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AA.VV. |
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Premio Una fiaba per te 2010 |
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Premio Una fiaba per te |
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116 |
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2010 |
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€ 15,00 |
Non perdiamo di vista il bello, il giusto, il buono
Il calo dei partecipanti a questa quarta edizione del Concorso “Una fiaba per te”, probabilmente casuale, forse fisiologico (alcuni fedeli concorrenti potrebbero aver esaurito negli anni le cartucce migliori), invita comunque a riflettere: può darsi che il mondo non voglia piú ascoltare favole? Può darsi che troppe se ne debbano sentire da chi invece avrebbe il dovere di parlare concretamente… può darsi che si preferisca ormai parlare chiaro a chi nemmeno ha piú le orecchie per intendere.
Di fiabe, invece, abbiamo ancora bisogno, se è vero che il passato è il fondamento della nostra cultura e quindi della nostra stessa esistenza; e se è vero che la memoria del passato è custodita spesso proprio dalle narrazioni favolistiche, custodi della sapienza popolare di un tempo, alla quale conviene comunque rifarsi per evitare fughe in avanti a sensazione, le quali troppo spesso – è dimostrato – non portano dove avremmo voluto. Nella favola, invece, possiamo trovare una dimensione umana (esaltata di solito nel confronto e nello scontro con l’imprevisto, il magico, il sogno) che ancora ci dà la misura del nostro essere, del nostro stare qui, oggi – ed è con questo che bisogna fare i conti. Perché, per andare avanti, è meglio, è senz’altro piú produttivo sapere da dove si viene, piuttosto che sognare dove si vorrebbe andare (peggio: farsi portare dove ci vorrebbero portare, dove le immagini sono solo immagini e non hanno sostanza dietro, la sostanza che invece nutre le favole, intrise del buon senso di un’intera civiltà).
I lavori presentati quest’anno al Concorso “Una fiaba per te” – malgrado siano apparsi nel complesso meno convincenti rispetto agli anni precedenti – hanno proposto comunque diversi interessanti spunti tematici; costringendo la Giuria ad un attento lavoro di vaglio per decidere come assegnare i premi previsti.
La tendenza all’apologo permane piuttosto forte: parecchi autori si soffermano a ragionare di come potrebbe andare il mondo, proponendo soluzioni moraleggianti. Trova quindi spazio la favola ecologica e fantapolitica, come pure quella – diretta forse piú a lettori in formazione – che invita a cogliere nel mondo circostante l’attiva presenza di creature amiche (e l’intento pedagogico – “de te fabula loquitur”, dicevano gli antichi – è un carattere che va sempre tenuto presente). Il tema dell’amore, della vittoria dei buoni sentimenti sulle difficoltà dell’esistenza, è pure ben presente. Gli animali, come si conviene, sono spesso protagonisti, come i bambini con il loro stupore e le difficoltà di crescere e le prove da superare in un ambiente ostile. In qualche caso, si può cogliere netta la derivazione dai modelli classici, piú o meno assimilati ma necessariamente riproposti proprio perché vi si ritiene espressa una verità sempre valida.
Si avverte in definitiva l’esigenza (e la conseguente ricerca) del bene – e questo è già un indice caratterizzante; ma discutere su come debba intendersi oggi la scrittura favolistica, su quali debbano essere i criteri per valutare di una scrittura narrativa l’elemento fiabesco, sul messaggio che da quella dovrebbe emergere… tutto questo lascia il tempo che trova in simile contesto operativo: nel valutare i lavori pervenuti a concorso, si è inteso riconoscere il valore della scrittura piú che le componenti specifiche del genere (anche se il giudizio della Giuria ha tenuto conto delle qualità linguistico-espressive dei testi pervenuti, ma pure della loro forza di testimonianza, della volontà di schierarsi dalla parte del bello, del giusto, del buono – non è parso poco e tale sforzo soprattutto si è voluto premiare).
Giuseppe Napolitano