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E non è mai troppo lungo il giorno

  • Titolo
  • E non è mai troppo lungo il giorno
  • Autore
  • Filippo De Angelis
  • Collana
  • L'albatro
  • Pagine
  • 96
  • Anno
  • 2011
  • Prezzo
  • € 12,00


Filippo De Angelis è senza dubbio tra le piú felici scoperte fatte dagli anni (oramai innumeri) che frequento – letterariamente parlando – la regione molisana, cosí fertile in termini di cultura, di storia e di arte.
E se è vero che il De Angelis non è molisano di nascita, lo è però di adozione. Sicché gli anni vissuti per ragioni di servizio nel Venafrano, gli sono bastati perché dall’ambiente assimilasse l’amore per la poesia, e – bisogna aggiungere – per il bel verso.
Cosí, dopo la prova – positiva – compiuta con la silloge in vernacolo reatino Peraforte de ’na ota e de mo’, dove si rivela appassionato cantore di trascorse civiltà paesane dell’entroterra laziale, il dinamico Colonnello delle Forze dell’Ordine, in pensione da qualche anno, del quale si apprezza una apertura mentale ad ampio raggio, torna a corteggiare il vocale Elicona, e stavolta affidando all’itala cetra il suo fecondo estro creativo.
Il titolo, che suona E non è mai troppo lungo il giorno, è già di per sé rivelatore di un modo d’essere di una personalità forte, di un temperamento inappagato, e segnala nell’autore un animo – vichianamente parlando – perturbato e commosso, che non conosce momenti di noia o di stanca, i cui sensori vitali ancora conservano una intatta capacità recettiva. Scrive infatti a chiusura della lirica che dà il titolo al testo: «… / vivo la vita che mi vive intorno, / che mi bisbiglia piano, sottovoce / e non è mai troppo lungo il giorno». Da tale bisogno di esserci, di continuare a partecipare alla gran festa della vita, si origina nel poeta un malinconico interrogativo, quando arriva a dubitare del ruolo di “livella” che Antonio de Curtis (l’universale Totò) riconosce alla morte nel ben noto carme in dialetto napoletano. E il dubbio nasce dall’empietà con cui la “falce” di Atropo non si fa scrupolo di stroncare vite di bambini appena approdate sulle “splendenti plaghe della luce” discriminando cosí tra creature piuttosto che livellando in termini di opportunità.
Tanta reattiva ipersensibilità del De Angelis è percepibile dal sovrabbondare – nella raccolta – di motivi poetici che, distribuiti secondo il variar quotidiano dell’umorale status interiore del poeta (In “Autoritratto”: «io scrivo di getto / pensieri improvvisi. / Son troppo diretto»), si formalizzano spaziando tra intimismo, sensualismo, paesaggismo e attenzione al sociale. Né mancano passi dove rimontano prepotenti le memorie; dove – in special modo in chiusura – si affronta in termini accorati ma virili l’inesorabilità del tempo che passa.
Le pagine – o almeno gli stralci – da citare per ciascuno dei motivi individuati a mo’ di esempio sarebbero innumerevoli, sicché me ne esimo lasciando al lettore il piacere di un approccio senza mediazioni. Ma una – delle pagine, dico – voglio proporla per la pregnanza significante che vi si condensa: «Il filare ormai rosso / annuncia un autunno precoce / mentre grappoli / cadono sapidi / nel cesto / un raccolto odoroso / un profumo fruttato / e le api la spola incessante / per l’arnia / ultimi contributi / alla regina / anche il mio autunno / già tende sul rosso / e l’ape regina / tra figure e le rime / raccoglie i frutti / maturati sul tardi / a te mia Regina / il pensiero commosso.»
Di forte impatto metaforico e di grande bellezza l’immagine di una vita feconda, che si trasfigura in vigna grondante di buon frutto in un «autunno» che «già tende sul rosso».
A tal punto del discorso l’obiettivo del prefatore deve puntare sull’assetto metrico. E l’assetto si presenta variegato nel senso che accanto a un visibile, per me gradevolissimo, recupero della tradizione, da cogliersi nel ritorno dell’endecasillabo, del novenario, del settenario etc., sistemati in un contesto ritmico e di rima non rimesso al caso, si evidenzia anche l’adozione di costrutti liberi, svincolati da prefissati modelli, con drastici tagli sulla punteggiatura e ricorso a soluzioni ellittiche che solo di rado tuttavia rasentano i limiti della impenetrabilità, quasi che il De Angelis intenda sfidare le poetiche dei modernissimi sul piano della essenzialità descrittiva.
Il volume, visto nella sua complessità, è testimonianza di una natura fervida, mossa da tensioni umane e culturali che periodicamente risalendo dagli anfratti dello spirito si riversano all’esterno facendosi parola. E l’amore per la parola è l’elemento, connotativo forse piú che ogni altro, dell’intera silloge, che viene oggi ad arricchire la già ricca collana poetica delle Edizioni Eva.

Aldo Cervo

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