ti è ora accanto per consentirti di impastare "giorno dopo giorno la tua vita".

Ida Di Ianni

  • Autore
  • Amerigo Iannacone
  • Titolo
  • C'ero anch'io
  • Collana
  • Perseidi
  • Pagine
  • 200
  • Anno
  • 2017
  • Prezzo
  • € 12,00

L’autobiografia di Amerigo Iannacone è il racconto della vicenda umana, e dell’avventura culturale e artistica, di un molisano che – fatta salva la parentesi del servizio militare – non ha quasi mai lasciato la terra che l’accolse infante per più di qualche settimana.
Niente viaggi, dunque, a inseguire – alfierianamente – chissà quali miraggi di gloria; ben istruito invece – a quanto sembra – dalla fallimentare ricerca del leopardiano Islandese.
Nato il 17 maggio del 1950 a Ceppagna, una frazione di Venafro seminascosta da preappenniniche gobbe collinari, in posizione defilata rispetto all’arteria stradale che dal Molise punta, risoluta, verso il nord della confinante Campania, ultimo di prole numerosa messa al mondo da genitori artigiani che non ebbero da anteporre al rito sacrale del concepimento prospettive di carriere più o meno brillanti, Iannacone ha ereditato dalla marginalità geografica del luogo natio e dall’essenzialità dei bisogni quotidiani ancora ben diffusa nell’entroterra centro meridionale italiano degli anni ’50 dello scorso secolo, un carattere riservato ma non scontroso, incline all’introspezione ma non chiuso a problematiche sociali.
Sensibile fin dagli anni dell’alfabetizzazione al fascino del libro (da leggere ma anche da scrivere), è stato subito lettore avido di testi d’autore e compositore acerbo di fanciullesche trame poetiche, spie precoci di un talento destinato a consolidarsi e a tradursi nel tempo in un imponente “esondare” di pubblicazioni.
L’autobiografia, che dagli anni della formazione da discente passa poi a quelli del ruolo docente, segue – illustrandolo – l’itinerario letterario di Iannacone, narrandone le diverse vicissitudini. E tra le vicissitudini ci trova, il lettore (accanto all’emozione della prima raccolta poetica ancora calda di tipografia), la nota introduttiva – per così dire – prudente del prefatore contattato; ed ancora l’ipocrisia boriosa delle grandi Case Editrici, che con belle parole di circostanza ti sbattono la porta in faccia; il comportamento ingannevole di sedicenti editori avvezzi alla frode; l’indifferenza della gente (anche di quella laureata) di fronte al dono di un libro. Ma accanto alle vicissitudini che diremo scoraggianti, più o meno comuni un po’ a tutti gli esordienti di periferia, s’incontrano quelle che ampiamente ripagano lo scrittore molisano con gratificanti obiettivi raggiunti. E parlo della nascita dell’Editrice Eva, della fondazione di un mensile: Il Foglio volante, della promozione del premio letterario “Venafro”, della scoperta dell’Esperanto, del proliferare di amicizie feconde, durevoli per comunanza di interessi culturali ed empatia dello spirito.
Il lavoro riporta in appendice una serie di interviste che contribuiscono, se non a completare, sicuramente ad arricchire il quadro degli elementi teoretici dei percorsi e degli esiti artistici dello scrittore venafrano.
Dire, a questo punto, che l’autobiografia è scritta bene è persino banale: come volete che sia scritto uno scritto da Amerigo Iannacone? Dirò solo (e chiudo) che la narrazione si apre con un risveglio notturno (indotto dal sogno di un bisogno insoddisfatto) e si chiude con una splendida quanto originale analogia del genere georgico che ben riepiloga la filosofia di vita dell’autore: C’è – scrive Iannacone – un proverbio del mio paese che dice addò arrive chiante glie pezzuche, letteralmente: “dove arrivo pianto il cavicchio”. Il detto non è di immediata comprensione. Deriva dal modo che si usava un tempo piantando semi col cavicchio: quando a sera si smetteva, si usava conficcare (piantare) nel terreno il cavicchio nel punto dove si era arrivati, in modo da sapere la mattina dopo da dove ripartire.
Ecco: dove arriviamo piantiamo il cavicchio: che c’importa se poi saranno altri a trovare un cavicchio solitario piantato nel maggese.
Il maggese è il genere artistico in cui si sceglie di mettere a dimora idee e creatività. Il cavicchio (ma più bella ed efficace la forma dialettale: glie pezzùche) è quella cosa che Seneca rese con terminus ultra quem mala nostra non exeunt.
Io, della cosa, il nome non ve lo dico. Vi dico solo che è allusa in gran parte della produzione poetica (specie nella più recente) di Amerigo Iannacone.

Aldo Cervo

  • Titolo
  • Hundoj kaj katoj
  • Autore
  • Ugo Intini
  • Pagine
  • 112
  • Anno
  • 2016
  • Prezzo
  • € 18,00
  • Isbn
  • 978-88-97930-78-5


En fantazia libro la leganto ofte permesas, ke oni permane gvidu lin al mirmondo. Ĉi tiu mondo havas la kolorojn de miraklaj elanoj kaj krome de neatenditaj strangaĵoj, kvankam iel elvenintaj el la interno. Tamen la ekzerco pri krea verkado montras aliron kaj mensan laboradon, kiu konsistas el enaj kongruoj kaj el fajnaj nervaj ĉefaj traboj, kies celo estas komunikado. Tio okazas malgraŭ la rakonta pasio, kaj krome la krea verkado okazas en kampo tiel riĉa je fruktoj, kiuj ridetas je la surprizita kaj foje plezurhava rigardo de naiva atendo. Tio ne malofte finfine konsistigas la kvaliton meman de la teksto. Jen ekzemplo de tio en la rakontoj prezentataj de la verkinto de ĉi tiu teksto: sume ni havas ĉi tie ne neeblan konan aliron, kiu vestas sin per fabela vesto. Ĉi tiu fabela vesto, kvankam ĝi havas tre vastajn horizontojn, kiuj estas ekster tempo kaj spaco troveblaj, montras sin per sia tuta forto.
Kritika pripensado de la verko de Ugo Intini ne rajtas ne kapti tiun esencan karakteron de lia verkado. Tiu karaktero trovas klaran konfirmon en la strukturo de ĉi tiu verko, kiu estas dividita en du partojn. Unu temas pri scienca disvastigo kaj la dua pri rakontado. Mi pensas, ke tia kunordigita dueco, preter la instrua celo, prezentas la aŭtentecon de la mesaĝo de Ugo Intini. La mesaĝo diras, ke scienco ne estas rigora duonpatrino, kiu per sia projektado, kontrolado kaj difinado kaptotenas siajn anojn en kristala ĉambro. La scienco, fakte, subtenas kaj amuzas la homon pri lia enkonstruita scivolemo, lia intuicia, ellabora kaj teoriuma kapablo, pri lia nehaltigebla deziro al materia kaj morala progreso.
La ridiga eco de rakontoj kiel “Hundoj kaj katoj” aŭ kiel la fabelo “Nulo kaj liaj fratoj” ne naskiĝas, ekzemple, el ripetado tro ampleksa kaj eksploda, kvazaŭ ĝi estas ŝoko el intelekta klarvideco. Ĝi, male, havas trajtojn de plaĉo, kiu fontas el la invento de situacioj kaj rolantoj. En kelkaj okazoj (ekzemple en La magiisto de numeroj) tiuj rolantoj estas reliefaj literaturaj rolantoj. Vortoj neniam perdas la montran klarecon, ili neniam nebuliĝas pro arbitraj plursenceco, ili, male, estas malkunmetitaj aŭdis duigitaj rilate al la signifo. Foje ili estas kunigitaj al fortigaj adjektivoj, kiuj substrekas radik-mankon (terura teruro, tima timo, mistera mistero, ktp.), longigitaj, silabe inversigitaj. Foje ili ricevas bildan valoron, kiel se ili mem enhavas ion abstraktan, kiu ĉesas esti abstraktaj’oksj iĝas emocio aŭ ago de la rakonto. La luda eco estas ĉiam subtenata de racio. Mi pensas, ke la spegulo de homa naturo resendas la bildon de inteligento kaj pasio. Se estas tiel, la vasta kom prenebleco de la verkostilo de Ugo Intini trovas kroman konfirmon en la tradukado, kiun la verkinto faris, de la teksto el la itala al Esperanto, kiu estas lingvo kapabla superi la malsamecojn inter la popoloj.

Riccardo Agrusti
Traduko de Renato Corsetti

  • Autore
  • Salvatore Rinaldi
  • Titolo
  • La famiglia e la vita umana nella comunità degli zingari
  • Pagine
  • 232
  • Anno
  • 2016
  • Prezzo
  • € 22,00
  • Isbn
  • 978-88-97930-69-3


Introduzione

La presente ricerca mira a fornire una lettura del fenomeno socioculturale degli zingari in prospettiva bioetica. L’input per la definizione di tale progetto di studio deriva sostanzialmente dalla “visibilità” pubblica sempre più massiccia delle comunità degli zingari, in seguito ad una crescente attenzione mediatica, dovuta principalmente a fatti di cronaca che vengono a porli in cattiva luce. Motivo, questo, che alimenta e rinforza ulteriormente stereotipi già esistenti e particolarmente diffusi.
È facile indurre, quindi, che del loro modus vivendi siano noti determinati aspetti. Pur puntualizzando che questi meriterebbero un necessario filtraggio critico ed un’apposita attività di ricerca, mirati a ponderarne la veridicità, è ragione di interesse cogliere che circa la loro concezione di famiglia, della vita umana e degli annessi risvolti e questioni si sa veramente poco.
Sulla base di tali presupposti, è maturata l’intenzione di far luce sull’argo-mento, tra le enormi difficoltà nel reperimento di fonti bibliografiche, superate dalla forte disposizione a rendere un contributo culturale e bioetico piuttosto inedito.
Al fine di far emergere gli aspetti maggiormente significativi, oltre che fon-danti per questo approccio di ricerca, si propone di delineare innanzitutto, il fenomeno in analisi nelle sue principali componenti.
A tal riguardo, nella prima parte dello studio, si fornirà una trattazione dalle dimensioni sociali, culturali, antropologiche. Più specificamente, le attenzioni analitiche saranno rivolte, innanzitutto, agli aspetti antropologico-culturali della famiglia degli zingari, puntando sulle dinamiche e sulle questioni della vita umana intesa e vissuta dalle etnie oggetto di tale analisi. Di seguito, si svilupperà il tema del matrimonio, della sessualità, della nascita e della morte. I capitoli in cui si illustreranno tali contenuti sono il secondo, terzo, quarto e quinto.
Terminato questo momento analitico, si è ritenuto opportuno fornire una trattazione di ampio respiro giuridico, attraverso cui evidenziare la rilevanza di tale componente sullo sfondo della bioetica e dei diritti umani. Tale tematica verrà trattata nei capitoli sesto, settimo, ottavo e nono impugnando le chiavi del biodiritto e della biogiuridica, con una riflessione sull’antidiscriminazione, circoscritta alle discriminazioni a base etnica e razziale . Tale orientamento analitico è dettato dalle necessità di approfondimento delle tematiche legate ai fenomeni migratori ed, in particolare, delle garanzie dei diritti umani nell’ambito del diritto dell’immigrazione . Inoltre, si tenderà ad individuare strumenti più efficaci di tutela individuale e collettiva contro gli atti di discriminazione. Ciò anche per porre in evidenza la relazione che esiste tra il dilagare del razzismo e della xenofobia, il grado di tutela dei diritti fondamentali della persona, lo status di cittadinanza, le politiche migratorie e le prassi amministrative sotto i profili dell’esclusio-ne/inclusione degli immigrati in Italia e le eventuali ripercussioni sull’istituto familiare degli zingari.

  • Titolo
  • Dalle radici alle foglie alla poesia
  • Autore
  • Isabella Michela Affinito
  • Pagine
  • 112
  • Anno
  • 2015
  • Prezzo
  • € 12,00
  • Isbn
  • 978-88-97930-47-1


Se poi si pensi che all’origine dell’Uomo c’è stato l’Albero, allora questo è un motivo in più per snocciolare una silloge appropriata che vuole, possibilmente, raccogliere tutti i contorni, visibili e interiori, dell’albero così come esso ci sovviene in tutte le stagioni; in particolari nostri stati d’animo; in viaggio mentre scorrono oltre il finestrino; nella lunga letteratura fino ai nostri giorni e nell’arte come l’abbiamo visto trasfigurarsi sotto l’influsso degli stili, anche soprattutto gli ultimi del secolo scorso.
Se poi si pensi che nella postura dell’albero si annida il destino dello stesso, allora si può essere certi che questa creatura vegetale ha in sé il mistero della genesi, dell’inizio di qualcosa di importante, così come sono stati importanti gli alberi nel giardino dell’Eden. «Il Signore Dio fece germogliare dal suolo ogni sorta di alberi graditi alla vista e buoni da mangiare, tra cui l’albero della vita in mezzo al giardino e l’albero della conoscenza del bene e del male. (...) Il Signore Dio prese l’uomo e lo pose nel giardino di Eden, perché lo coltivasse e lo custodisse. Il Signore Dio diede questo comando all’uomo: “Tu potrai mangiare di tutti gli alberi del giardino, ma dell’albero della conoscenza del bene e del male non devi mangiare, perché, quando tu ne mangiassi, certamente moriresti.”» (Dalla Bibbia - Antico Testamento - Genesi).
Un divieto assoluto infranto subito dopo, per aver ingerito il frutto dell’albero in questione e così il primo uomo e la prima donna lasciarono per sempre quello spazio di Paradiso di cui avevano usufruito per breve tempo. Da quel biblico momento l’umanità non ha conosciuto altro che dolore, rimpianto, infelicità, tormento, confusione, disperazione, e tutto per aver voluto usurpare a Dio la indissolubile verità di ciò che è solo bene e ciò che è solo male.
L’albero, quindi, come il punto di inizio di una linea sulla quale si è svolta e si sta svolgendo la condizione umana.
Nell’albero il poeta, o anche chi non è poeta, può ravvisare l’umano. In fondo si tratta di immaginarci come lui e stare fermi, saldati al suolo in attesa che il tempo ci trasformi, ci rinnovi, ci scompigli i pensieri e le certezze per farci diventare filosofi e incerti; rassegnati e volubili; vecchi ma pur sempre in attesa di un’altra vita, di un altro sole che arrivi allo zenit.
Non c’è albero che non emozioni: nella sua fissità esso riverbera il movimento della vita. Nella sua estensione riflette il bisogno di tornare al cielo. Nella sua ricerca d’acqua manifesta il desiderio di purezza. Nella sua posa assunta con gli anni dimostra un’infinita pazienza. Nella sua collezione di verdi esprime una incommensurabile speranza. Nella sua smania di farsi attraversare dal vento riflette l’inconsistenza dell’Io, L’insostenibile leggerezza dell’essere tanto per parafrasare il titolo del famoso libro di Milan Kundera, scrittore poeta cecoslovacco.
«Quanto più il fardello è pesante, tanto più la nostra vita è vicina alla terra, tanto più è reale e autentica. Al contrario, l’assenza assoluta di un fardello fa sì che l’uomo diventi più leggero dell’aria, prenda il volo verso l’alto, si allontani dalla terra, dall’essere terreno, diventi solo a metà reale e i suoi movimenti siano tanto liberi quanto privi di significato. Che cosa dobbiamo scegliere, allora? La pesantezza o la leggerezza? (...) Una sola cosa è certa: l’opposizione pesante-leggero è la più misteriosa e la più ambigua tra tutte le opposizioni.» (Dal libro L’insostenibile leggerezza dell’essere di Milan Kundera, Adelphi Edizioni, Milano 2002, pp. 318, € 7,89).
Dall’ossimoro kunderiano si localizza che c’è nell’essere umano la volontà di esistere attraverso la materia che va in linea orizzontale e la volontà di trascenderla per percorrere una via verticale, che non ci faccia più soffrire le pene corporee, ma ci dia la possibilità di elevarci al di sopra delle nostre miserie.
L’albero, pur non essendo umano, riproduce tali volontà. Riproduce le due forze opposte e perpendicolari fra loro: orizzontale e verticale.
L’albero ha in sé anche la misura del tempo: il conteggio degli anni leggibili in quei cerchi concentrici all’interno del suo tronco. Una sorta di custode dei secoli e a volte anche dei millenni. In una poesia di Guido Gozzano (Agliè Canadese, Torino 1883-1916) dal titolo Speranza, si legge: «Il gigantesco rovere abbattuto / l’intero inverno giacque sulla zolla, / mostrando, in cerchi, nelle sua midolla / i centonovant’anni che ha vissuto. / Ma poi che Primavera ogni corolla / dischiuse con le mani di velluto, / dai monchi nodi qua e là rampolla / e sogna ancora d’essere fronzuto. / Rampolla e sogna – immemore di scuri – / l’eterna volta cerula e serena / e gli ospiti canori e i frutti e l’ire / aquilonari e i secoli futuri... / Non so perché mi faccia tanta pena / quel moribondo che non vuol morire!» (Da Gassman legge i Poeti Italiani dell’Ottocento e del Novecento - Antologia e CD, a pag. 74, Mondadori, Anno 2005).
Sono, queste del florilegio, poesie fissate a terra; prigioniere di ogni probabile o inaspettata stagione, che secondo una personale idea sono molto più di quattro e meno di quelle che conosciamo. Poesie di legno morbido che pur tollera il più cruento degli inverni. Poesie che contengono la linfa che scorre perennemente anche quando tutto appare fermo. Anch’io sono in queste poesie; anch’io mi sono fatta albero per un secondo, per un determinato tempo sono stata immobile, assumendo la posa attinente al mio destino, che ancora non capisco.
Nessuno può dirsi che non sia stato, almeno una volta, albero secondo natura.
Tutto nasce da un seme e la prigione o la fissità è quasi sempre una costante per tutte le creature, a meno che non si cerchi di evadere dal nulla per raggiungere il tutto che non si vede. Ho capito che ne Il teorema di Pitagora di Ernesto Ragazzoni (Orta 1870-Torino 1920) non c’è soltanto un semplice teorema dimostrato in versi, bensì la chiarezza della geometria umana e non solo. Riporto solo l’ultima parte della lirica che mi sembra si avvicini a ciò che ho voluto svelare con questa silloge:
«La vita è una prigione in che l’anima hai chiusa, / uomo, ed invano brancoli cercando alle pareti. / Sono di là da quelle i bei fonti segreti / ove tu aneli, e dove la pura gioia è fusa. / Qui, solo hai qualche gocciola di ver per le tue seti. / Il quadrato costrutto sovra l’ipotenusa / è la somma di quelli fatti sui due cateti.» (Dall’Antologia personale di Vittorio Gassman, Gassman legge i Poeti Italiani dell’Ottocento e del Novecento - Libro e CD, pag. 69, Mondadori, 2005).

Isabella Michela Affinito

  • Titolo
  • Dolci, giocosi ricordi
  • Autore
  • Silvio Prezioso
  • Pagine
  • 136
  • Anno
  • 2015
  • Prezzo
  • € 12,00
  • Isbn
  • 978-88-97930-45-7


Prefazione
“Tutti i grandi sono stati bambini una volta”.
                                   (Da Il Piccolo Principe)

Dopo anni di studi e meticolosa ricerca, cucite insieme l’esperienza, le conoscenze personali e le fonti ravvisate nell’arco di vent’anni di osservazione della realtà frosolonese, nasce questo libro, per il quale, l’amico Silvio mi ha invitato a scriverne l’introduzione. A seguito della gentile, gratificante e inaspettata richiesta e, soprattutto dopo aver letto le pagine che seguono, naturale è stata la scrittura di queste poche righe che spero racchiudano al meglio il senso del libro.
Silvio, dunque, dà vita a questo scritto, nel quale, depurata la mente dal mero ricordo, rivive egli stesso e fa rivivere in tutti noi, un passato che fu... giocoso! Il gioco, protagonista delle righe, diventa guida per il lettore, che si aggira cosí tra le sfaccettature della propria identità e, allo stesso tempo, tra i vicoli di Frosolone, tra le antiche emozioni, tra gli affetti di un tempo, per tornare finalmente ad oggi, consapevole dell’arricchimento interiore di cui i ludi della sua infanzia lo hanno colmato.
Sí, proprio il gioco diventa descrittore di tutta una vita! Da elemento paideutico, di fondamentale importanza per la crescita del bambino, perché momento di creatività, di conoscenza e di relazione con gli altri e con lo spazio esterno, diventa elemento di analisi antropologica.
I giochi, infatti, rispecchiano uno status sociale ben preciso, un determinato periodo storico e sono pertanto una fonte storica. Ritengo che sia questo il merito di Silvio: partendo dalle descrizioni dei giochi dei bambini di Frosolone quando la TV era in bianco e nero, passando per i primi contatti avvenuti in forma ludica tra le mamme e i propri figli, e via via ai divertimenti col padre, egli fotografa e tramanda una realtà su base scientifica.
Cosí, partendo dai giochi entro le mura domestiche, descrive quelli svolti all’esterno come la palla, mazze e píuze, l’azzícche..., per arrivare a descrivere esce Girolamo, o per canticchiare le puerili filastrocche e gli stornelli di un tempo. E ancora i divertimenti dei bambini col monopattino, lo scambio delle figurine fino al telefono senza fili...
Tutti i giochi, dei quali ho citato solo alcuni, vengono descritti dettagliatamente nel loro regolamento e funzionamento e sono correlati a divertenti “marachelle” inscenate da bimbi frosolonesi ormai adulti, i cui nomi compaiono nel testo, generando stupore e riso in noi lettori!
Dunque, sentimenti, emozioni, e al contempo ragazzi canzonati dai grandi, lotte tra quartieri, punizioni della serie “quande ereviè a la casa ia l’avet!”, riempiono un crogiolo di dolcezza e affetto, filtri con cui Silvio ricorda la sua infanzia nel discorrere delle righe. Noi lettori potremo simpatizzare con Silvio, il quale in fondo altro non desidera se non il perenne legame con la nostra realtà, che può essere ancor piú amata se la guardiamo con gli occhi dello stupore e della meraviglia.
Credo infine che lo scritto lasci una scia di malinconia ed in parte di invidia in noi giovani d’oggi, figli di una società “socialnetworkizzata” che nulla riesce a vivere se non un triste contatto virtuale con se stessi e con gli altri. Il contatto fisico con gli amichetti, i profumi primaverili respirati a pieni polmoni durante una corsa, le “sbucciature” alle ginocchia per una caduta, le urla delle mamme affacciate alle finestre, sono ormai relegate all’orizzonte dei ricordi e Silvio, con la profondità concettuale del suo scritto, ci invita ad attingere giocosamente a quelle vive emozioni di un tempo che ancora oggi sono di fondamentale vitalità per tutti!

Mimma Fazioli

  • Autore
  • Salvatore Di Benedetto
  • Titolo
  • Dalla Sicilia alla Sicilia
  • Pagine
  • 104
  • Anno
  • 2015
  • Prezzo
  • € 18,00
  • Isbn
  • 978-88-97930-42-6


Prefazione
Introduzione a Salvatore di Benedetto (1911-2006)
e alla sua produzione letteraria in prosa e in poesia

Salvatore di Benedetto nasce in una famiglia benestante borghese di Raffadali (Agri-gento) il 19 novembre 1911 e muore il 1° maggio del 2006. All’età di diciotto anni, ancora studente liceale, a causa della sua partecipazione nella ricostruzione del Partito Comunista in Sicilia, viene arrestato e condannato al confino per cinque anni, inviato al soggiorno obbligato prima in Etiopia, allora colonia italiana, e poi a Ventotene. Da qui viene condotto in catene a Palermo per l’esame di laurea alla facoltà di giurisprudenza. Riacquistata la libertà, si trasferisce al nord e a Milano frequenta la facoltà di Lettere in quell’Università; qui si occupa di attività antifascista clandestina, di azioni partigiane durante la guerra e ricostruzione del Partitito Comunista nell’Italia settentrionale e centrale. È stato a lungo un militante attivo del Partito Comunista ed è stato, per quattro legislature, eletto Deputato e Senatore nel Parlamento Italiano. Ritornato in Sicilia si impegna in una nuova battaglia per l’emancipazione dei contadini siciliani, in un’atmosfera di lotta costante contro la mafia, che in quel tempo assassinò parecchi suoi compagni militanti. Questo coraggioso sostegno della classe operaia gli ha guadagnato la stima dei suoi conterranei, ed è stato quindi, per i successivi trent’anni, ininterrottamente riconfermato Sindaco della sua cittadina natale Raffadali. Quale Sindaco di Raffdali è stato il promotore ed iniziatore di molte attività culturali e sociali per il miglioramento ed il progresso della vita civile e sociale.
Numerosi sono stati altresí i suoi interessi nel campo della cultura e della letteratura quale scrittore. È stato scrittore, poeta, studioso delle tradizioni popolari, collezionista di reperti archeologici e ricercatore appassionato della Storia locale. È morto il 1° maggio 2006.
Della sua opera in prosa sono degni di nota e di lettura i seguenti volumi:

- Civiltà contadina, ed. IlaPlama 1978;
- Dalla Sicilia alla Sicilia, ed. IlaPalma 1980;
- La Sicila non è un isola, ed IlaPalma 1983;
- Il paese del marinaio, ed.IlaPlama 1988;
- Viva il sogno, ed. IlaPlama 1990;
- Nessuno muore, ed. IlaPlama 1995; ed altri.

L’unica sua raccolta di poesie è Le parole nemiche, Edizioni IlaPalma 1980. Secondo Salvatore di Benedetto, uomo attivo ed impegnato su vari fronti, la parola è nemica: essa è la continuazione della perenne lotta contro le mistificazioni che allontanano l’uomo dal dovere di fare, agire, cambiare la propria sorte. Persiste la profonda inadeguatezza della parola scritta e parlata per esprimere in modo compiuto ed esaustivo la forza del pensiero. Per lui la poesia è un fatto intimo che tende a raggiungere gli altri, per solidarizzare con i sentimenti ed i perché della vita degli altri esseri umani. Lui, quale poeta, usa la parola in modo parsimonioso: è poeta non colui che dice, ma colui che crea le parole come se fossero fiamme e serpenti, poiché le verità non possono essere celate, ed asserire e vivere queste verità è uno sforzo immane.
Cosí si giustifica, secondo il poeta, anche il suo costante impegno politico e sociale a favore dell’emancipazione delle classi operaie.

  • Autore
  • Raimondo Colardo
  • Titolo
  • Deserto sulla terra
  • Pagine
  • 96
  • Anno
  • 2015
  • Prezzo
  • € 12,00


Deserto sulla terra

Natura morta: rami secchi,
foglie ingiallite, terre aride
fiori appassiti.
Foreste che bruciano,
fiamme avvolgenti
si elevano in alto
tra fumi e frammenti.
Su ceneri bollenti
faccio i miei passi
e il preludio
del cammino mortale
si appresta.
Morti viventi
che vagano nell’ombra
fra le polveri del deserto
in cerca di quel poco che
ancor ci resta.
Non si vedrà piú l’ape
volar di fiore in fiore
né ci riscalda il sole
né luce piú si vedrà
Tombe senza nomi
morti senza croci
campane senza rintocchi.
Ma tutto questo
all’uomo non riguarda
perché non vede,
non sente... non guarda!

  • Autore
  • Amerigo Iannacone
  • Titolo
  • Manuale di esperanto
  • Pagine
  • 170
  • Anno
  • 2015
  • Prezzo
  • € 15,00
  • Isbn
  • 978-88-88030-82-1


Introduzione

L’esperanto è una lingua soprannazionale, patrimonio di tutta l’umanità, che si prefigge lo scopo di diventare la seconda lingua di tutti, da utilizzare preminentemente nei rapporti internazionali, in modo da eliminare i problemi derivanti dalle barriere linguistiche.
Ideato nel 1887 da Ludwik Lejzer Zamenhof, l’esperanto, secondo le parole dello stesso iniziatore, «non ha nessun legiferatore e non dipende da nessuna persona in particolare» ed «esperantista è chiamato chiunque conosce e usa la lingua esperanto indipendentemente dallo scopo per cui la usa».
Zamenhof nacque nel 1859 a Bialystok, in Lituania, regione della vecchia repubblica polacca che l’impero russo si era annessa, e morí a Varsavia nel 1917. A Bialystok in quel periodo convivevano — e non sempre pacificamente — diverse etnie, con diverse lingue, e fin da bambino Zamenhof si trovò ad osservare le difficoltà e i problemi dell’incomprensione linguistica.
Dopo un primo tentativo di creare una lingua internazionale in età adolescenziale, progetto andato a monte perché il padre gli distrusse gli appunti temendo che lo distraessero dagli studi, nel 1887 Zamenhof pubblicò la prima grammatica di esperanto, un libretto di 40 pagine in lingua russa, firmandosi con lo pseudonimo di Doktoro Esperanto, Il Dottore che spera, (Zamenhof era oculista). Il volumetto ebbe subito un’eco notevole in tutto il mondo e nel corso dello stesso anno furono pubblicate anche le versioni in polacco, in francese, in tedesco e in esperanto. Quello che era lo pseudonimo dell’autore, fu ben presto adottato per indicare la stessa lingua.
L’esperanto iniziò rapidamente a diffondersi, nacquero associazioni esperantiste in tutta Europa, cominciarono a uscire periodici in esperanto. La nuova lingua cominciava anche ad avere l’avallo di personalità illustri. Uno dei primi ad accettarla fu Lev Tolstoj. Nel 1889, rispondendo a V. Majnov, il grande scrittore russo scriveva: «Io ritengo l’apprendimento di una lingua europea comune (vale a dire la lingua internazionale esperanto) cosa assolutamente urgente [...]. Per quel che mi è possibile, io cercherò di diffondere questa lingua e, la cosa piú importante, cercherò di convincere tutti della sua necessità». Tostoj fu anche collaboratore del periodico La Esperantisto (L’esperantista), organo del nascente movimento esperantista pubblicato a Norimberga, organo che fu chiuso dalla censura zarista proprio in seguito alla pubblicazione dell’articolo di Tolstoj “Saggezza o fede?”.
Nel 1905, ebbe luogo in Francia, a Boulogne-sur-Mer, il primo congresso universale di esperanto, cui parteciparono 668 congressisti, provenienti da tutta Europa. Grande fu l’entusiasmo e il successo e da allora annualmente, eccetto qualche anno nei periodi bellici, si sono succeduti i congressi universali in città di volta in volta diverse. Ai congressi universali si andavano aggiungendo congressi nazionali, congressi settoriali, convegni, ecc. Sono nate riviste e trasmissioni radio quotidiane, ed è nata una vasta letteratura originale, oltre che tradotta.
L’esperanto è una lingua molto facile sia dal punto di vista fonetico sia dal punto di vista grammaticale. La grammatica, rigorosamente razionale, si articola in poche regole e senza alcuna eccezione. Il vocabolario è formato da radici provenienti da varie lingue, per la maggior parte dal latino e da lingue del ceppo indoeuropeo, prevalentemente con l’accoglimento, per ogni parola, della radice di maggiore facilità fonetica e maggiormente diffusa a livello internazionale.
Oggi l’esperanto ha una considerevole diffusione nei cinque continenti, nonostante il discorso esperantista sia portato avanti generalmente da appassionati e da studiosi, senza interessi né economici né di altro genere, ma solo dalla volontà di risolvere il problema della comunicazione internazionale.
Esiste un’organizzazione esperantista a livello mondiale, (la UEA, Universala Esperanto-Asocio, Associazione Esperantista Universale), la cui sede centrale è attualmente in Olanda, a Rotterdam, cui fanno capo oltre 50 associazioni nazionali. Quella italiana è la FEI, Federazione Esperantista Italiana, è ente morale e ha sede a Milano. Ma molte altre associazioni e istituzioni esistono nel mondo, a volte collegate tra loro, a volte indipendenti. Esiste inoltre una rete di delegati dell’UEA diffusi in piú di una cinquantina di paesi. Ci sono circoli esperantisti dislocati qua e là ed esistono associazioni esperantiste di categoria (scienziati, insegnanti, ferrovieri, medici, non vedenti, giovani, cattolici, mormoni, ecologisti, ecc.).
Di notevole rilievo è la letteratura originale in esperanto, dove si possono trovare opere di saggistica, narrativa, poesia, manualistica, ecc. Non pochi sono gli scrittori e poeti di grande talento che usano l’esperanto per le loro opere originali. Il primo fu lo stesso Zamenhof, che ha lasciato un’ampia messe di opere. Ci sono poi, come si può intuire, migliaia di opere tradotte da tutte le lingue, che danno la possibilità di avvicinarsi alle letterature di tutto il mondo, pur non conoscendo le lingue in cui sono state scritte le opere. Molte sono le riviste che si pubblicano un po’ dappertutto, dal semplice notiziario alla rivista scientifica, dal periodico di informazione a quello letterario. Inoltre parecchie emittenti radiofoniche (Varsavia, Pechino, Vienna, Roma, Berna, Città del Vaticano, Radio Radicale, ecc.) trasmettono regolarmente programmi in esperanto e, da ultimo, su Internet è possibile trovare un po’ di tutto, dai corsi di lingua gratuiti, ai servizi librari, dall’organizzazione alla storia del movimento esperantista.