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  • Titolo
  • Diario itinerante
  • Autore
  • Maurizio Zambardi
  • Collana
  • Colibrì
  • Pagine
  • 72
  • Anno
  • 2014
  • Prezzo
  • € 10,00

Nel 2010, sorprendendo tutti gli amici, che lo conoscevano sí come persona colta e sensibile, ma lo sapevano eminentemente storico e tecnico e non certo poeta, Maurizio Zambardi diede alle stampe una raccolta di poesie. E comunque non volle chiamarle “poesie”, ma intitolò il libro Pensieri itineranti. Una raccolta di brevi componimenti, scritti prevalentemente in occasioni di viaggi. Perché – chi lo conosce lo sa – Maurizio ama molto viaggiare, ma è un viaggiatore che in ogni posto dove si viene a trovare non si limita a una visita superficiale come fa la maggior parte dei viaggiatori-turisti, ma entra nel merito, si innamora dei luoghi, li visita con la sua competenza di architetto e di archeologo, ma anche con la sua sensibilità di poeta, cosí come lo abbiamo scoperto dopo la pubblicazione dei suoi Pensieri. E se si trova, per esempio, in Belgio, non va a visitare solo Bruxelles, bensí anche la tragica Marcinelle.
Ora, a cinque anni dall’uscita di quella prima plaquette, si ripresenta al pubblico dei lettori di poesia – pubblico forse ristretto, ma raffinato – con questa seconda raccolta, dal titolo abbastanza simile alla prima, perché abbastanza simile è il libro, Diario itinerante. Potremmo dire che questo nuovo libro costituisce un po’ la continuazione del primo. Sono sempre pensieri, pensieri poetici in libertà, annotazioni, a volte confessioni, a volte persino sfoghi.
I testi sono sempre in versi liberi, talvolta anche in forma di prose poetiche, ma c’è sempre una sorta di afflato poetico.
Maurizio, che continua a schermirsi, a dire che non si sente poeta, e che non ha voluto che ci fosse una presentazione pubblica del suo primo libro, nutre in realtà un grande rispetto per la poesia, che ama a dispetto della sua formazione tecnica piú che letteraria. Ma, si sa, la storia della poesia – del Novecento soprattutto – è piena di tecnici e di poeti che vengono dagli ambienti piú disparati. A cominciare dal ragioniere Montale, dall’ingegnere Sinisgalli, dal libraio Saba, dal geometra Quasimodo, dal commesso di libreria Penna, e cosí via.
Leggendo questo libro, si ha l’impressione che l’autore quasi voglia evitare di esporsi, che non voglia farsi considerare poeta, e alterna a testi lirici, testi che quasi sembrano davvero appunti presi sulle pagine di un diario o descrizioni piuttosto tecniche. Cosí troviamo versi come questi: «Al profumo di una precoce primavera / sono sbocciate le tue violette / mentre la mimosa, / che tanto amavi / e che volesti far ripiantare, / esplode di giallo.», oppure: «Sei circondato / dai tuoi fedeli compagni: / il vecchio generoso pero / e la radiosa ginestra / che sbocciò per la prima volta / l’estate che mamma ci lasciò.» o anche: «Acrobatiche danze / di silenziosi balestrucci / che rasentano il suolo / al ritmo ondoso del vento». E troviamo anche testi come questi: «Domani visita e accoglienza / alla scuola che ci ospita. / Poi visita di varie località», «Giants’ Coseway / grattacieli di pietre / di una antica città / che si affaccia sul mare.», «Siamo ospiti in una casetta di mattoncini rossi in un piccolo villaggio lungo le sponde di un lago», «Visita del Villaggio di Aarhus, in pieno medioevo», quasi che Maurizio cerchi una giustificazione nei confronti di suoi lettori adusi a leggere di lui testi di natura diversa dalla poesia a volere con queste semplici annotazioni allontanare da sé il sospetto di farsi chiamare poeta o comunque giustificarsi verso coloro che non sono lettori di poesia.
Diario sí, ma anche la parola “diario” vuole in qualche modo sminuire il valore della poesia o almeno evitare di ostentarla.
A nomi di città piú o meno esotiche, piú o meno lontane (Tournai, Bruges, Rodi, Faliraki, Lindos, Amsterdam, Endhoven, Silkeboorg, Amburgo, Apokkias, New York, Bratislava, Stoccolma, Heraclion, Chania) si alternano i familiari, amati nomi dei centri della vita quotidiana (San Pietro Infine, Venafro, Sambúcaro, Cassino, Isernia), cui Maurizio è tenacemente legato. E proprio a questi luoghi, alla gente di questi luoghi sono dedicate le parole piú delicate e anche commosse: «Mi aggrappo alla vita come il naufrago ad uno scoglio nel mare in tempesta» (“In morte di Giustino”); «Un mulinello di foglie secche / danza un valzer nella strada / deserta e assolata / al ritmo di un barattolo vuoto / che rotola giú / contando i gradini della piazza.»
Particolarmente significativi nella poesia di Maurizio sono gli affetti familiari. Troviamo testi dedicati ai figli Elvira, Stefano e Laura e poi il ricordo commosso di Nonna Nannina e soprattutto, ricorrente, insistente, con parole intrise di un malinconico ricordo, il pensiero della madre perduta: «Dove sei, madre? / Nel tuo volo / è rimasta impigliata / la mia spensieratezza.» E non poteva mancare la moglie Luciana, «compagna / del viaggio piú importante», cui è dedicato il libro.

Dalla prefazione di Amerigo Iannacone

  • Autore
  • Antonella Sozio
  • Titolo
  • Il sole e l'azzurro
  • Collana
  • La stanza del poeta
  • Pagine
  • 88
  • Anno
  • 2014
  • Prezzo
  • € 8,00


Il tuo visino dissipa ogni nebbia...

SI POTREBBE assumere questo dolcissimo verso come esergo, e farne insieme la chiave d’ingresso nel libro e nell’animo dell’autrice. Antonella Sozio è felicemente nonna e scrive per il nipotino Lorenzo poesie d’amore senza ritegno, senza paura di esporre i sentimenti - vive nella sua poesia una storia intensa (ancor più intensa perché il piccolo Lorenzo vive dall’altra parte dell’Oceano e ancora più lontano), una storia fatta di momenti assaporati nel farsi parola e condivisi pertanto per fare innamorare anche il lettore dell’oggetto del suo amore.
È un’opera matura, di forti suggestioni, Il sole e l’azzurro, ed è insieme un regalo inusuale, da nonna a nipote, affidato alla carta stampata perché vuole rimanere come testimonianza non occasionale. La poetessa molisana – che aveva esordito anni fa quasi in sordina ed era apparsa poi solo in riviste o in pubblicazioni collettive – ha deciso, con Il sole e l’azzurro, di riproporsi ad un pubblico più vasto nelle vesti che più riconosce sue.
Ormai sicura delle sue capacità espressive, Antonella Sozio costruisce e presenta un libro che ha una propria completezza, anche se raccoglie i testi senza un ordine apparente: il filo conduttore è il desiderio di comunicare a Lorenzo quanto profondo sia il potere della sua presenza nel mondo – per ora quello degli affetti familiari, augurandogli certo di essere presenza viva nel mondo che lo accoglierà tra non molto, e addirittura (in un apotropaico rovesciamento di ruolo) lo farà artefice di una nuova dimensione esistenziale per gli stessi autori della sua esistenza:

sarò messe
solo se tu sarai seme.

E si può chiudere questa nota di pre-sentazione con un’altra citazione esemplare, che è un’altra ancora di salvezza, e una subliminale dichiarazione d’amore (e ce ne sono diverse nel piccolo libro che Jason Forbus ha tradotto con affetto paterno oltre che con la sensibilità poetica nota a chi conosce la sua poesia):

mia luce sempre
in fondo al pozzo dei giorni.

Giuseppe Napolitano

  • Titolo
  • La stella, la croce, la luna
  • Autore
  • Lucia Barbagallo
  • Collana
  • Perseidi
  • Anno
  • 2014
  • Pagine
  • 208
  • Prezzo
  • € 15,00

Presentazione

DA UN TACCUINO di appunti, presi durante un viaggio, dimenticati in un cassetto e poi ritrovati, nasce un romanzo; certamente legato al desiderio di ricordare, rivivere, narrare quella esperienza, per alcuni aspetti unica e irripetibile, e alle sensazioni vissute, alle fantasie evocate dalle immagini di quella terra; ma anche per accomunare a quel felice itinerario una sottile storia d’amore.
La tenue vicenda di Elena e Saverio, che si ritrovano proprio là, dopo anni di lontananza, è il filo conduttore della storia narrata in questo libro. Ma protagonista incontrastata è proprio quella Terra dal triplice volto:
Terra d’Israele, sulle carte politiche e nel cuore, nella fede, nella storia di una razza e di una cultura;
Terra di Palestina, nei millenari ricordi storici e religiosi e nelle speranze di un altro popolo che l’abita e di una parte di esso che dovette abbandonarla;
Terra Santa, nella fede di chi in essa vede e sente il dipanarsi del disegno cristiano di salvezza.
Quella terra, dunque, non può non essere che la vera protagonista, qualunque sia la storia umana a cui faccia da sfondo.
Persino l’insolita, fascinosa trovata degli “interludi”, magiche evocazioni di fatti e vicende, suscitate dai luoghi come fantasmi sorti da fuochi nascosti tra ceneri e rovine, finisce per sottolinearne la complessa fisionomia, pur partecipando alla vita stessa del romanzo. In esso, le tre culture che attraversano e animano quella terra, trovano ognuna un “paladino” che dimostra di essere — al di là delle singole convinzioni ideologiche — un “credente” di fatto e di diritto; ma il convivere e lo scontrarsi di fedi e di anime, se da un lato costituisce la ricchezza e la pienezza di quel paese, è ben lungi, sia nel libro come nella realtà vera, dal trovare un momento di armonia, in cui possa germogliare il seme di un superiore credo universale, che raccolga in sé il meglio di quanto le singole idee possano dare.
Resta comunque il fatto che le domande poste da quella terra a chiunque l’accosti, non lasciano indifferenti: cosí è per i personaggi della “storia di un viaggio” i quali, attraverso una sofferta parabola esistenziale, manterranno le loro individuali scelte di fede che, in fondo, sono scelte di libertà interiore.

  • Autore
  • Nicola Napolitano
  • Titolo
  • Centopagine
  • Collana
  • La stanza del poeta
  • Pagine
  • 136
  • Anno
  • 2014
  • Prezzo
  • € 8,00


SE AVESSI un figlio, mi piacerebbe che un nonno gli raccontasse una storia come quella che in queste pagine rivive e fa rivivere il mondo che una volta... perché c’era, una volta, un mondo così, un mondo anche duro ma buono, difficile e generoso, un mondo fatto di uomini e di cose, di cose semplici, e di animali domestici. Le mucche non impazzivano, allora...
Non ho conosciuto il nonno di cui porto il nome e del quale in questa narrazione emerge a tratti la figura che pur conoscevo, come in gran parte sapevo degli episodi e dei personaggi dei quali si racconta... eppure, leggendo d’un fiato le vicende a volte buffe, a volte pensose, non di rado venate di malinconia ma quasi sempre accarezzate con l’affettuosa dolcezza che la distanza nel tempo consente anche a chi le ricorda con una punta di dolore, leggendo tutte insieme queste pagine, ho scoperto quanta fatica c’è dietro la mia nascita!
Nicola Napolitano continua a scrivere nella sua nota biobibliografica che è “nato da una famiglia di agricoltori. Ha lavorato la terra fino a 22 anni”, quella terra alla quale è tornato, con l’entusiasmo dei vent’anni, appena ha smesso di lavorare nella scuola, e finché le forze glielo hanno consentito. E poi si è dedicato alla ricostruzione letteraria del suo passato, prima attraverso l’amorosa raccolta dei proverbi paesani, infine con queste memorie del tempo che fu – per farne un “presente” ancora degno di essere ascoltato, come se fosse una storia di quelle che sua nonna gli raccontava da bambino, frutto di fantasia e di esperienza, come quelle che sua madre, mia nonna, raccontava a me...
Ecco perché vorrei che a mio figlio fosse raccontata la storia che si srotola in queste pagine. Non riesco a concepire come si possa, pur nel mondo tecno-informatico che ci avvolge e ci protegge, ci seduce e ci sconvolge, dimenticare o fingere di dimenticare che veniamo da un’altra civiltà, genuina e sofferta, costruita sulla fatica di uomini e donne che ha segnato secoli di lenta evoluzione, e senza di quella, è addirittura ovvio ricordarlo, non ci sarebbe questa nostra civiltà. Il corsivo allude peraltro all’insistente dubbio che mi turba: siamo ancora, consapevolmente, cives di qualcosa? Ci sentiamo in qualche misura, in quale misura, appartenenti ad una società? Un tempo, anche i contadini, ignoranti per lo più, superstiziosi, avevano tuttavia una identità di appartenenza... sapevano di essere tali, masticavano amaro, certo, si nutrivano spesso di pane e lavoro e a volte di solo lavoro o nemmeno di quello, della speranza di averlo presto, ma sapevano di essere quel che erano e rispettavano i propri simili e coloro che, di-versi, li rispettavano.
Ho voluto riproporre queste pagine (la parte iniziale della premessa a Casale. Memorie del tempo che fu) perché adesso “un figlio” c’è, ed è una figlia che legge moltissimo e sa di aver avuto un nonno scrittore... L’augurio di allora, quindi, può dirsi esaudito? Veglierò su mia figlia che abbia sempre sul suo tavolo i libri giusti, che faccia le letture adatte alla sua età, alla sua personalità, ai suoi interessi, e non dimentichi che – se è nata com’è, con la voglia di leggere (e scrivere) che ha – è anche per merito di un nonno come suo nonno Nicola, del quale porta anche il nome.
Comunque, ho voluto ancora proporre, di mio padre, una scelta di pagine esemplari, in cerca ancora di lettori disposti con lui a viaggiare nei sentimenti, a farsi catturare dalla bellezza della vita, dalla bontà dell’uomo. Se avrò fortuna, l’avrà avuta anche lui, in questo 2014 che ha segnato i cento anni dalla sua nascita. Perciò sono “centopagine”, perciò spero di avergli dato un’altra occasione di essere vivo con i lettori che vorranno avvicinarsi a lui con l’animo buono che egli aveva quando si avvicinava ai lettori – prima di scoprire, purtroppo, a volte, di non aver saputo cogliere la loro attenzione, la loro disponibilità, la loro sensibilità. È sempre il cruccio dei buoni: accorgersi che la propria bontà non è compresa – fraintesa o disprezzata, inutile. Allora può anche darsi che il buono diventi cattivo, scopra in sé la durezza che gli consentirebbe di sopraffare il prossimo in una lotta per sopravvivere, alla quale comunque non si sente portato – e la cattiveria, appena emersa, torna nel fondo dell’animo, che però ancor più se ne cruccia, e si chiude a riccio, pauroso di nuovi incontri...
Questo volumetto esce come primo numero di una nuova serie della vecchia collana “la stanza del poeta”, nella quale ho pubblicato 111 piccoli libri: la presenza di mio padre è un augurio per me, a continuare a crederci, come lo è la collaborazione rinnovata con l’amico fraterno Amerigo Iannacone, editore e poeta. Nella sua collana “i colibrì” era uscito qualche mese fa Scuola di poesia, testimonianza a più voci sulla natura poetica di Nicola Napolitano: queste Centopagine vogliono essere di quel libro un complemento, per unire alle voci amiche la voce dell’amico, scomparso ma sempre vivo se in quelle appunto la sua può trovare un’eco.


Un grazie particolare a Maria Rita Manzo, Assessore alla Cultura, per aver sollecitato e patrocinato la commemorazione che si è tenuta il 7 novembre al Comune di Formia, nella Sala Sicurezza (Antonio Sicurezza fu grande amico, oltre che conterraneo, di mio padre). Nell’occasione, abbiamo anche inaugurato nella Biblioteca Comunale di Formia un “fondo poesia” intitolato a Nicola Napolitano – la stanza del poeta, che raccoglie oltre cinquecento volumi di poesia di autori del Novecento


Un grazie affettuoso a Maria Di Maria (mio padre fu il suo primo Preside), mamma del mio indimenticato alunno Alfredo Lanzafame, prematuramente scomparso: ricordando suo figlio, Maria ha voluto ricordare insieme, e insieme a me, Nicola Napolitano.

Giuseppe Napolitano