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Dalle radici alle foglie alla poesia

  • Titolo
  • Dalle radici alle foglie alla poesia
  • Autore
  • Isabella Michela Affinito
  • Pagine
  • 112
  • Anno
  • 2015
  • Prezzo
  • € 12,00
  • Isbn
  • 978-88-97930-47-1


Se poi si pensi che all’origine dell’Uomo c’è stato l’Albero, allora questo è un motivo in più per snocciolare una silloge appropriata che vuole, possibilmente, raccogliere tutti i contorni, visibili e interiori, dell’albero così come esso ci sovviene in tutte le stagioni; in particolari nostri stati d’animo; in viaggio mentre scorrono oltre il finestrino; nella lunga letteratura fino ai nostri giorni e nell’arte come l’abbiamo visto trasfigurarsi sotto l’influsso degli stili, anche soprattutto gli ultimi del secolo scorso.
Se poi si pensi che nella postura dell’albero si annida il destino dello stesso, allora si può essere certi che questa creatura vegetale ha in sé il mistero della genesi, dell’inizio di qualcosa di importante, così come sono stati importanti gli alberi nel giardino dell’Eden. «Il Signore Dio fece germogliare dal suolo ogni sorta di alberi graditi alla vista e buoni da mangiare, tra cui l’albero della vita in mezzo al giardino e l’albero della conoscenza del bene e del male. (...) Il Signore Dio prese l’uomo e lo pose nel giardino di Eden, perché lo coltivasse e lo custodisse. Il Signore Dio diede questo comando all’uomo: “Tu potrai mangiare di tutti gli alberi del giardino, ma dell’albero della conoscenza del bene e del male non devi mangiare, perché, quando tu ne mangiassi, certamente moriresti.”» (Dalla Bibbia - Antico Testamento - Genesi).
Un divieto assoluto infranto subito dopo, per aver ingerito il frutto dell’albero in questione e così il primo uomo e la prima donna lasciarono per sempre quello spazio di Paradiso di cui avevano usufruito per breve tempo. Da quel biblico momento l’umanità non ha conosciuto altro che dolore, rimpianto, infelicità, tormento, confusione, disperazione, e tutto per aver voluto usurpare a Dio la indissolubile verità di ciò che è solo bene e ciò che è solo male.
L’albero, quindi, come il punto di inizio di una linea sulla quale si è svolta e si sta svolgendo la condizione umana.
Nell’albero il poeta, o anche chi non è poeta, può ravvisare l’umano. In fondo si tratta di immaginarci come lui e stare fermi, saldati al suolo in attesa che il tempo ci trasformi, ci rinnovi, ci scompigli i pensieri e le certezze per farci diventare filosofi e incerti; rassegnati e volubili; vecchi ma pur sempre in attesa di un’altra vita, di un altro sole che arrivi allo zenit.
Non c’è albero che non emozioni: nella sua fissità esso riverbera il movimento della vita. Nella sua estensione riflette il bisogno di tornare al cielo. Nella sua ricerca d’acqua manifesta il desiderio di purezza. Nella sua posa assunta con gli anni dimostra un’infinita pazienza. Nella sua collezione di verdi esprime una incommensurabile speranza. Nella sua smania di farsi attraversare dal vento riflette l’inconsistenza dell’Io, L’insostenibile leggerezza dell’essere tanto per parafrasare il titolo del famoso libro di Milan Kundera, scrittore poeta cecoslovacco.
«Quanto più il fardello è pesante, tanto più la nostra vita è vicina alla terra, tanto più è reale e autentica. Al contrario, l’assenza assoluta di un fardello fa sì che l’uomo diventi più leggero dell’aria, prenda il volo verso l’alto, si allontani dalla terra, dall’essere terreno, diventi solo a metà reale e i suoi movimenti siano tanto liberi quanto privi di significato. Che cosa dobbiamo scegliere, allora? La pesantezza o la leggerezza? (...) Una sola cosa è certa: l’opposizione pesante-leggero è la più misteriosa e la più ambigua tra tutte le opposizioni.» (Dal libro L’insostenibile leggerezza dell’essere di Milan Kundera, Adelphi Edizioni, Milano 2002, pp. 318, € 7,89).
Dall’ossimoro kunderiano si localizza che c’è nell’essere umano la volontà di esistere attraverso la materia che va in linea orizzontale e la volontà di trascenderla per percorrere una via verticale, che non ci faccia più soffrire le pene corporee, ma ci dia la possibilità di elevarci al di sopra delle nostre miserie.
L’albero, pur non essendo umano, riproduce tali volontà. Riproduce le due forze opposte e perpendicolari fra loro: orizzontale e verticale.
L’albero ha in sé anche la misura del tempo: il conteggio degli anni leggibili in quei cerchi concentrici all’interno del suo tronco. Una sorta di custode dei secoli e a volte anche dei millenni. In una poesia di Guido Gozzano (Agliè Canadese, Torino 1883-1916) dal titolo Speranza, si legge: «Il gigantesco rovere abbattuto / l’intero inverno giacque sulla zolla, / mostrando, in cerchi, nelle sua midolla / i centonovant’anni che ha vissuto. / Ma poi che Primavera ogni corolla / dischiuse con le mani di velluto, / dai monchi nodi qua e là rampolla / e sogna ancora d’essere fronzuto. / Rampolla e sogna – immemore di scuri – / l’eterna volta cerula e serena / e gli ospiti canori e i frutti e l’ire / aquilonari e i secoli futuri... / Non so perché mi faccia tanta pena / quel moribondo che non vuol morire!» (Da Gassman legge i Poeti Italiani dell’Ottocento e del Novecento - Antologia e CD, a pag. 74, Mondadori, Anno 2005).
Sono, queste del florilegio, poesie fissate a terra; prigioniere di ogni probabile o inaspettata stagione, che secondo una personale idea sono molto più di quattro e meno di quelle che conosciamo. Poesie di legno morbido che pur tollera il più cruento degli inverni. Poesie che contengono la linfa che scorre perennemente anche quando tutto appare fermo. Anch’io sono in queste poesie; anch’io mi sono fatta albero per un secondo, per un determinato tempo sono stata immobile, assumendo la posa attinente al mio destino, che ancora non capisco.
Nessuno può dirsi che non sia stato, almeno una volta, albero secondo natura.
Tutto nasce da un seme e la prigione o la fissità è quasi sempre una costante per tutte le creature, a meno che non si cerchi di evadere dal nulla per raggiungere il tutto che non si vede. Ho capito che ne Il teorema di Pitagora di Ernesto Ragazzoni (Orta 1870-Torino 1920) non c’è soltanto un semplice teorema dimostrato in versi, bensì la chiarezza della geometria umana e non solo. Riporto solo l’ultima parte della lirica che mi sembra si avvicini a ciò che ho voluto svelare con questa silloge:
«La vita è una prigione in che l’anima hai chiusa, / uomo, ed invano brancoli cercando alle pareti. / Sono di là da quelle i bei fonti segreti / ove tu aneli, e dove la pura gioia è fusa. / Qui, solo hai qualche gocciola di ver per le tue seti. / Il quadrato costrutto sovra l’ipotenusa / è la somma di quelli fatti sui due cateti.» (Dall’Antologia personale di Vittorio Gassman, Gassman legge i Poeti Italiani dell’Ottocento e del Novecento - Libro e CD, pag. 69, Mondadori, 2005).

Isabella Michela Affinito

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