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Il Foglio Volante di luglio

Foglio Volante n°7 Anno XXXII Luglio 2017


Landolfi e la morte del romanzo
(Landolfi è la morte del romanzo)

Sto rileggendo con la sorpresa della prima volta se non maggiore (pare che quella sorpresa, crescendo io, sia cresciuta anche lei con me) gli ultimi 71 elzeviri pubblicati da Tommaso Landolfi nella terza pagina del Corriere della Sera, dal dicembre 1967 all’agosto 1978. Tenendo presente, come avverte una nota agli stessi, che la maggior parte arriva soltanto al 1971, anno nel quale Landolfi cominciò a non sentirsi e a non stare piú bene.
Rileggo questi particolari, eccezionali “elzeviri” nel volume pubblicato da Adelphi nel 2012 col titolo, finalmente e definitivamente “landolfiano” Diario perpetuo. Un titolo che, sebbene voluto fortemente dall’autore, fu ripetutamente sostituito nel giornale citato con altri e singoli titoli, tanto bizzarri quanto infelici.
Non si ebbero tuttavia in proposito mai reazioni da parte di Landolfi: il quale – si sa – era tanto attento preciso e scrupoloso nel curare la scrittura di questi suoi pezzi (“pezzi d’anima” vorrebbe da definirli) quanto indifferente all’esattezza o meno della loro trascrizione a stampa. Nonostante ciò, o proprio perciò, non vanno “assolti” quei curatori della terza del Corriere per le loro stravaganti e offensive intromissioni: – quei curatori – o dovevano sapere come non una parola usciva mai a caso dalla bocca e dalla penna del narratore ciociaro. Nessuna parola, e tanto meno le due che formano il titolo Diario perpetuo.
Quel titolo, infatti, in particolare, era stato da sempre progettato e inseguito dal suo autore. Non solo dal 1969, quando lo aveva proposto ad Arrigo Benedetti nell’inviargli per il suo rinnovato Mondo il racconto Le maiuscole; ma fin dal 1954 quando lo aveva aggiunto come sottotitolo all’altro racconto apparso in stampa col titolo Ombre.
Insomma, era nata quasi insieme con Landolfi l’aspirazione o l’ispirazione a voler procedere, a dover procedere, prima o poi, alla narrazione delle varie fasi della sua vita; ed era nato quasi insieme con Landolfi quel titolo ripetutamente contraffatto dal Corriere.
E cosí, mentre scriveva su altro e di altro, Tommaso Landolfi pensava a scrivere, e “mentalmente” già lo scriveva, quello che doveva essere, che sarebbe stato il suo “vero” libro.
Purtroppo i critici, i nostri spesso troppo lodati critici, hanno volutamente o incolpevolmente ignorato questa realtà, sebbene abbiano parlato sempre, e non sempre adeguatamente, dei vari romanzi o racconti lunghi di Landolfi. Critici, i nostri beneamati critici, che hanno ignorato due volte la grandezza dello scrittore di Pico Farnese (cosí si chiamava il suo paese quando lui vi era nato, e apparteneva alla provincia di Caserta); due volte, si diceva, quei critici hanno sbagliato nei confronti di Landolfi: quando hanno cercato la grandezza dello scrittore dove non stava, quando non hanno cercato quella grandezza dove, al contrario, stava. Hanno preso, quei critici, come volgarmente ma azzeccatamente si dice, due “cantonate”. La prima (è bene ripeterlo) nel cercare Landolfi dove non stava; la seconda, nel non cercarlo dove stava.
Non tutti i critici hanno preso, ovviamente e fortunatamente, quella “cantonata”. Perché c’è un libro su Tommaso Landolfi, di Tommaso Landolfi, che ha scritto il nostro Italo Calvino; quasi a riparazione dei tanti abbagli e sbagli dei suoi colleghi critici. Cosa ha detto, cosa dice Calvino, presentando Le piú belle pagine di Landolfi (come si intitola il libro)? Dice, semplicemente e al tempo stesso audacemente e veritieramente, tra l’altro, questo: «... molte volte la disposizione d’animo che muove la mano dell’autore lo porta a disinvestire l’atto dello scrivere d’ogni pretesa di costruire un’opera compiuta e ben ricevibile e durevole, e a farne invece gesto noncurante, scrollata di spalle, sberleffo, come di chi ha sempre saputo che il fare è solo spreco, fumo, insignificanza...»
Figuriamoci se uno scrittore cosí “irregolare” poteva piacere, potrebbe piacere ai nostri critici che, essendo se non proclamandosi sempre, di “sinistra” o di “destra”, hanno fatto e fanno dipendere da detti paraocchi ideologici i loro ponderati giudizi! Non sapendo, o fingendo di non sapere, che non è dal rispetto di questa o quella ideologia politica che dipende l’esistenza e consistenza di uno scrittore, ma dal valore etico ed estetico (non c’è l’uno senza l’altro) delle sue opere.
Stando cosí le cose (non sembra che la cosiddetta “morte” di ogni ideologia possa comportare la rivalutazione di uno scrittore cosí “anti- come appunto Landolfi) La conferma di questa “rassegnazione” o a questa “rassegnazone” è venuto solo pochi giorni fa: quando un critico non da poco come Pier Vincenzo Mengaldo in una intervista a La Repubblica, ha citato come grandi narratori tanti nomi ma non, tra essi, quello di Landolfi.
Dobbiamo, dunque, rassegnarci (noi pochi stimatori di Landolfi); rassegnarci ma non rammaricarcene piú di tanto: piú di quanto non se ne sarebbe rammaricato Landolfi stesso: il quale, non se ne sarebbe rammaricherebbe Landolfi stesso, il quale non se n’è una volta rammaricato né se ne rammaricherebbe assolutamente. Come non si rammaricava né se la prendeva per i numerosi errori con cui spesso apparivano i suoi scritti
Ed è forse in questo suo atteggiamento sprezzante verso e contro tutti i critici che si può cogliere il perché dell’atteggiamento cosí sprezzante verso e contro di lui da parte dei critici.
Quanto, poi, alla vita vera, alla vita privata vissuta di Landolfi (avviandomi alla conclusione di questo articolo dedicato a uno scrittore “autobiografico”, credo di potervi fare riferimento), quella vita stessa fu crudele verso di lui almeno quanto lui fu crudele verso di lei. Gli ultimi anni (“ultimi” ma purtroppo “non pochi”) furono davvero un “calvario”: Che lo scrittore non solo sopportò umanamente con intrepido coraggio, ma dominò poeticamente con la sua inesauribile arte.
La vita fu ancora – una volta eliminato lui – crudele con i suoi stessi figli: Idolina, che dedicò ogni istante della sua non lunga esistenza a decifrare per sé e per noi altri la misteriosa figura paterna (somigliandogli e identificandosi con lui, sia nel diventare lei stessa notevole scrittrice, sia venendo come lui uccisa dal cancro); suo figlio Landolfo che, accoppiando detto nome al quasi omonimo Landolfi, fu come se avesse ereditato in sé e per ben due volte suo padre (e facendolo per la seconda volta morire il lui).
A chi, infine, è rimasto (una nuora? una nipote?) di quella aristocratica famiglia (“aristocratica” in senso storico e metaforico) la nostra piú sincera e commossa gratitudine e solidarietà: sincera, commossa, ma anche – come l’avrebbe liquidata e dissacrata Landolfi stesso – “perfettamente inutile”!
E infine (stavolta “infine” davvero) un pensiero ai lettori (un manipolo sempre piú ridotto ed eroico): un pensiero come saluto e ammonimento insieme: Cari Lettori, voi potete ben conoscere tutti gli scrittori del mondo, ma se non conoscete Tommaso Landolfi è come se non ne conosceste nessuno!
Coreno Ausonio, maggio-giugno 2017
Tommaso Lisi


Mi impegno sempre

Cado sempre, mi impegno sempre
per un giorno nuovo
una mattina diversa
mi batto sempre
per una primavera mai vista.
Cado sempre, mi impegno sempre
per degli occhi attenti
per delle orecchie
attente
ribelli.
Non aspetto mai e mi muovo
sempre
con le mani
nella merda
fino al gomito.
Non aspetto mai e do tutto
tutto
per un’ora felice
un attimo
una notte tranquilla
grido e graffio
non aspetto mai
mi muovo, cado sempre
senza risparmio
fino in fondo
non aspetto mai
con la carne sempre piú
a buchi
mi aggrappo alla nostra storia
al nostro tempo
che dovrebbe discendere
presto
da uno stradone bello e immenso
senza piú grigliati
davanti
senza muri
senza piú spioncini sbarre
senza pali
senza suoni e silenzi
cinici e crudeli.
Mi impegno sempre
cado sempre
non mi stanco mai
non aspetto mai.

Ferruccio Brugnaro
Spinea (VE)


Appunti e spunti
Annotazioni linguistiche
di Amerigo Iannacone

Nomi e names

Le persone che ho conosciuto da ragazzo, i compagni di scuola, gli amici, gli adulti, quelli che abitavano dove abitavo io, quelli che incontravo in piazza, si chiamavano Paolo, Maria, Giovanni, Ada, Lucia, Mario, Antonio, Carla, Dario, Marco, Claudia, Enrico, Giuseppe, Ida...
I ragazzi di oggi si chiamano Kevin, Carol, Sharon, Nicholas, Tony, Mary, Dustin, Erik, Jennifer, Jason, Jeffrey, Max, Brad, Fanny, Danny, Kate...
E quasi sempre ci sono bizzarri accostamenti tra nome e cognome, tipo Jennifer Esposito o John Brambilla, al limite del ridicolo.
Questo ci fa supporre che a Londra e a New York, dove una volta i nomi erano Kevin, Carol, Sharon, Nicholas, Tony, Mary, ecc., oggi sono Paolo, Maria, Giovanni, Ada, Lucia, Mario, Antonio, ecc.
O no?


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