Vai al contenuto

  • Titolo
  • Coscienza:
    già e non ancora
  • Autore
  • Salvatore Rinaldi
  • Pagine
  • 148
  • Anno
  • 2015
  • Prezzo
  • € 14,00
  • Isbn
  • 978-88-97930-40-2


Siamo lieti di ospitare nella collana IBIS, di psicologia e neuroscienze, il saggio del Prof. Salvatore Ri-naldi sul tema della coscienza.
Il nome del Professore non ci era estraneo per i suoi studi antropologici sulle culture degli Zingari Rom e per i numerosi interventi su argomenti di bioetica, disciplina nella quale il Professore può vantare anche un Dottorato di Ricerca.
Ma Rinaldi – anche se avvezzo a muoversi in vari ambiti del sapere – è soprattutto una persona di fede cristiana ed un sacerdote, quindi è naturale che abbia voluto dare al presente lavoro un taglio decisamente teologico.
A nostro avviso principalmente due sono i punti di riferimento che orientano tutto il saggio: la Sacra Scrittura – a cominciare dalla dottrina dell’apostolo Paolo – ed i documenti del magistero cattolico. Riecheggia infatti l’insegnamento della Gaudium et Spes, la poderosa costituzione pastorale attraverso cui il Concilio Vaticano II seppe parlare di speranza alla nostra confusa e scoraggiata contemporaneità.
Quindi lo scritto di Rinaldi (la cui prima stesura risale ad oltre 20 anni or sono), sia pure nella sua brevità ed essenzialità, si pone come prezioso completamento alla miriade di studi sulla coscienza che, a partire dagli anni ’50, hanno invaso le riviste scientifiche e filosofiche.
L’argomento “coscienza” è indagato da secoli, anche se nell’accezione “moderna” ne fa specifico oggetto di riflessione (forse per primo) il filosofo tedesco Gottfried Wilhelm Leibniz, nella seconda metà del 1600. Dobbiamo però attendere l’avvento delle discipline che studiano il cervello, anatomicamente considerato, perché il tema della coscienza divenga interessante per quei “figli dell’Illuminismo” che avrebbero poi dato forma al concetto di scienza che utilizziamo oggi. È il neurofisiologo Carl Wernicke, sul calare del XIX secolo (1874), che tenta una localizzazione cerebrale della “funzione” della coscienza, considerandola in stretta relazione con la possibilità del soggetto di avere dialogo interiore.
Se per Wernicke la coscienza è dunque una sorta di meccanismo fisiologico addirittura rapportabile ad un’area specifica della corteccia dell’encefalo – ed in quanto tale assimilabile ad una funzione d’organo – per lo psicologo Wilhelm Max Wundt, connazionale e contemporaneo di Wernicke, è qualcosa di assai piú complesso, «premessa di ogni esperienza interiore» (è sempre il 1874 – anno in cui Wernicke pubblica gli studi sulle aree cerebrali), né circoscrivibile, né commensurabile.
Procedendo da queste due posizioni, lungo il corso del XX secolo, si configurano le grandi correnti di pensiero che disserteranno sulla coscienza: alla visione di Wernicke si ispirano gli studi che tentano di analizzare la coscienza attraverso tecniche di indagine bioelettrico-funzionale, a partire dalle ricerche del ’29 di Hans Berger, l’inventore dell’EEG (elettroencefalogramma), fino ad arrivare alle moderne apparecchiature per la neuro-imaging funzionale, quali la PET (tomografia ad emissione di positroni) e la SPET (tomoscintigrafia cerebrale ad emissione di singolo fotone) che consentono addirittura di fotografare di stati di coscienza “in movimento”.
Con la posizione di Wilhelm Max Wundt si coniugano invece quelle interpretazioni fenomenologico/fi-losofiche per le quali la coscienza è qualcosa che trascende la mera materialità neuroanatomica. Citiamo solo alcuni nomi: Karl Jaspers, Edmund Husserl, Maurice Merleau-Ponty, Martin Heidegger, Gerard Edelman, che considerano la coscienza assai piú di una funzione, senza necessariamente aprirsi a scenari spiritualisti o addirittura metafisici.
Da oltre 50 anni gli scienziati piú attenti hanno comunque cercato di superare la dicotomia organicismo sí, organicismo no, per aprirsi alla prospettiva di una complessità mirante all’integrazione di diverse branche del sapere – come il congresso internazionale di Boston sulle neuroscienze cognitive, del 1956, ebbe a dimostrare: ricordiamo i lavori di George Armitage Miller, Noam Chomsky (che nel 2005 ha ricevuto la Laurea Honoris Causa in Psicologia all’Università di Bologna), Hilary Putnam, Jerome Bruner. Ancora ne fu prova l’attività della rivista Journal of Cognitive Neuroscience – emanazione del congresso – che ospitò, sul tema della coscienza, contributi tanto di noti neurologi, quanto di celebri filosofi.
Ormai gli studi sulla coscienza non sono piú appannaggio di un’unica categoria di specialisti, ma necessitano di un poderoso sforzo di collaborazione interdisciplinare. In questo panorama, che sempre piú tende ad allargarsi, trovano, a pieno titolo, diritto di cittadinanza le discipline morali, cioè quelle che indagano la relazione tra coscienza e coscienza etica, ed è propriamente in tale contesto che si inserisce il saggio di Salvatore Rinaldi.
Potremmo dire che la dimensione etica è una funzione della coscienza? Forse sí, almeno se utilizziamo con una certa elasticità la parola “funzione”. La lingua tedesca – sempre piú preoccupata della nostra circa il rischio di confusione dei significati – preferisce usare due diversi termini per definire la coscienza in senso lato e la coscienza morale: nel primo caso usa l’espressione Bewusstsein e nel secondo la parola Gewissen, intendendo quell’insieme di processi, sia a livello cognitivo che emozionale, che stanno alla base della formazione della misteriosa voce interiore che, dalla notte dei tempi, guida le azioni degli uomini e con esse i loro destini… Ma qui ci fermiamo, altrimenti entreremmo nel territorio del Prof. Rinaldi, al quale invece è d’uopo che cediamo la parola.

Forlí, 16 marzo 2014
Gianni Tadolini

  • Autore
  • Salvatore Di Benedetto
  • Titolo
  • Dalla Sicilia alla Sicilia
  • Pagine
  • 104
  • Anno
  • 2015
  • Prezzo
  • € 18,00
  • Isbn
  • 978-88-97930-42-6


Prefazione
Introduzione a Salvatore di Benedetto (1911-2006)
e alla sua produzione letteraria in prosa e in poesia

Salvatore di Benedetto nasce in una famiglia benestante borghese di Raffadali (Agri-gento) il 19 novembre 1911 e muore il 1° maggio del 2006. All’età di diciotto anni, ancora studente liceale, a causa della sua partecipazione nella ricostruzione del Partito Comunista in Sicilia, viene arrestato e condannato al confino per cinque anni, inviato al soggiorno obbligato prima in Etiopia, allora colonia italiana, e poi a Ventotene. Da qui viene condotto in catene a Palermo per l’esame di laurea alla facoltà di giurisprudenza. Riacquistata la libertà, si trasferisce al nord e a Milano frequenta la facoltà di Lettere in quell’Università; qui si occupa di attività antifascista clandestina, di azioni partigiane durante la guerra e ricostruzione del Partitito Comunista nell’Italia settentrionale e centrale. È stato a lungo un militante attivo del Partito Comunista ed è stato, per quattro legislature, eletto Deputato e Senatore nel Parlamento Italiano. Ritornato in Sicilia si impegna in una nuova battaglia per l’emancipazione dei contadini siciliani, in un’atmosfera di lotta costante contro la mafia, che in quel tempo assassinò parecchi suoi compagni militanti. Questo coraggioso sostegno della classe operaia gli ha guadagnato la stima dei suoi conterranei, ed è stato quindi, per i successivi trent’anni, ininterrottamente riconfermato Sindaco della sua cittadina natale Raffadali. Quale Sindaco di Raffdali è stato il promotore ed iniziatore di molte attività culturali e sociali per il miglioramento ed il progresso della vita civile e sociale.
Numerosi sono stati altresí i suoi interessi nel campo della cultura e della letteratura quale scrittore. È stato scrittore, poeta, studioso delle tradizioni popolari, collezionista di reperti archeologici e ricercatore appassionato della Storia locale. È morto il 1° maggio 2006.
Della sua opera in prosa sono degni di nota e di lettura i seguenti volumi:

- Civiltà contadina, ed. IlaPlama 1978;
- Dalla Sicilia alla Sicilia, ed. IlaPalma 1980;
- La Sicila non è un isola, ed IlaPalma 1983;
- Il paese del marinaio, ed.IlaPlama 1988;
- Viva il sogno, ed. IlaPlama 1990;
- Nessuno muore, ed. IlaPlama 1995; ed altri.

L’unica sua raccolta di poesie è Le parole nemiche, Edizioni IlaPalma 1980. Secondo Salvatore di Benedetto, uomo attivo ed impegnato su vari fronti, la parola è nemica: essa è la continuazione della perenne lotta contro le mistificazioni che allontanano l’uomo dal dovere di fare, agire, cambiare la propria sorte. Persiste la profonda inadeguatezza della parola scritta e parlata per esprimere in modo compiuto ed esaustivo la forza del pensiero. Per lui la poesia è un fatto intimo che tende a raggiungere gli altri, per solidarizzare con i sentimenti ed i perché della vita degli altri esseri umani. Lui, quale poeta, usa la parola in modo parsimonioso: è poeta non colui che dice, ma colui che crea le parole come se fossero fiamme e serpenti, poiché le verità non possono essere celate, ed asserire e vivere queste verità è uno sforzo immane.
Cosí si giustifica, secondo il poeta, anche il suo costante impegno politico e sociale a favore dell’emancipazione delle classi operaie.

  • Autore
  • Raimondo Colardo
  • Titolo
  • Deserto sulla terra
  • Pagine
  • 96
  • Anno
  • 2015
  • Prezzo
  • € 12,00


Deserto sulla terra

Natura morta: rami secchi,
foglie ingiallite, terre aride
fiori appassiti.
Foreste che bruciano,
fiamme avvolgenti
si elevano in alto
tra fumi e frammenti.
Su ceneri bollenti
faccio i miei passi
e il preludio
del cammino mortale
si appresta.
Morti viventi
che vagano nell’ombra
fra le polveri del deserto
in cerca di quel poco che
ancor ci resta.
Non si vedrà piú l’ape
volar di fiore in fiore
né ci riscalda il sole
né luce piú si vedrà
Tombe senza nomi
morti senza croci
campane senza rintocchi.
Ma tutto questo
all’uomo non riguarda
perché non vede,
non sente... non guarda!

  • Autore
  • Amerigo Iannacone
  • Titolo
  • Manuale di esperanto
  • Pagine
  • 170
  • Anno
  • 2015
  • Prezzo
  • € 15,00
  • Isbn
  • 978-88-88030-82-1


Introduzione

L’esperanto è una lingua soprannazionale, patrimonio di tutta l’umanità, che si prefigge lo scopo di diventare la seconda lingua di tutti, da utilizzare preminentemente nei rapporti internazionali, in modo da eliminare i problemi derivanti dalle barriere linguistiche.
Ideato nel 1887 da Ludwik Lejzer Zamenhof, l’esperanto, secondo le parole dello stesso iniziatore, «non ha nessun legiferatore e non dipende da nessuna persona in particolare» ed «esperantista è chiamato chiunque conosce e usa la lingua esperanto indipendentemente dallo scopo per cui la usa».
Zamenhof nacque nel 1859 a Bialystok, in Lituania, regione della vecchia repubblica polacca che l’impero russo si era annessa, e morí a Varsavia nel 1917. A Bialystok in quel periodo convivevano — e non sempre pacificamente — diverse etnie, con diverse lingue, e fin da bambino Zamenhof si trovò ad osservare le difficoltà e i problemi dell’incomprensione linguistica.
Dopo un primo tentativo di creare una lingua internazionale in età adolescenziale, progetto andato a monte perché il padre gli distrusse gli appunti temendo che lo distraessero dagli studi, nel 1887 Zamenhof pubblicò la prima grammatica di esperanto, un libretto di 40 pagine in lingua russa, firmandosi con lo pseudonimo di Doktoro Esperanto, Il Dottore che spera, (Zamenhof era oculista). Il volumetto ebbe subito un’eco notevole in tutto il mondo e nel corso dello stesso anno furono pubblicate anche le versioni in polacco, in francese, in tedesco e in esperanto. Quello che era lo pseudonimo dell’autore, fu ben presto adottato per indicare la stessa lingua.
L’esperanto iniziò rapidamente a diffondersi, nacquero associazioni esperantiste in tutta Europa, cominciarono a uscire periodici in esperanto. La nuova lingua cominciava anche ad avere l’avallo di personalità illustri. Uno dei primi ad accettarla fu Lev Tolstoj. Nel 1889, rispondendo a V. Majnov, il grande scrittore russo scriveva: «Io ritengo l’apprendimento di una lingua europea comune (vale a dire la lingua internazionale esperanto) cosa assolutamente urgente [...]. Per quel che mi è possibile, io cercherò di diffondere questa lingua e, la cosa piú importante, cercherò di convincere tutti della sua necessità». Tostoj fu anche collaboratore del periodico La Esperantisto (L’esperantista), organo del nascente movimento esperantista pubblicato a Norimberga, organo che fu chiuso dalla censura zarista proprio in seguito alla pubblicazione dell’articolo di Tolstoj “Saggezza o fede?”.
Nel 1905, ebbe luogo in Francia, a Boulogne-sur-Mer, il primo congresso universale di esperanto, cui parteciparono 668 congressisti, provenienti da tutta Europa. Grande fu l’entusiasmo e il successo e da allora annualmente, eccetto qualche anno nei periodi bellici, si sono succeduti i congressi universali in città di volta in volta diverse. Ai congressi universali si andavano aggiungendo congressi nazionali, congressi settoriali, convegni, ecc. Sono nate riviste e trasmissioni radio quotidiane, ed è nata una vasta letteratura originale, oltre che tradotta.
L’esperanto è una lingua molto facile sia dal punto di vista fonetico sia dal punto di vista grammaticale. La grammatica, rigorosamente razionale, si articola in poche regole e senza alcuna eccezione. Il vocabolario è formato da radici provenienti da varie lingue, per la maggior parte dal latino e da lingue del ceppo indoeuropeo, prevalentemente con l’accoglimento, per ogni parola, della radice di maggiore facilità fonetica e maggiormente diffusa a livello internazionale.
Oggi l’esperanto ha una considerevole diffusione nei cinque continenti, nonostante il discorso esperantista sia portato avanti generalmente da appassionati e da studiosi, senza interessi né economici né di altro genere, ma solo dalla volontà di risolvere il problema della comunicazione internazionale.
Esiste un’organizzazione esperantista a livello mondiale, (la UEA, Universala Esperanto-Asocio, Associazione Esperantista Universale), la cui sede centrale è attualmente in Olanda, a Rotterdam, cui fanno capo oltre 50 associazioni nazionali. Quella italiana è la FEI, Federazione Esperantista Italiana, è ente morale e ha sede a Milano. Ma molte altre associazioni e istituzioni esistono nel mondo, a volte collegate tra loro, a volte indipendenti. Esiste inoltre una rete di delegati dell’UEA diffusi in piú di una cinquantina di paesi. Ci sono circoli esperantisti dislocati qua e là ed esistono associazioni esperantiste di categoria (scienziati, insegnanti, ferrovieri, medici, non vedenti, giovani, cattolici, mormoni, ecologisti, ecc.).
Di notevole rilievo è la letteratura originale in esperanto, dove si possono trovare opere di saggistica, narrativa, poesia, manualistica, ecc. Non pochi sono gli scrittori e poeti di grande talento che usano l’esperanto per le loro opere originali. Il primo fu lo stesso Zamenhof, che ha lasciato un’ampia messe di opere. Ci sono poi, come si può intuire, migliaia di opere tradotte da tutte le lingue, che danno la possibilità di avvicinarsi alle letterature di tutto il mondo, pur non conoscendo le lingue in cui sono state scritte le opere. Molte sono le riviste che si pubblicano un po’ dappertutto, dal semplice notiziario alla rivista scientifica, dal periodico di informazione a quello letterario. Inoltre parecchie emittenti radiofoniche (Varsavia, Pechino, Vienna, Roma, Berna, Città del Vaticano, Radio Radicale, ecc.) trasmettono regolarmente programmi in esperanto e, da ultimo, su Internet è possibile trovare un po’ di tutto, dai corsi di lingua gratuiti, ai servizi librari, dall’organizzazione alla storia del movimento esperantista.