Foglio Volante n°8 Anno XXXI Agosto 2016
Saba: il Leopardi del Novecento
Umberto Saba non viene mai citato insieme ai grandi poeti del Novecento: Ungaretti, Montale, Quasimodo. L’esclusione dipende dall’assenza di clamorose novità (che non significa mancanza di originalità) nel poeta triestino rispetto a quelli della triade.
La poesia di Saba rimanda di piú a quella del diciannovesimo che non a quella del ventesimo secolo. Chi ama la poesia di Saba non lo fa in considerazione di una sua qualche “rivoluzione” linguistica o stilistica; la ama perché trova quella poesia semplicemente autentica. «Tardiva?», rispetto a quella degli innovatori sopra ricordati. La si può chiamare anche cosí, purché cosí non si intenda al tempo stesso disconoscerla o misconoscerla.
Ma se non possiamo accostare Saba ai tre poeti maggiori del nostro Novecento (e nemmeno all’altro grande poeta, e prosatore, Vincenzo Cardarelli), a chi lo accosteremo? Lo accosteremo a uno dei piú grandi, anzi al piú grande dell’intero Ottocento – nostro e non soltanto nostro – Giacomo Leopardi.
Non c’è nella poesia del Novecento nessun poeta che ripeta e riproponga le meraviglie (come altrimenti chiamarle?) leopardiane, come le ripete e ripropone Umberto Saba. Cosí, se non possiamo accostare quest’ultimo agli Ungaretti, ai Montale e ai Quasimodo, lo possiamo accostare a Giacomo Leopardi.
Il piacere e lo stupore che suscitano in noi i versi del recanatese sono gli stessi piacere e stupore che suscitano in noi i versi del triestino.
L’accostamento di Saba al Leopardi richiede almeno una precisazione: che riguarda il già nominato Vincenzo Cardarelli. È quest’ultimo, per molti, il degno erede, il vero emulo di Leopardi. Lo è per sua stessa esplicita dichiarazione, per sua intima convinzione e formazione, e infine per la composizione stessa della sua poesia. Tutti meriti, questi, eccezionali; ma con un solo e grosso demerito: è piú un poeta leopardiano che un poeta paragonabile a Leopardi, il nostro Cardarelli!
A differenza della poesia di Saba, che fa pensare a quella di Leopardi senza però somigliarle, lo poesia di Cardarelli fa pensare a quella di Leopardi perché ad essa troppo somigliante. È una poesia, quella di Cardarelli – lo sappiamo bene, noi suoi accaniti ed estasiati lettori – bellissima ma somigliantissima a quella di Leopardi. Altrettanto bella è la poesia di Saba: non perché anch’essa somigliantissima a quella di Leopardi, ma perché all’altezza di quella di Leopardi.
Cosí il nostro Novecento annovera almeno cinque grandi poeti: Ungaretti, Montale, Quasimodo, Saba e Cardarelli. I primi tre, perché hanno inventato la poesia “nuova”; il quarto, perché ha ripetuto nell’appena passato secolo ventesimo il miracolo della poesia leopardiana; il quinto, perché è stato un poeta autenticamente leopardiano.
Coreno Ausonio, 11/07/2016
Tommaso Lisi
Inverno
È notte, inverno rovinoso. Un poco
sollevi le tendine, e guardi. Vibrano
i tuoi capelli selvaggi, la gioia
ti dilata improvvisa l’occhio nero;
che quello che hai veduto – era un’immagine
della fine del mondo – ti conforta
l’intimo cuore, lo fa caldo e pago.
Un uomo s’avventura per un lago
di ghiaccio, sotto una lampada storta.
Umberto Saba
(Trieste, 9 marzo 1883-Gorizia, 25 agosto 1957)