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Quattro autori per quattro medioevi?

  • Titolo
  • Quattro autori per quattro medioevi?
  • Autori
  • Buongiovanni, Franchitti, Sarra, Zullo
  • Collana
  • Colibrì
  • Anno
  • 2014
  • Pagine
  • 120
  • Prezzo
  • € 10,50

Introduzione
L’idea di Medioevo nasce con l’Umanesimo italiano, per definire un arco di tempo che si snoda tra la fine del VI e il XV secolo. Da un certo punto di vista possiamo considerare la categoria storiografica di Medioevo pertinente, perché riconosce e custodisce molti elementi di continuità in un lungo periodo; allo stesso tempo però questa etichetta risulta equivoca e ingrata, costringendo il Medioevo alla condizione subalterna di tempo intermedio e di attesa tra l’età antica e l’età moderna. Per altro, rispetto alle due età estreme, il Medioevo risulta un tempo molto più lungo e complesso. La difficoltà per l’Umanesimo a comprendere il Medioevo corrisponde al fatto che in esso la razionalità ha un ruolo di secondo piano, soprattutto nella costruzione del senso della storia e della vita. Questa caratteristica potrebbe per altro costituire un elemento capace di suscitare di per sé interesse dal punto di vista del nostro tempo, segnato da così grandi interrogativi sul significato della razionalità nella storia.
La storiografia letteraria che si dedica ai testi latini scritti da Boezio a Erasmo da Rotterdam mostra una vivacità culturale inattesa. Il Medioevo nasce dopo la guerra di Giustiniano contro gli Ostrogoti di Teoderico, dopo la sua effimera vittoria e dopo il sostanziale prevalere in Italia dei Longobardi sui Bizantini, quando tutto ciò che proveniva dalla tradizione classica e dalla romanità fu messo in discussione, in un profondo rinnovamento della cultura. Da questo momento in poi non è più la razionalità a prevalere, e interruzioni che non si ritenevano possibili si verificano nella realtà. La rottura con la cultura classica non è, però, assoluta e ciò è rivelato dal fatto che il latino rimane la lingua della cultura e i testi antichi continuano a essere letti e trasmessi, per quanto in un contesto intellettuale e spirituale del tutto nuovo, segnato dall’idea che vi è qualcosa di ulteriore alla ragione che regola i fatti storici e la natura, qualcosa che sarà rappresentato eminentemente dalle forme della cristianità.
Nello studio del Medioevo è possibile individuare quattro periodi, ognuno dei quali può essere introdotto con lo studio di un autore ritenuto particolarmente rappresentativo della temperie culturale dell’epoca di appartenenza. La prima fase (secoli VIII-IX) è successiva all’apertura di Gregorio Magno nei confronti dei Germani. Egli è il primo a dare un’interpretazione di un periodo confuso e a percepire la possibilità di senso di una storia che sembra non averne. La figura maggiormente rappresentativa di questa nuova visione storiografica, sulla scia di Gregorio, è il monaco anglosassone Beda il Venerabile, autore dell’Historia ecclesiastica gentis Anglorum, la prima storia degli Angli. Tra i secoli X-XI, con la crisi dell’impero carolingio e l’uso ideologico della tradizione germanica (che nuovamente cerca il mito dell’Impero), avviene un cambiamento. Sul piano letterario, la storiografia lascia spazio alla lirica, nasce una nuova sensibilità letteraria, emergono passioni e sentimenti, l’attenzione è rivolta al singolo individuo e la letteratura si focalizza sulla natura dei sentimenti umani. Paradigmatica di questa fase è la personalità di Letaldo di Micy, agiografo e autore in particolare del Whitin Piscator. Nei secoli XI-XII la riflessione filosofica di Anselmo di Aosta, vescovo di Canterbury, dà una nuova dignità alla ragione dell’uomo, che si rivela uno strumento utile per dimostrare l’esistenza di Dio e la verità della tradizione cristiana. In questo riconoscimento delle possibilità della ragione Dio si mostra vicino all’uomo e compare nella figura dell’amicizia. Da ciò deriva quello che è stato chiamato il Rinascimento del secolo XII, con una rinnovata fiducia nel linguaggio e nelle possibilità dell’uomo. Eloisa, nelle lettere ad Abelardo, porta alle estreme conseguenze il razionalismo anselmiano, mostrandone la forza e le criticità: la persona si sente ora capace di giustificare interamente se stessa e i propri atti. Il linguaggio che aveva trovato in sé una traccia divina, trasforma gli atti umani che narra, ponendoli in relazione all’intenzione di chi li compie e questa relazione è decisiva nel giudizio. La letteratura si impegnerà a scrivere storie nelle quali l’unico metro di giudizio è il protagonista stesso, le sue caratteristiche, i suoi amori e qui la letteratura europea scopre il romanzo.

Nei secoli XIII-XIV, con Francesco d’Assisi, nasce una nuova concezione di Dio: non è la ragione a dimostrare che Dio esiste, ma il silenzio di Dio, che lascia l’uomo libero di compiere le sue scelte. Il Dio forte della razionalità, diventa il Dio debole che ha accettato di annientarsi calandosi nell’umanità, non nel segno dell’evidenza ma della insignificanza: Dio mostra la sua onnipotenza calandosi nel nulla, accettando ciò che è del tutto altro da lui; per avvicinarsi a questo Dio, quindi, bisogna ugualmente rinunciare a tutto, fino a perdere la propria identità. In letteratura a questa nuova idea divina corrisponde una progressiva diffusione del volgare. La perfezione della persona corrisponde sempre per il Medioevo alla consapevolezza della propria vicinanza a Dio e dopo Francesco questa vicinanza si esprime compiutamente non nella lingua delle scuole, della tradizione, del potere, non nella lingua che teneva in comunicazione tutto il mondo europeo, ma in una lingua debole, all’inizio della sua storia. La lingua madre diviene la lingua della perfezione: la storia letteraria del Mediolatino qui sostanzialmente si chiude.

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