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Foglio Volante n°12 Anno XXXI Dicembre 2016


Nel mondo delle scimmie

Nel mondo delle scimmie, quasi tutti gli scienziati sostenevano che la scimmia discende dall’uomo.
«Oh, mamma mia, — disse Paquita quando lo sentí per la prima volta — che brutti antenati che abbiamo. Ma allora anche noi un tempo avevamo solo due mani, e magari non sapevamo neppure salire sugli alberi!»
«Piú esattamente — spiegò Maquita, una scimmia scienziata che sapeva tutto — la scimmia e l’uomo hanno antenati comuni».
«Ma non è possibile! Per noi è un disonore, È davvero umiliante!»
«Ma è cosí. C’è stato un fumoso scienziato, pardon: un famoso scienziato, Darvin, che lo ha dimostrato scientificamente. Per la verità in principio si chiamava Dar Vino, e gli si addiceva pure, anche se in verità il vino piú che darlo se lo beveva lui. Poi si fece cambiare il nome prima in Darvino e poi per risparmiare una vocale solo in Darvin».
«Io non ci credo, — intervenne Daquita — che schifo: gli uomini tutti spelacchiati. Sono costretti a mettere della robaccia addosso per ripararsi dal freddo».
«Peggio per loro». Disse Maquita.
«E poi devono andare a lavorare, non sono liberi come noi». Disse Baquita.
«Peggio per loro». Disse Maquita.
«Devono studiare, devono andare a scuola». Disse Zaquita.
«Peggio per loro». Disse Maquita.
La cosa non piaceva a nessuno, ma era cosí e non ci si poteva fare nulla.
«Noi ovviamente siamo superiori, – disse Maquita – ma proprio per questo dobbiamo avere in alta considerazione tutti gli animali e anche gli uomini. Anzi direi soprattutto gli uomini, che con tutto quello che combinano con le loro testoline malate, rischiano l’estinzione.»
Maquita aveva una grande mente, era una grande scienziata ed era capace di trasmettere conoscenze ed emozioni. Continuò a parlare per più di due ore, spiegò scientificamente, citò dati, raccontò episodi, fu davvero convincente e a tratti commovente. E tutte le scimmie presenti ascoltarono, capirono, si convinsero. E quando Maquita tacque, scoppiò un caloroso applauso.
Da allora, anche Paquita, Daquita, Baquita, Zaquita e tutte le altre scimmie guardarono gli uomini con occhi diversi.

Amerigo Iannacone


Il tempo e il cibo

Cibo che non sfama
e tempo deludente divoriamo
nel frenetico scorrere
di giorni sempre uguali.

Lievita nei pensieri
l’insonne profilo allucinato
nello spessore di un tempo che indagava
i limiti del sogno e del miraggio.

Siamo manse anime vaganti
su tracciati di multipli affanni,
ombre insicure che rasentano muri
anch’essi feriti da sismici sussulti.

Un cosmo di vertigini attorno
e riducenti perimetri di vuoto
dove divampa il gelido respiro
di criminali indifferenze.

Non la natura soltanto è volano
sull’inflazione dei giorni che non fanno storia.
Siamo arterie pulsanti se ad altri destini
ci accostiamo con empatico slancio,
oltre le scaglie d’interessi implosi.

Roma, Novembre 2016
Rosa Amato


Appunti e spunti
Annotazioni linguistiche
di Amerigo Iannacone

La K, una lettera invadente

È un po’ presuntuosetta la lettera K (che, per inciso, si chiama “Cappa” o “Kappa” e non “Kei”), perché la troviamo sempre piú spesso in posti che non le competono. È un po’ invadente. Da un po’ di anni infatti si vede sempre piú spesso scritto “kilometro” per “chilometro”, “kilogrammo” per “chilogrammo”, “kilocaloria” per “chilocaloria”, “kilohertz” per “chilohertz” e cosí via. Gli stessi vocabolari talvolta si sono adeguati e scrivono «kilo- vedi chilo-».
Se andate in un mercato, quasi sempre trovate scritto, per esempio, “patate: 1 euro al kilo”, con la K. E poi c’è il linguaggio informatico che ci fa scrivere “Kilobyte” e simili.
Per non parlare del linguaggio dei messaggini telefonici, dove “che” diventa “ke”, e “perché” diventa “xché”. Ma qui siamo al gergo giovanilese, di cui abbiamo già parlato e di cui magari riparleremo in altra occasione.

  • Titolo
  • Pensare con il cuore - Versi 2013-2016
  • Autore
  • Alessandra Di Guida
  • Collana
  • La stanza del poeta
  • Pagine
  • 56
  • Anno
  • 2016
  • Prezzo
  • € 9,00

È un gradito ritorno, quello di Alessandra nella stanza. Ma è pure una nuova nascita – per cui doppia è la soddisfazione di accoglierla.
Alessandra Di Guida ha esordito infatti, nel già lontano agosto del 2011, al numero 79 della vecchia collana editoriale la stanza del poeta; ora si prende il numero 19 della nuova collana: la ricorrenza del 9 dovrebbe intendersi anch’essa come augurale. Cinque anni sono tanti o sono niente: per lei sono, filosoficamente (verrebbe da dire, parafrasandola un po’), il tempo che le è gocciato intorno mentre lei, semplicemente, viveva – e della sua vita registrava accadimenti accidenti aspettative.
Intanto, in cinque anni un nuovo libro ci sta: è qui, del resto, abbiamo la prova di un lavoro che cresce e produce – già per questo sia dato merito all’autrice, che non si è seduta sul primo libro, ma ha seguitato per la sua strada, facendola sempre piú sua. In questa seconda prova, in questa che può dirsi una prima prova di maturità, Alessandra si mostra ancor piú consapevole dei suoi mezzi, che sono espressivi ma sanno di riflessione profonda. Il titolo d’altronde non lascia dubbi sulla sua poetica, sul genere di scrittura che le piace praticare. Sapevamo dalla silloge di esordio, Verso, della sua formazione e delle frequentazioni filosofiche, dei suoi slanci mai teneri contro chi le desse fastidio: qui troviamo una sottile analisi che si fa pure cattiva, se occorre. Modelli se ne potrebbero anche trovare, ma innegabilmente il primo riferimento di questa poetessa che insegna Filosofia è la sua disciplina scolastica: Alessandra, se vede qualcosa che non va o scopre qualcuno che non va (peggio se qualcosa o qualcuno la toccano da vicino), allora non manda telegrammi di protesta – prende la penna e annota sul taccuino nero: mette i voti all’umanità recalcitrante, che vorrebbe invitare a comportarsi appunto da umanità, se ciascuno riconoscesse i limiti che gli sono assegnati e non pretendesse di sforare a piacimento.
Filosofia, dunque, non è proponimento per paradosso letterario: la querelle è antica, platonica – viene prima il filosofo o il poeta? E Pascal, ha ancora le sue ragioni, se qui si vuole pensare con il cuore? La fortuna dell’autrice di questo piccolo libro è di essere poeta che sa la filosofia, e sa scrivere tenendo a mente i processi dell’e-spressione poetica e insieme le trame delle costruzioni filosofiche. Non casca però dalla bilancia, non si fa prendere la mano dalla voglia di esibirsi, anche se dice di andare «in giro nuda, senza maschere o paraventi» (segno di onestà intellettuale): è una persona che vuole rimanere soprattutto fedele a se stessa, ai suoi principi, ma sa mettersi in gioco, sa che la paglia può ancora accendersi, magari anche per sbaglio, per un eccesso di confidenza col fuoco... ma vale la pena di rischiare.
In queste sue nuove pagine, che dice pensate col cuore, Alessandra Di Guida propone un ventaglio di tipi umani da prendere in seria considerazione (ma con un pizzico di sana ironia), per evitarne magari gli eccessi e gli scacchi esistenziali: a lei è capitato, dice – e perché non crederle? –, questo ventaglio di occasioni che la vita le ha messo innanzi, senza riuscire sempre a cibarsene (alla maniera dantesca) come avrebbe desiderato. “Pensare con il cuore”, se pensare è già essere (vedi Parmenide, poiché è chiaro che Cartesio non se l’è inventata), può significare “essere amore”. Allora, da poeta, ma forse pure da professoressa di Filosofia, senz’altro da donna che si fa compagna di buon esempio, Alessandra si dà, “cercando insieme soluzioni” (suggerisce, non vuole forzare), a chi abbia orecchie per intendere, mente per comprendere e soprattutto cuore per amare.

Giuseppe Napolitano

  • Autori
  • Scarabeo, Iannacone, Napolitano, Rinaldi, Franchitti
  • Titolo
  • "Teatropolis" di Maffeo
  • Collana
  • La stanza del poeta
  • Pagine
  • 48
  • Anno
  • 2016
  • Prezzo
  • € 10,00

Buonasera a tutti e benvenuti a questa presentazione di Teatropolis di Pasquale Maffeo. Inizio col dire che è un grandissimo onore avere qui a Venafro il professor Maffeo. Lo ringrazio a nome di tutti per aver scelto di presentare un suo libro anche in questa terra, che tra l’altro ha un forte legame con la sua. Pasquale Maffeo, infatti, è nato a Capaccio, in quel di Paestum, ma vive a Tremensuoli, frazione di Minturno. Certamente a molti di voi il nome di questo paese non suona nuovo. Infatti Tremensuoli, insieme a San Nicandro Garganico, e a Venafro venera come santo patrono san Nicandro. Ma entriamo subito nel vivo della serata. Presentare Pasquale Maffeo è un’impresa a dir poco ardua, ma tenterò l’impresa con la speranza che lui mi perdoni per l’inadeguatezza e per l’incompletezza.
Prima e dopo la laurea in Lingua e letteratura inglese conseguita a Napoli, presso l’Istituto Orientale, con una tesi sull’Isabella di John Keats poi pubblicata, a parte una parentesi impiegatizia, a parte viaggi europei fatti anche in veste di inviato per la terza pagina, ha diviso la giornata tra insegnamento e letteratura. La sua produzione annovera libri di poesia, romanzi, racconti, saggi critici, biografie, testi di teatro. Ha tradotto classici inglesi. Dirige due collane, una di narrativa breve e una di saggistica letteraria, presso l’editore Caramanica. Collabora al quotidiano Avvenire. È sposato e ha due figli. Dopo una lunga residenza in area modenese, ultimamente è tornato a vivere a Tremensuoli. L’intero archivio della e sulla produzione di Maffeo (opere pubblicate, manoscritti, quaderni, bozze, indagini critiche, recensioni, immagini e materiale promozionale) nell’ottobre del 2008 è stato acquisito dal Centro di ricerca “Letteratura e Cultura dell’Italia Unita” dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano.
Tutta la sua produzione in versi è reperibile nel volume Nostra sposa la vita del 2010. In prosa an-novera tre raccolte di racconti, cinque romanzi (di cui l’ultimo uscito, nel 2011, è Il nano di Satana), tre biografie (di Salvator Rosa, Giorgio La Pira e Federigo Tozzi), saggi su autori italiani, una rilettura dei Poeti cristiani del Novecento del 2006. Alcuni testi teatrali – quattro se ne leggono in Voci dalle maree del 2000 – sono stati rappresentati o radiotrasmessi in Italia e in Svizzera. Da segnalare sono le traduzioni dall’area inglese: Wilkie Collins, William Blake, John Keats, Charles Dickens, Christina Georgina Rossetti, Alice French.

Versi e prose di Maffeo si leggono in antologie, strenne e rassegne apparse in diversi luoghi e tempi.
Da notare che molti nomi celebri della letteratura hanno scritto prefazioni per i suoi libri. Ne cito in questa sede solo uno per tutti: Mario Pomilio.
E non solo, tanti hanno pubblicato volumi a lui dedicati, come I picari di Maffeo di Raffaele Bussi del 2012 o Maffeo. Itinerari di ricerca del professor Giuseppe Napolitano (qui presente) del 2006 o ancora Il mondo lirico di Maffeo niente meno che del nostro Vincenzo Rossi del 1995.
Un’aggiornata bibliografia critica si trova in ap-pendice al volume di Rocco Salerno L’oceano, l’altrove in Maffeo poeta del 2009.
Le ultime pubblicazioni sono Voci dal chiostro. Monache di clausura raccontano del 2013 e Jaco-pone da Todi. Frate rovente poeta mordente del 2014, entrambe edite dalla Casa Editrice Ancora.
Ma non vi rubo ancora molto tempo, perché vorrei iniziare a cedere la parola al primo relatore: don Salvatore Rinaldi.
Credo sia superfluo in questo luogo parlare di don Salvatore. Tutti i presenti infatti conoscono il suo vivere quotidiano nella porzione di popolo di Dio affidatagli e le sue attenzioni, per quanto gli è possibile, nei riguardi di ogni persona che incontra. Tutti sanno che è Direttore della Caritas Diocesana, Presidente del Consultorio Familiare “Il Girasole”, Assistente Ecclesiastico del Gruppo Scout AGESCI Venafro 4 e tanto altro. Cosí come tutti i presenti sono a conoscenza delle sue numerose lauree e dei suoi tanti anni da docente universitario e nei licei. Ma pochi conoscono il don Salvatore scrittore. Su don Salvatore scrittore sono stati pubblicati due saggi molto interessanti. Il primo è del professor Amerigo Iannacone (qui presente) ed è pubbicato nella sua raccolta intitolata Testimonianze 2007-2014. Il secondo è della professoressa Vincenzina Scarabeo Di Lullo (anche lei qui presente) ed è pubblicato nel vo-lume Scuola di vita del 2015 che raccoglie 53 saggi di altrettanti autori dedicati a don Salvatore. Sia lo scritto di Iannacone sia lo scritto di Scarabeo sono sinceramente molto interessanti, ma in questa sede non credo sia il caso di leggerli. Basti dire però che don Salvatore ha alle spalle ben una ventina di pubblicazioni. Inoltre dal 2007 tiene la rubrica settimanale “Fede e Società” sul quotidiano Primo Piano Molise e periodicamente pubblica su Il Quotidiano del Molise, Avvenire, Caritas Migrantes, Consultori Familiari Oggi e Molisinsieme. Sue omelie sono raccolte, da Carmen Buono (qui presente) e da me, nei volumi Frammenti di speranza, Ferma il tuo esodo e Modellati dalla tenerezza (in uscita) nella collana specifica “Il nastro e la penna di una voce” delle Edizioni Eva.
A questo punto, credo sia proprio il caso di pas-sare la parola a don Salvatore, che è il padrone di casa. Ma prima di farlo vi rubo solo un altro minuto. C’è un episodio, proprio nel recentissimo volume Scuola di vita che lega don Salvatore a Pasquale Maffeo. Andrea Cecere, infatti, uno dei 53 autori, per descrivere un periodo particolare condiviso con don Salvatore durante l’ultimo anno di seminario, sceglie di usare proprio parole di Pasquale Maffeo, che gli sembravano le piú calzanti. Il paragrafo in questione s’intitola: L’ora del pianto ci rifece umani.
La parola a don Salvatore. Buon ascolto.

Dall'intervento introduttivo di Chiara Franchitti

  • Autore
  • Aldo Cervo
  • Titolo
  • Caiazzo
    nel secondo dopoguerra
  • Pagine
  • 50
  • Anno
  • 2016
  • Prezzo
  • € 10,00
  • Isbn
  • 978-88-97930-92-1


Quando a partire dal 3 di ottobre 1943 iniziò nel Medio Volturno la sequenza delle stragi naziste, in Caiazzo era Podestà Ferdinando de Angelis . I fratelli Stefano, Angelo e Carlo de Simone restavano gli elementi di primo piano del Fascismo locale. Reggeva da ventuno anni la diocesi mons. Nicola Maria Di Girolamo . Altri caiatini significativi culturalmente, notoriamente antifascisti erano i fratelli Loreto e Ortensio Severino , Procuratore del Re il primo, in servizio a Napoli; il secondo, Maggiore dell’esercito (prima della conversione all’antifascismo era stato Volontario in Spagna nel 1936). Di chiara collocazione antifascista anche il figlio del Severino Procuratore, l’allora giovanissimo Ortensio , ventitreenne, laureatosi l’anno prima in Filosofia presso la Federico II di Napoli.
Ai fini di una rappresentazione realistica del volto socio antropologico dei caiatini dell’epoca va ricordato che nei fascisti locali durante il Ventennio e, a Fascismo appena caduto, nei locali antifascisti l’essenza comune della caiatinità prevalse nettamente su quella ideologico-settaria, sicché, fatti salvi sporadici quanto inoffensivi atteggiamenti di ostilità, nessuno mai ebbe a patire comportamenti persecutori. La stessa detenzione dei fratelli Stefano e Angelo de Simone nel campo di concentramento di Padula dal gennaio 1944 ai primi mesi del 1945, disposta durante l’occupazione Alleata nonostante la loro risaputa integrità morale, fu – per cosí dire – un prezzo dovuto alla storia piú che alla Giustizia, tant’è che, accertata l’assenza, in entrambi, di reati particolari (profitti di regime, abuso di potere etc.) furono rimessi in libertà e riabilitati all’esercizio di professioni civili.

Breve estratto dal I capitolo