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  • Autore
  • Gustavo Vega Mansilla
  • Titolo
  • Istanti di cristallo
  • Collana
  • La stanza del poeta
  • Pagine
  • 64
  • Anno
  • 2016
  • Prezzo
  • € 9,00

Le piccole cose che fanno la vita

Gustavo Vega torna volentieri in Italia. Quando può, fisicamente, e volentieri anche in veste cartacea: nella prima serie della collana “la stanza del poeta” fu pubblicata una piccola raccolta col titolo Riflessione. Istanti di cristallo (2007). Una piú ampia raccolta di scritti poetici di vario genere è apparsa qualche anno dopo col titolo Dipingere la luce (Edizioni Eva). Titolo in cui può forse sintetizzarsi l’attività poetica del nostro amico spagnolo: egli riflette e scolpisce istanti di cristallo con una pennellata di luce. E si potrebbero anche enucleare – tra le molte e diverse suggestioni provocate dalla sua poesia – alcune costanti tematiche: la natura, l’incontro, la misura.

Dall’orologio appeso
si stacca il tempo
senza macchiare la parete.

Il mondo universo è scheggiato in frammenti di immagini, come si frantuma in momenti di varia fortuna la stessa esistenza umana: la misura del poeta è la sua capacità di cogliere, comprendere e condividere, e fissare, quindi, con la sua luminosa pittura, nel suo cristallino gioco di luci e di specchi. Le stagioni, il tempo, le tracce che lasciano le umane cose - i desideri, le illusioni, la cadute. Ma c’è tanta vita in questo piccolo libro di Gustavo Vega, e deve bastarci. Nella concentrazione verbale dell’haiku basta un niente per alterare non solo la forma, poiché il senso stesso deraglia pericolosamente.
L’haiku di Gustavo Vega, pur non avendo sempre forma classica, conserva della maniera originale l’in-dicazione temporale, o un agente atmosferico oppure il nome di un animale; coniuga insomma libertà e fedeltà in un gioco sottile di rimandi semantici. Qui leggiamo di cicale e di cicogne, di aquile e gabbiani; qui passiamo dall’estate all’autunno all’inverno (manca la primavera), e seguiamo la luna e il sole nel loro andare celeste. Ma soprattutto c’è lui, il poeta con i suoi pensieri e turbamenti, con le sue domande senza punto interrogativo. Con la sua poesia. La riflessione sulla poesia è costante, dichiarata: è “luce crepuscolare” e germoglio di azzurro silenzio, è nel volo degli uccelli ed è “tempo senza tempo”.
Nel tempo la poesia diventa io - e l’io scrive poesia per restare nel tempo.

Meglio vivere oggi
l’eternità. Forse poi
non avremo tempo.

Appunto è la funzione della poesia: fermare il tempo in un frammento per consentire di viverlo fuori del tempo, come fosse una scheggia, un cristallo di eternità.
C’è un’esplosione di colori in questi 44 haiku, quattrocento parole appena. Pochi minuti di lettura, ma c’è, in miniatura, un’enciclopedia esistenziale in questi nuovi Istanti di cristallo. Cosí il viandante che sogna “percorsi d’aria” è parente di Don Chisciotte e Sancio che sono “ideogrammi contro l’orizzonte”. Cosí le aquile “planano tra le stelle” mentre la notte sogna “dietro i vetri”. Cosí i rami del mandorlo sono “calligrafie di vento”... Ma cosí si finirebbe per citare tutto il libro!
Vanno colte subito, nella poesia di Gustavo Vega, le sonore aperture verbali, certe impennate nelle sue scelte linguistiche e lessicali, e insieme le tenui sfumature cromatiche nella morbidezza delle immagini. E vanno poi assaporate certe succose espressioni che si sostanziano di consapevole forza espressiva. La gamma delle variazioni sfaccetta un significante proponendo diversi significati.
Immagine simbolo cristallizzata oltre il tempo del suo tempo mortale, la figurina umana di Marilyn (“farfalla senza ali”, prematuramente bruciata dall’incapacità di giocare in questo mondo, fuori dal suo mondo “di carta o celluloide”) può diventare il sigillo di questo piccolo libro che si fa scrigno prezioso:

Marilyn, farfalla
di carta o celluloide.
Aria senza ali.

Giuseppe Napolitano

  • Autore
  • Gustavo Vega Mansilla
  • Titolo
  • Pentri la lumon - Pintar la luz
  • Collana
  • Perseidi
  • Pagine
  • 168
  • Anno
  • 2016
  • Prezzo
  • € 16,00
  • Isbn
  • 978-88-97930-86-0


Gustavo Vega Mansilla estas poeto tute originala kaj lia poezio, preskaŭ ĉiam tre alta poezio, estas ĉiam aŭtentika kaj rekonebla. Granda estas lia sentokapablo, sed kvazaŭ li volus kaŝi tiun sian sentemon, li ofte sin montras ironia kaj senpasia.
Ironio kaj ĉefe memironio estas en lia naturo, kaj tre ofte ni trovas ĝin kiel karakterizo de lia verkado, kaj tiel li povas ŝerci montrante al ni, ekzemple, poemon titolitan “Minimuma soneto” farita el nur unuopaj literoj – abba abba cdc dcd – kaj eĉ poemon titolitan “Minimuma soneto minimuma”, farita nur el interpunkciaj signoj.
Sed tio ne devas kredigi ke lia poezio estus nur io ŝercema, ĉar ĝi estas male tre profunda kaj tre intensa, kaj ofte tiu ironio kaj ŝercemo, kaŝas, kvazaŭ masko, ne nur lian sentemon, sed eĉ iun lian karakteran melankolion, kaj iun lian solecan senton.
Kaj tion ni bone komprenas, se ni atente legas liajn poe-ziaĵojn, kiel ekzemple “24an de majo”, kie la naskiĝtago «Estas, nur, / maniero akcepti // (Min? Vin?) mian / neredukteblan / s / o / l / e / c / o / n», kaj tiel skribita, la soleco ŝajnas malrapide guti en lian animon.
Legu tiun ĉi hajkon: «Ploras la ŝtono / de la antikva fontano. / Melankolio.» La akvo de la antikva fontano ŝajnas plori melankoliajn larmajn gutojn.
Tre interesa, kaj absolute originala, estas lia vida poezio, kiu elmontras lian esceptan inventan spiriton. Kaj tiel ni vidas literojn, kiuj falas en funelon kaj sube eliras poemo; la vorto “maro” kiu iĝas la mara imago de la amo al lia virino, kie li dronas; la fasado de la “Leonana Instituto de Kulturo”, sur kiu la poeto pentras la vorton “AMO”; kai tiel plu.
La sekcio “Kristalaj momentoj” entenas 27 hajkojn, sufiĉe laŭregulaj. Ĉi tie ni trovas la naturon, la sunon, la venton, arbojn, papiliojn, la lunon, la neĝon, kaj tiel plu. Ili preskaŭ ĉiam respektas la originan japanan spiriton, kaj la naturan medion. Ili estas tre belaj, tre efikaj, tre fajnaj, tre sugestiaj. Mi transskribas nur du ekzemplojn: «Kaj sangante, / leviĝas la suno / matene.»; «La neĝo rigardas la lunon, / la luno rigardas la neĝon: / blanka dialogo.»
Ĉefe en tiu ĉi sekcio, sed iom en la tuta libro – kaj eĉ en la aliaj verkoj de Vega – estas, persista, daŭra, la elserĉo kaj la uzado de la lumo. Pli ĝuste la lumo, difuza kaj ĉarma, estas kvazaŭ fadeno, kiu trairas la tutan libron. La versoj estas kvazaŭ lumaj peniktuŝoj, ĉar nia Poeto “pentras la lumon” – ne estas hazarda la titolo – kaj kreas poezion, ĉar la lumo estas poezio kaj la poezio estas lumo.
En Pentri la lumon, Vega, krea kaj eklektika, kapablas maj-stre – sed ankaŭ preskaŭ tute laŭinstinkte – kunvivigi sian ironian spiriton kun sia delikata sentemo, kaj kapablas kunmeti tute nature siajn plurajn kreemajn dotojn kaj sendube lia poezio – ĉu verkita ĉu vida – trafas la leganton kaj restas en lia menso.

Amerigo Janakono

Foglio Volante n°8 Anno XXXI Agosto 2016


Saba: il Leopardi del Novecento

Umberto Saba non viene mai citato insieme ai grandi poeti del Novecento: Ungaretti, Montale, Quasimodo. L’esclusione dipende dall’assenza di clamorose novità (che non significa mancanza di originalità) nel poeta triestino rispetto a quelli della triade.
La poesia di Saba rimanda di piú a quella del diciannovesimo che non a quella del ventesimo secolo. Chi ama la poesia di Saba non lo fa in considerazione di una sua qualche “rivoluzione” linguistica o stilistica; la ama perché trova quella poesia semplicemente autentica. «Tardiva?», rispetto a quella degli innovatori sopra ricordati. La si può chiamare anche cosí, purché cosí non si intenda al tempo stesso disconoscerla o misconoscerla.
Ma se non possiamo accostare Saba ai tre poeti maggiori del nostro Novecento (e nemmeno all’altro grande poeta, e prosatore, Vincenzo Cardarelli), a chi lo accosteremo? Lo accosteremo a uno dei piú grandi, anzi al piú grande dell’intero Ottocento – nostro e non soltanto nostro – Giacomo Leopardi.
Non c’è nella poesia del Novecento nessun poeta che ripeta e riproponga le meraviglie (come altrimenti chiamarle?) leopardiane, come le ripete e ripropone Umberto Saba. Cosí, se non possiamo accostare quest’ultimo agli Ungaretti, ai Montale e ai Quasimodo, lo possiamo accostare a Giacomo Leopardi.
Il piacere e lo stupore che suscitano in noi i versi del recanatese sono gli stessi piacere e stupore che suscitano in noi i versi del triestino.
L’accostamento di Saba al Leopardi richiede almeno una precisazione: che riguarda il già nominato Vincenzo Cardarelli. È quest’ultimo, per molti, il degno erede, il vero emulo di Leopardi. Lo è per sua stessa esplicita dichiarazione, per sua intima convinzione e formazione, e infine per la composizione stessa della sua poesia. Tutti meriti, questi, eccezionali; ma con un solo e grosso demerito: è piú un poeta leopardiano che un poeta paragonabile a Leopardi, il nostro Cardarelli!
A differenza della poesia di Saba, che fa pensare a quella di Leopardi senza però somigliarle, lo poesia di Cardarelli fa pensare a quella di Leopardi perché ad essa troppo somigliante. È una poesia, quella di Cardarelli – lo sappiamo bene, noi suoi accaniti ed estasiati lettori – bellissima ma somigliantissima a quella di Leopardi. Altrettanto bella è la poesia di Saba: non perché anch’essa somigliantissima a quella di Leopardi, ma perché all’altezza di quella di Leopardi.
Cosí il nostro Novecento annovera almeno cinque grandi poeti: Ungaretti, Montale, Quasimodo, Saba e Cardarelli. I primi tre, perché hanno inventato la poesia “nuova”; il quarto, perché ha ripetuto nell’appena passato secolo ventesimo il miracolo della poesia leopardiana; il quinto, perché è stato un poeta autenticamente leopardiano.

Coreno Ausonio, 11/07/2016

Tommaso Lisi


Inverno

È notte, inverno rovinoso. Un poco
sollevi le tendine, e guardi. Vibrano
i tuoi capelli selvaggi, la gioia
ti dilata improvvisa l’occhio nero;
che quello che hai veduto – era un’immagine
della fine del mondo – ti conforta
l’intimo cuore, lo fa caldo e pago.
Un uomo s’avventura per un lago
di ghiaccio, sotto una lampada storta.

Umberto Saba
(Trieste, 9 marzo 1883-Gorizia, 25 agosto 1957)