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  • Autore
  • Giuseppe Napolitano
  • Titolo
  • Dialoghi
  • Collana
  • La stanza del poeta
  • Pagine
  • 96
  • Anno
  • 2017
  • Prezzo
  • € 8,00
  • Isbn
  • 978-88-94866-10-0


Educare al dialogo

Non voglio certo prendermi Francesco (il Papa) come sponsor – anche se sarebbe un bel colpo! –, ma il suo discorso sull’importanza del dialogo (ripreso peraltro dal filosofo Bauman poco prima di morire) lo sento molto congeniale. Ho passato la vita, posso dirlo, a dialogare, a cercare contatti, a promuovere incontri. L’ho fatto a scuola e lo faccio sempre nell’esercizio letterario: credo profondamente che la poesia abbia il compito, almeno tra i suoi compiti il più importante, di educare al dialogo – perché leggiamo poesie? Perché “ci serve” (direbbe il povero Troisi “postino”), perché ci aiuta a trovare “compagni al duolo” (direbbe il padre Dante): insomma, se abbiamo bisogno di aiuto, di un po’ di compagnia, di esempio per un momento creativo, nella poesia sono le risposte a tanti nostri interrogativi, le chiavi per aprire porte che a lungo ci hanno resistito.
Anche tradurre poesia è dialogare – favorire il dialogo (e per quel che appena ho detto potrebbe sembrare una tautologia): il traduttore di poesia si impegna a dare voce, un’altra voce, a chi cerca di comunicare (ammesso appunto che il poeta sia uno che abbia voglia di parlare al prossimo): portando le sue parole in un’altra lingua, gli si dà una nuova occasione di dialogo, gli si schiudono nuovi orizzonti oltre il panorama quotidiano. Tradurre è tradere (consegnare) senza tradire. Tradurre è offrire visibilità, ascolto, proiettare un discorso su un piano diverso da quello di partenza, conservando il messaggio originale ma adattandone il codice espressivo, magari forzando appena la chiave linguistica, perché quel messaggio venga recepito elaborato vissuto.
Perciò Francesco sollecita “la cultura del dialogo”, vorrebbe addirittura che fosse “un asse trasversale” delle discipline scolastiche, per inculcare nei giovani “un modo diverso di risolvere i conflitti” (magari!)… è quello che ho cercato di insegnare per trent’anni, anzi più, a scuola, tenendo presente sempre la mia natura di poeta. E se traduco altri poeti, è perché la loro voce mi è parsa degna di avere ancora ascoltatori, lettori che potessero trarne lezioni di vita (ho cominciato dai classici, i greci e i latini, per passare ai contemporanei, ma solo quelli che conosco, ai quali chiedere spiegazioni se qualche verso mi risulta oscuro). Personalmente, la conoscenza diretta di tanti scrittori, la frequentazione di festival internazionali, la curiosità di conoscere comprendere condividere una poesia scritta in lingue diverse mi ha dato sempre la carica e la forza di lavorare perché da quella poesia potessi arrivare ad una migliore comprensione di altre culture – e questa possibilità ho voluto che fosse offerta anche a coloro che volessero avvicinarsi ad altre culture, almeno idealmente, leggendo poesia, leggendo i miei amici poeti.
La poesia è vita condivisa – la parola del poeta è frammento riconoscibile di un’esistenza altra che potrebbe essere la nostra. Perciò scriviamo e leggiamo poesia (bisognerebbe sempre leggere molto, prima di scrivere!): ci scambiamo sensazioni impressioni suggestioni – confrontiamo così gli alfabeti delle nostre anime: dialoghiamo. Quanta vita si può trovare nelle pagine di un libro! quanta vita altrui che diventa nostra, se le parole che la raccontano sanno come parlare alla nostra vita. Tradurre poesia è cercare in altre lingue l’umanità che conosciamo; prestare la mia voce ad un poeta di altra espressione lo aiuta a parlare come me, e attraverso le mie parole arriva a quelli che non conoscono la sua lingua (d’altronde, anche se la conoscessero, leggere una traduzione è comunque moltiplicare la comprensione di un testo).
Torniamo ancora ai giovani e al dialogo: leggere poesia, disporsi ad ascoltare un poeta lontano – nel tempo o nello spazio – favorisce in modo sensibile la formazione culturale di un individuo, se è capace di cogliere nella lettura la profondità del suo spirito, se cioè legge come guardandosi allo specchio, disposto a scoprire sé stesso nello spirito del poeta che gli parla. Magari davvero i giovani comprendessero che c’è “un modo diverso di risolvere i conflitti”, di là dalla violenta dinamica dei rapporti di forza (bullismo prevaricazione sopraffazione) ai quali sono abituati – loro e quelli che vedono intorno a loro; e c’è un modo di comunicare, che è privato e insieme universale, di là dalla sciatteria del sempre più banale cinguettare dei loro messaggini: ed è appunto la poesia, l’espressione alta di cose quotidiane fatte patrimonio comune. È il dialogo fatto con le parole organizzate secondo schemi e logiche – solo apparentemente difficili (è una maschera di circostanza) – da cui ciascuno può attingere, in cui ciascuno può riflettersi e scoprirsi diverso, a cui ciascuno può perfino sostituire un significato senza perdere il senso generale del discorso.
Ci sono, in questo piccolo libro che si intitola Dialoghi, pochi amici – pochi rispetto alle decine di poeti incontrati nei dieci anni delle mie frequentazioni internazionali (Francia, Spagna, Macedonia, Albania, Serbia, Bosnia, Kosovo, Tunisia, Marocco). Sono gli amici che per un motivo o un altro mi sono trovato a tradurre: curiosità soprattutto, spesso un libretto da preparare per qualche occasione, anche la semplice voglia di far conoscere un testo che mi era piaciuto. Lo dissi già tanti anni fa (lavorando con la poesia di John Deane): non sono un traduttore, ma se mi piace una cosa mi va di condividerla. Così un poeta lontano mi va di avvicinarlo ai miei amici, ai lettori delle mie cose, facendo appunto della sua poesia una mia cosa: la firma del traduttore (d’accordo con Carlos Vitale, il mio traduttore in spagnolo) impegna quest’ultimo come autore, nel senso della responsabilità verso il lettore.
Per fortuna, i sedici autori di queste nuove traduzioni (dopo le Traduzioni sparse, con cui avevo chiuso la prima serie della collana “la stanza del poeta”) sono anche amici, e mi hanno suggerito qualche spunto di interpretazione al fine di rendere meglio il passaggio linguistico: la mancanza del testo originale a fronte è segno di libertà, non trattandosi qui di versioni da studio, quanto di rivisitazione di testi che ho sentito vicini alla mia sensibilità, scegliendoli quindi per rappresentare insieme gli autori e la mia stessa maniera di intendere, e fare, poesia.
Richard Berengarten, inglese ma cittadino del Mediterraneo, già professore a Cambridge e pluritradotto, è uno dei tanti conosciuti a Tetovë durante il Festival “Ditët e Naimit”, organizzato da Shaip Emërllahu, che mi invita lì da quasi dieci anni e pure è presente in questa antologia. Adriana Hoyos, spagnola, Diti Ronen, israeliana (mia ospite a Gaeta), e Anna Rostokina, russa, le ho incontrate anche loro a Tetovë, come l’azero Kamram Azar Kamran (che vive esule in Norvegia) e il bosniaco Sabahudin Hadzialic (che mi ha invitato più volte a Sarajevo), l’argentino Ricardo Rubio, il kosovaro Ndue Ukaj e i taiwanesi Hsiu-chen Chen e Kuei-shien Lee (che mi ha tradotto in cinese 22 poesie, appena pubblicate in Grammatica interiore, Volturnia Edizioni – insieme alla versione inglese di J.R. Forbus). La kosovara Ilire Zajmi, conosciuta a Pejë, giornalista e traduttrice, ha tradotto in albanese il mio Dialogo alla luna. Con Georges Drano e sua moglie Nicole Drano Stamberg, operatori culturali francesi attivi a Frontignan-La Peyrade e in altre città dell’Hérault (Lodève, Sète, etc.), siamo amici da quasi vent’anni, nel corso dei quali più volte ci siamo incontrati, in Francia e in Italia: di entrambi, anche insieme a Irene, ho tradotto e pubblicato diversi piccoli libri. Daniel Leuwers, francese anche lui, è stato professore a Tours e inventore della collana dei livres pauvres: è presente in entrambe le edizioni della collana “la stanza del poeta”. Tra i pochi egiziani che conosco, Sharif al-Shafiey l’ho incontrato a Marrakech nel 2015.

Giuseppe Napolitano

  • Autore
  • Antonio Masi
  • Titolo
  • La forza dell'utopia
  • Collana
  • Il Cormorano
  • Pagine
  • 130
  • Anno
  • 2017
  • Prezzo
  • € 15,00
  • Isbn
  • 978-88-94866-11-7


Nel libro dedicato alla Guerra Civile Spagnola, di cui ricorre l’ottantesimo anniversario, Antonio Masi dedica un’attenta analisi alla realtà econo-mica e sociale di Niguarda di fine Ottocento. Dalle rivolte contadine contro conti e marchesi per una migliore divisione dei prodotti, alle trasformazioni del quartiere, alle prime lotte nelle fabbriche, all’esigenza di nuove abitazioni, alla nascita del movimento cooperativo di consumo, al coinvol-gimento di Niguarda nelle tragiche vicende dell’avvento del fascismo e della Seconda Guerra Mondiale. Ma il cuore della ricerca è costituito dalla ricostruzione della partecipazione dei volontari niguardesi alla guerra contro i falangisti, per una Spagna popolare e democratica. Masi, con un prezioso lavoro d’archivio ci parla delle vicende dei niguardesi Giosuè Elli, Mario Sangiorgio, Ettore Grassi, Alfredo Terragni, Aniceto Pagani che, spinti dalla forza dell’utopia raggiungo-no la Spagna. Terragni morì con i partigiani francesi, Elli trovò riparo in Russia dove visse, dopo l’esperienza in un gulag staliniano. Pagani e Grassi, dopo il confino di Ventotene, militarono nelle formazioni partigiane. Pagani agì a Milano nella SAP Magenta-Sempione, Grassi nella Brigata di Mantova-Cremona, Sangiorgio in Valtellina-Valcamonica. Il contributo della ricerca è significativo e importante perché dalla microstoria si ricostruiscono e si comprendono meglio le vicende della grande storia.

Bombardamenti dell’aviazione fascista su Barcellona

Nel corso del 2016 ricorreva l’anniversario dei bombardamenti dell’Italia fascista sulla popolazione civile. Il primo bombardamento sulla Catalogna avvenne dal mare contro la popolazione di Roses il 30 ottobre 1936, ma dall’inizio del 1937 l’aviazione italiana stabilitasi a Maiorca iniziò una campagna di bombardamenti sul litorale catalano e valenzano. Vennero sperimentati così, attraverso i bombardamenti su città come Barcellona, quelli che furono i bombar-damenti sulle città europee nella Seconda Guerra Mondiale. Ma si manifestò, nel contempo, la straordinaria resistenza della popolazione attraverso la costruzione di rifugi antiae-rei. Winston Churchill, primo ministro britannico, in un di-scorso pronunciato il 15 giugno 1940, davanti alla Camera dei Comuni, dichiarò: «Non sottovaluto per nulla la severità della prova che dobbiamo affrontare, ma credo che i nostri compatrioti saranno capaci di resistere come fece il coraggioso popolo di Barcellona e saranno in grado di lottare e sopportare altrettanto bene come hanno fatto altre persone nel mondo».

Mobilitazione dell’antifascismo europeo

Alessandro Vaia nel libro Da galeotto a generale, così racconta: «Il 18 luglio 1936 ci giunse la notizia della ribel-lione dei generali fascisti contro il governo democratico spagnolo. La vittoria del Fronte Popolare nelle elezioni del febbraio 1936 aveva suscitato grande entusiasmo e grandi speranze in tutto lo schieramento antifascista, specialmente in Europa. Ma Hitler e Mussolini non potevano tollerare l’insediamento in Spagna di un governo decisamente antifascista e sostenitore di una politica di pace, anche se costitui-to solo da forze moderate con l’esclusione dei socialisti e dei comunisti».
«La Spagna divenne così il punto più caldo dello scontro mondiale tra le forze della pace e quelle della guerra, tra il fascismo e l’antifascismo. Questa la posta in gioco in quel momento in Spagna e il movimento operaio e progressista, nella sua parte più avanzata, lo comprese immediatamente».
L’antifascismo europeo rispose immediatamente. La solidarietà si espresse attraverso la partecipazione di più di 50.000 volontari provenienti da 53 paesi differenti. Gli italiani furono più di 5.000. Ricordiamo figure importanti che militarono nelle Brigate internazionali, come Alessandro Vaia, Carlo Rosselli, Giuseppe Alberganti, Giovanni Pesce, Francesco Scotti, Ilio Barontini, Egisto Rubini, Giuseppe Di Vittorio, Pietro Nenni, Teresa Noce, Francesco Scotti, Luigi Longo, Leo Valiani e tanti altri ancora. Il 23 marzo del 1937 la vittoriosa battaglia di Guadalajara costituì per l’antifascismo italiano la prima sconfitta significativa del fascismo.

Dalla Brigate internazionali alla Resistenza

È il caso di dire che se il fascismo in Spagna vinse la bat-taglia iniziale della Seconda Guerra Mondiale, in Spagna l’antifascismo creò i quadri e le premesse per la vittoria fi-nale del 25 aprile. Infatti, quasi tutti i volontari italiani delle Brigate Internazionali, furono poi comandanti e commissari, dirigenti politici della Resistenza italiana ed Europea. La guerra di Spagna dunque, se fu utilizzata dal fascismo per soggiogare il libero popolo spagnolo, seppe creare al tempo stesso l’unità dell’antifascismo che sta alla base del successo della Resistenza in tutta Europa.

La Spagna nel cuore

Secondo Giovanni Pesce, di cui ricorre nel 2017 il deci-mo anniversario dalla scomparsa, il momento più alto della sua vita fu costituito dalla partecipazione alla Guerra di Spagna, con le Brigate Internazionali più ancora che la Resistenza. «In Spagna ero un povero minatore che andava a combattere a fianco di tanti volontari italiani e stranieri. Gente che aveva lasciato la propria famiglia, genitori, fratel-li, mogli e figli, gente che aveva gettato nella lotta la propria vita per quella di un altro popolo in grave difficoltà. Una storia altissima. Questa esperienza mi diede forza ideale, mi fece capire cosa fossero in concreto i valori della solidarietà, dell’umanità, dell’amicizia che a quei livelli non mi capitò mai di poter ritrovare né rivivere. Nella Resistenza eravamo tanti gruppi diversi, io ho fatto il gappista spesso da solo, anche se alle spalle avevo il Partito e il comando garibaldino. Ma era cosa diversa, l’afflato umano era minore. La Spagna ha rappresentato invece il richiamo per eccellenza ai più alti ideali di tutto il Novecento. Una storia che ha unito le persone più diverse in un comune percorso ideale. È stata l’ultima grande epopea del secolo breve».

Milano, 20 luglio 2017

Roberto Cenati
Presidente ANPI Provinciale di Milano

  • Autore
  • Mariano Coreno
  • Titolo
  • Canto la vita mia
  • Collana
  • La stanza del poeta
  • Pagine
  • 72
  • Anno
  • 2017
  • Prezzo
  • € 8,00
  • Isbn
  • 978-88-94866-07-0


I taccuini del vecchio poeta sono sempre una scoperta – in genere piacevole. Capita sempre di trovare, magari tra vecchie cose ripetute, o soltanto un po’ variate nell’espressione, tra nuovi spunti che il lettore abituale riconosce come parte di una eredità già altre volte saccheggiata, eppure capita di trovare un motivo davvero nuovo, un insolito fiore nel bouquet, un convincente messaggio in bottiglia. Perché il poeta lavora cosí e cosí finisce per mostrarsi: all’opera con se stesso, a dire la sua vita, comunicarsi in un dialogo ininterrotto. Chi gli presta attenzione, non rimane deluso. Chi sa cogliere almeno un nuovo palpito nella sua proposta poetica, ne sarà turbato e contento. Parole magari che vengono da lontano e recuperate appunto come da una bottiglia galleggiante; parole tenute a bada per anni, prima di autorizzarle a dirsi, a darsi alla luce.
Mariano Coreno ci ha abituati alla genuina onestà della sua cifra espressiva, fuori da scuole riconosciute, dentro invece un circolo di amicizie letterarie che gli danno – da sempre – il pane di cui nutrirsi: il sapore della vita. La sua infatti è poesia di vita, frammenti e lacerti vissuti e conservati per essere condivisi in parola, per essere raccontati a chi avrà il buon senso di non cercarvi altro che il senso di una vita. È l’età che gli permette adesso di “godersi lo spettacolo” e lo invita a “riposare”, la condizione di emigrante che da tempo ha ormai radici in due paesi lontanissimi e tanto diversi; è l’ormai matura consapevolezza di aver vissuto abbastanza per gli altri, insieme al desiderio di tenersi comunque a portata di voce, di non farsi rimuovere dal palinsesto dei giorni a venire; tutto questo spinge Mariano Coreno a scrivere ancora, a fissarsi sulla carta e proporsi al gioco della lettura. Le sue ultime cose, la prima sezione di Canto la vita mia, hanno la grazia leggera che proprio l’età consente, fogli di taccuino affidati al vento della memoria, in una spontanea dichiarazione di affetto per quanto di bello si possa godere – nella natura, in famiglia, con gli amici.
È un piacere avere Mariano in collana: la stanza del poeta se ne arricchisce – questo libro peraltro è anche per lui un regalo particolare, poiché contiene un pacchetto di fogli recenti e una scelta di poesie già apparse in Un albero per ombrello, un paio di anni fa. Un modo per affermare una presenza per nulla statica, anzi ancora vogliosa di esserci e di fare, di farsi ascoltare nelle diverse sue voci.

...stanco e sicuramente mortale
in attesa del colpo finale.
Ma col bene o col male
dico a tutti che la vita vale.

È una lezione da meditare, da tenere bene a mente: anche se della vita non sempre si riesce a cogliere il “bene”, comunque “vale”, e va vissuta al meglio del proprio impegno. Perciò la si può cantare, alla fine, le si può dire grazie in poesia perché possa essere – in parte almeno, quando possibile ma col massimo piacere – regalata a chi ne abbia bisogno.
Gli hanno perfino sparato, “con il fucile carico a pallottole di parole”, ma il vecchio poeta non si è fatto intimidire, anzi ha risposto, colpo su colpo, anch’egli sparando a parole – e, se è vero che ferisce piú la lingua della spada, figuriamoci le parole che diventano pallottole... Mariano Coreno non si è mai arreso alla vita, alla durezza di un’esistenza faticosamente conquistata e pervicacemente vissuta a testa alta, col sorriso sulle labbra anche se nel cuore la pena opprimeva la speranza.

Sulle mie spalle stanche
riposa la sera.

La gioia che gli danno i nipotini è tra le piú belle manifestazioni del “bene”: gli affetti familiari continuano a meritare un considerevole spazio nella poesia del corenese emigrato. La terra d’origine e quella di elezione sono legate nel giro degli affetti, nella presenza di persone care alle quali affidare un po’ di quel peso che si avverte sulle spalle.

Nascosto è il futuro
che non conosce nessuno.

Non vale la pena curarsene – in poesia può togliersi anche il male alla paura. Ci si mette in una bottiglia e ci si butta a mare: da qualche parte si arriverà. Il poeta sa che non si deve sprecare alcuna possibilità di spingere le pro-prie parole oltre il limite dei giorni...

La poesia
lievita il pane
invisibile
dell’anima.

Giuseppe Napolitano

  • Autore
  • Gianluca De Lucia
  • Titolo
  • Transgredior
  • Collana
  • L'albatro
  • Pagine
  • 64
  • Anno
  • 2017
  • Prezzo
  • € 10,00
  • Isbn
  • 978-88-94866-05-6


Diamo fiducia a chi lo merita. Incoraggiamo chi ha il coraggio delle proprie scelte. In questa collana di poesia, “L’albatro”, il nome stesso della collana impone serietà di scelte ma pure slancio di sfida: simbolo del poeta, il grande uccello di Baudelaire si fa custode e al tempo stesso stimolo di poesia. In questo libro si presenta un esordiente che merita il posto in collana per il suo coraggio. Il giovane Gianluca De Lucia si affaccia con timore alla scena editoriale ma pure consapevole dei suoi mezzi - che devono essere affinati, certo, ma gli consentono già qualche momento di sicura presa espressiva.
Il titolo del libro di esordio è già un biglietto da visita con il quale poi si dovranno fare i conti. Ci si butta nell’arena e ci si dichiara: è una sfida e insieme una maschera – chi sono io per aver deciso di uscire in fra la gente e farmi valutare come poeta? Allora transgredior significa proprio questo: eccomi pronto a sfidare le regole e giocare con voi che mi leggete. Gianluca d’altronde si rimette apertamente al suo lettore ideale, al quale chiede perfino di essere aiutato a comprendere il senso della sua poesia. Ed è bello, da parte di un giovane (oggi i giovani sono diventati un tantino arroganti); è bello vedere in un giovane alle prime armi, alla prima pubblicazione, lo sforzo di farsi capire, il timore di non essere compreso, la speranza di trovarsi nel giudizio del lettore.
Questa raccolta di Gianluca De Lucia si compone di 46 testi (il doppio dei suoi anni…), scritti in un arco di anni considerevole, visto che le prime cose qui presentate risalgono alla prima adolescenza. Nel complesso, il libro c’è, si dipana in una serie di temi connessi alle dinamiche esistenziali, agli affetti provati, alla voglia di conoscere il mondo. Conviene che ad un libro di esordio si perdoni qualche leggerezza, ma qui ce ne sono di lievi davvero – ingenuità formali che non tolgono peso al dettato lirico, abbastanza controllato. L’autore di Transgredior sembra avviato a correre con rinnovato slancio le vie della scrittura: non gli mancano gli strumenti, per quanto ancora debbano essere migliorate certe maniere di approcciare le forme espressive. Non gli manca soprattutto l’onestà di confrontarsi, di accettare consigli (anch’essa rara, ormai) – leggiamolo con la stessa onestà.

Nota introduttiva di Giuseppe Napolitano

  • Autore
  • Salvatore Rinaldi
  • Titolo
  • Fede e società
  • Collana
  • Il Cormorano
  • Pagine
  • 336
  • Anno
  • 2017
  • Prezzo
  • € 18,00
  • Isbn
  • 978-88-94866-04-9

Raccogliere gli articoli della rubrica “Fede e Società” da me curata per il quotidiano Primo Piano Molise, è una risposta a tutti quei lettori che hanno trovato in questo appuntamento settimanale un’occasione di approfondimento, come proposta di approccio culturale alle problematiche dell’uomo di oggi. L’accavallarsi talvolta farraginoso dei fatti del mondo, la rappresentazione di una quotidianità segnata dalla casualità e dal disordine, crea l’emergenza di risposte. Il volume vuol essere non un’astrazione o una fuga, a cavallo tra cultura e fede, ma un ancoraggio a principi non negoziabili che sovrastano le miserie e le asprezze delle cronache, come stimolo a guardare oltre e piú in alto, per riconoscersi nella Verità.
Durante la settimana ascoltiamo tante proposte; il mio augurio è una proposta di speranza che parte dal togliere la polvere dell’Indifferenza accumulata nel tempo a causa dell’esposizione agli occhi di una società troppo spesso insensibile, per giungere a condividere la gioia della vita che trova nell’oggi il suo inizio di eternità.
Eppure l’Uomo di Nazareth ancora oggi ci chiede: cerchi una relazione che ti dia felicità? E dalla risposta positiva ci propone di essere sua eco, suo prolungamento, accogliere le prostitute e i pubblicani, fare dei bambini i principi della Nuova Umanità e cingersi le vesti e mettersi l’asciugatoio per lavare i piedi a coloro che sono in periferia o nel campo del creato ove attendono di essere da noi curati perché feriti dal nostro populismo.

Salvatore Rinaldi

  • Autore
  • Chiara Franchitti
  • Titolo
  • Tracce di eternità
  • Collana
  • L'Albatro
  • Pagine
  • 56
  • Anno
  • 2017
  • Prezzo
  • € 14,00
  • Isbn
  • 978-88-94866-03-2


Già il titolo, Tracce d’eternità, di questa prima raccolta di poesie di Chiara Franchitti, ci dice molto. Già ci introduce, in un certo senso, allo spirito che guida la scrittura di Chiara, e quindi alla tematica prevalente delle poesie, che sono pervase, quasi tutte, da una sincera spiritualità.
Conosco Chiara da alcuni anni ormai. Ha collaborato con me all’editing di alcuni libri, è lei stessa autrice-curatrice – in collaborazione con Carmen Buono – di tre libri, Frammenti di speranza, Ferma il tuo esodo e Modellati dalla tenerezza. È coautrice con altre tre colleghe del libro Quattro autori per quattro medioevi?, ed è curatrice di alcune altre pubblicazioni.
Fin dalle prime volte che l’ho incontrata, Chiara mi ha sorpreso per la maturità e per la notevole cultura che mostrava, a dispetto della giovane età e poi mi ha sorpreso per la sua dimestichezza con il lavoro editoriale. Ma, a parte questo, mi ha favorevolmente colpito per il suo carattere aperto e ben disposto nei confronti degli altri, e per l’atteggiamento con cui si pone di fronte alla vita, per l’impulso ottimista, che le fa trovare e cogliere in ogni cosa, in ogni evento, in ogni vicenda l’aspetto positivo.
Non mi sono meravigliato quando, la prima volta, ho saputo che scriveva anche poesie. Mi ha dato a leggere i suoi testi e li ho trovati validi e degni di far parte di un libro della collana “L’Albatro”.
Tutta la raccolta è sottesa dal filo conduttore di quella spiritualità, di cui parlavo, ma ti rendi conto che non si tratta solo di un atteggiamento e nemmeno di una scelta, ma di una sua disposizione naturale. Alcune poesie sono quasi delle preghiere. Si legga “Vieni!”.

Spegni il caos della mia mente,
fatti strada tra i pensieri,
scaglia, getta, butta giú tutte le porte,
irrompi dentro me, riempimi di te.

Grida, urla a squarciagola,
fissati davanti al mio sguardo.
Ti prego, insisti,
ho sete di te.

Vieni, vieni,
io ti aspetto.
E se già sei accanto a me
ti supplico, accendimi la luce.

È una preghiera, ma una preghiera che non rinuncia a una lingua piuttosto vigorosa.
“Tu sei”, un’altra poesia-preghiera che vale la pena citare:

Il tuo silenzio
è il grido della tua presenza,
o Padre d’Amore.
Ti annulli in mollichina
e sei qui
sulla soglia di casa
con le braccia spalancate
ad attendere me.

Ma le dovrei citare quasi tutte. È ovvio che non potremmo leggere le poesie di Chiara prescindendo dalla forte spiritualità che le caratterizza. Questa sua peculiarità non le impedisce però di scrivere anche versi delicatamente sensuali. E ci sono anche versi per la persona amata (al fidanzato dedica, tra l’altro, l’acrostico “Festa”, giocando sul significato del cognome).
Spesso i versi sono caratterizzati, più che da musicalità, da quella che è proprio “cantabilità” e qui scopriamo uno dei tanti interessi e attività di Chiara (che suona la chitarra, fa parte di un coro, è capo scout, assume spesso il ruolo del cosiddetto ghost writer, ecc.). Se andiamo a leggere il testo “Orme su foglie”, vi troviamo quello che è il testo di una canzone con rime e metrica e anche con un refrain (“Brevi ma intense / giornate d’autunno / lasciano orme / su manti di foglie.”»
E voglio concludere con una poesia che ci presenta un ritratto morale, sia pure involontario, dell’autrice. La poesia è datata 2007, quando Chiara era ancora al liceo. C’è rabbia, “lacrime di rabbia”, per la sua “sete di conoscenze”, “voglia di sapere”, “desiderio di cultura”, che i suoi insegnanti non soddisfano.

Lacrime di rabbia

Sete, sete di conoscenza.
Voglia, voglia di sapere.
Desiderio, desiderio di cultura.

Soffoco, quasi non respiro.
Busso alle porte,
a tante porte,
ma nessuno è disposto ad aprirmi,
nessuno è disposto a dissetarmi.

Ho sete, a tratti svengo.
Vorrei urlare, ma non ho voce.
Sono priva di forze
e piango, piango di rabbia.

E allora, benvenuta, Chiara, nel mondo della poesia, benvenuta a una nuova voce poetica di cui il Molise può andare fiero.

Amerigo Iannacone
4 giugno 2017, Ceppagna

  • Autore
  • Lino Di Stefano
  • Titolo
  • Pirandello ottant'anni dopo
  • Collana
  • Il Cormorano
  • Pagine
  • 80
  • Anno
  • 2017
  • Prezzo
  • € 10,00
  • Isbn
  • 978-88-94866-02-5


Ancora un libro su Pirandello visto che la letteratura sul grande Agrigentino è sterminata e che, praticamente, è stato detto tutto su di lui?» È la domanda che legittimamente si pone Lino Di Stefano accingendosi a pubblicare questo Pirandello, ottant’anni dopo. E lui stesso risponde che «rimane sempre qualcosa da rivelare su un autore, poeta, scrittore, filosofo, artista, scienziato, etc. e, in particolare, nella fattispecie, considerata la valenza del suo messaggio così intriso di suggestioni, di misteri, di inquietudini, di angosce, di dubbi e di pessimismi».
Allora: era necessario un nuovo libro? Necessario, non lo so. Utile senz’altro sì. Perché, certo, «rimane sempre qualcosa da rivelare», ma anche perché uno stesso autore, uno stesso argomento, uno stesso evento si può osservare e si può presentare da angolazioni diverse.
Se poi chi scrive, si chiama Lino Di Stefano, vale a dire uno studioso che a Pirandello, senza ripetersi, ha dedicato già cinque libri, ancor più sembra opportuno anche un nuovo libro. I cinque libri dedicati all’agrigentino da Di Stefano, come si può leggere anche nella nota bio-bibliografica in fondo al libro, sono: La filosofia di Luigi Pirandello, Piran-dello (Studio critico), Pirandello (Il genio della rappresenta-zione), Bilancio su Kant e Pirandello, Le angosce di Piran-dello. Come si vede, già dai titoli, ogni libro affronta l’ar-gomento da un’angolazione diversa.
Nei diciotto capitoli di questo nuovo libro, Di Stefano analizza sedici aspetti della personalità del grande siciliano, alcuni dei quali poco noti al grosso pubblico, come il “Piran-dello pittore”, cui è dedicato l’ultimo capitolo.
Dice, a ragione, Di Stefano che «Luigi Pirandello, in defi-nitiva, sarebbe stato un ottimo artista se – privo della geniali-tà letteraria e drammaturgica – si fosse dedicato soltanto a tale arte figurativa e vale a dire alla pittura».
Leggendo questo Pirandello ottant’anni dopo, vien voglia di leggere (o rileggere) tutte le opere del drammaturgo, com-prese le opere minori, gli epistolari, ecc. Perché Pirandello è da considerarsi uno dei più eminenti autori (narratore, dram-maturgo, saggista e quant’altro) non solo italiani, ma europei e anche extraeuropei. È una delle grandi figure che fanno onore all’Italia e che sono assolutamente ineludibili.
Pirandello, uno degli autori italiani più conosciuti nel mondo, è stato tradotto, come ci dice Lino Di Stefano, in moltissime lingue. In tempi recenti, nel giugno 2012, in oc-casione del Congresso Italiano di Esperanto tenutosi quel-l’anno a Mazara del Vallo, è uscito un volume dal titolo Luigi Pirandello kaj aliaj siciliaj aŭtoroj (Luigi Pirandello e altri autori siciliani), (Ed. Fei, Milano, pp. 356, € 15,00, ISBN 978-88-96582-02-2). Si tratta di una ponderosa antologia, curata da Carlo Minnaja, che accoglie sedici autori, poeti e scrittori, a ognuno dei quali è dedicata, dopo una scheda bio-bibliografica, una scelta di testi, tradotti in esperanto.
Di Pirandello troviamo brani tratti da Così è, se vi pare (Tiel ja, se al vi ŝajnas); Sei personaggi in cerca d’autore (Ses roluloj serĉantaj verkiston); Il fu Mattia Pascal (La estinta Mattia Pascal), Uno nessuno e centomila (Unu, neniu kaj centmil); e poi le novelle I galletti del bottaio (La koketoj de la barelisto); Il treno ha fischiato (La trajno fajfis) e Di sera, un geranio (Vespere, unu geranio).

Amerigo Iannacone

  • Autore
  • Antonio Vanni
  • Titolo
  • Plasmodio
  • Collana
  • La stanza del poeta
  • Pagine
  • 56
  • Anno
  • 2017
  • Prezzo
  • € 8,00

Dunque "Plasmodio". Sentiamo il De Felice - Duro: "Piccola massa di protoplasma contenente molti nuclei, formatisi per divisione di un nucleo primitivo di una cellula che non ha subìto una parallela divisione dal citoplasma. In Zoologia: Protozoo e genere di protozoi... parassiti... provocano la malaria...
Giuseppe Napolitano, prefatore (oltre che fondatore e direttore della collana) ne scioglie lo scientifico enigma operando, del titolo, una scansione sillabica.
Ma, sillabando, ne viene: pla-smo-dio.
Per me il mistero rimane.
E si dipana, invece, dalla lettura, che conferma anche nelle soluzioni linguistiche nuove distribuite tra le pagine, il connotato identificativo della produzione letteraria dell'intellettuale isernino, e cioè che la sua poesia sarebbe un errore andarla a cercare in un messaggio che si srotoli lungo le direttrici del discorso compiuto: l'interiore, complessa essenza di un autore come Vanni, caratterialmente votato all'introspezione, dal puntiglio autoanalitico per nulla scalfito dagli anni che pure trascorrono impietosi, non può che esternarsi per sequenze alogiche, sintatticamente dissociate, in ciascuna delle quali percepire - mi si passi l'espressione, "a orecchio" l'intenso flusso emotivo, l'inseguirsi di pulsioni dello spirito che, formalizzandosi, vanno a coaugularsi in sintagmi autonomi, ciascuno dotato - per così dire - di luce (e pregnanza) proprie. Gli esiti - come l'acqua pura che prende colore dal vetro in cui s'accoglie, s'adeguano ai gusti, alle radici culturali, alla sensibilità, ai substrati psicologici, al quoziente intellettivo - infine - di chi legge, conseguendo, in questo, un dilatarsi degli spazi sintonici, a parer mio, tra i migliori risultati conseguiti da Antonio Vanni

Aldo Cervo

  • Autore
  • Gerardo Vacana
  • Titolo
  • Il verbo infedele
  • Collana
  • Il Cormorano
  • Pagine
  • 176
  • Anno
  • 2017
  • Prezzo
  • € 16,00

Nota bio-bibliografica

Gerardo Vacana è nato a Gallinaro (FR), dove vive, il 28 febbraio 1929. È poeta, traduttore, saggista, operatore culturale.
Si è laureato in Lettere a Firenze, con una tesi su Madame de Lafayette. Ha studiato anche a Liegi (Belgio), e nel biennio 1953-55 è stato assistente d’italiano nei licei di Lione (Francia), dove negli stessi anni ha dato corsi di lingua e letteratura italiana per incarico della “Dante Alighieri”. È stato preside della Scuola Media di San Donato Val di Comino e del Liceo Classico di Sora. Rettore del Convitto Nazionale Tulliano di Arpino per tre anni e amministratore provinciale dal 1975 al 1985, ricoprendo anche la carica di vice-presidente. Come studioso di letteratura italiana si è dedicato in particolare alla poesia del Novecento e alla riscoperta e valorizzazione degli scrittori cominesi e ciociari di ieri e di oggi. Dirige, per le Edizioni Eva, la collana “Stella verde - testi a fronte”.
I suoi principali libri di poesia sono:
- Cavallo di miniera (1974)
- L’occhio s’inganna (1978)
- La luce assai di buon’ora (1981)
- Il nonno (1985)
- Alvitana (1985)
- I rischi della traversata (1987)
- Variazioni sul reale (1989)
-Taccuino greco e altri versi (1989)
- Il fu Bel Paese (1994)
- L’orto (2008)
- Il verbo infedele / El verbo infiel (2016), bilingue, con traduzione spagnola di Carlos Vitale.
Con Giacinto Minnocci ha curato l’Antologia poetica della Resistenza italiana. Suoi libri sono stati tradotti nelle maggiori lingue europee, in molte lingue minoritarie e in esperanto.
Critici qualificati lo considerano tra i poeti piú autentici della sua generazione.
Nel 1976 ha fondato il Premio Letterario “Val di Comino”, nel 1993 gli Incontri Internazionali di Poesia di Alvito e Val di Comino, e nel 2003 il Premio Europeo di Narrativa “Giustino Ferri-D. H. Lawrence”. Nel 2000 a Neuchâtel (Svizzera) gli è stato attribuito il prestigioso premio “Blaise Cendrars”, per la poesia e per il suo impegno di “traghettatore” della letteratura ciociara in Europa e di quella europea in Ciociaria.

Amerigo Iannacone

  • Autore
  • Siham Sfar
  • Titolo
  • Battiti d'ali
  • Collana
  • La stanza del poeta
  • Pagine
  • 56
  • Anno
  • 2017
  • Prezzo
  • € 8,00

Un incontro inaspettato

Siham è un regalo di Majid. Abdelmajid Youcef è il mio traduttore in arabo: ha prima tradotto e pub-blicato in Tunisia (Bourak, Monastir) E poi... / Et puis... – piccolo vecchio libro del secolo scorso – e poi l’altra piccola raccolta Apparenza di certezza (uscita nella prima serie della mia collana la stanza del poeta). Quando, nella primavera dello scorso anno, sono stato invitato a Sousse dalla comune amica Radhia Chehaibi per un incontro di poesia internazionale (dedicato alla “poesia breve”), Majid mi ha presentato Siham Sfar, sua moglie, poetessa, la quale aveva appena pubblicato un suo libro grazioso e ricco di slanci lirici delicati ma pure di acute sciabolate di pensiero. E soprattutto, per la mia sensibilità, apprezzabile perché scritto non nella maniera che di solito caratterizza la scrittura poetica araba, fluviale e densa, ma in modo leggero e sintetico, cioè come piace a me.
Ho cominciato a tradurre qualcosa da Battements d’ailes già mentre ero con loro a Sousse, e ho poi continuato, un po’ per esercitarmi e un po’ di più perché davvero preso dalle parole di Siham, cercando di rendere la sua fresca e profonda misura del verso. È Majid a sostenere, nella sua nota di presentazione del libro da cui sono tratte queste poesie, che sono “doux et piquants, à fort effet émotionnel” ed hanno pertanto la capacità di “percuter” il lettore. Siham è immediata e convincente perché legge intorno a sé e dentro di sé – comunicando quindi le sue impressioni, suggestioni, osservazioni... Nella sua poesia è viva la volontà di mettersi in gioco e in discussione, di affidarsi ad un lettore attento, non solo perché siano apprezzate le tematiche e le riflessioni proposte ma perché siano un suo lascito, un dono che rimanga a disposizione di lettori che le somiglino e condividano les coulisses (le linee-guida: è il caso di citarla) in cui scorrono le sue poesie.
Sono 33 i brevi testi qui raccolti, scelti seguendo percorsi tematici congeniali e sufficienti, credo, a dare di Siham Sfar un’idea esauriente del suo modo di fare poesia. Nella vita è docente di Liceo, ma non lascia trasparire molto questa sua professione – forse appena una vena pedagogica in qualche pagina... – o bisognerebbe invidiare i suoi allievi che hanno di fronte la sua generosa attitudine a darsi con misurata eleganza, consapevole esperienza del mondo, accortezza nel dire, nel fresco e penetrante sapore della sua parola.

Giuseppe Napolitano