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Foglio Volante n°3 Anno XXXIII Marzo 2018


La Processione

Lo stendardo delle parole
è già apparso alla porta;
danze gioiose sotto il manto delle Muse;
la gente applaude,
i musicisti accompagnano con ritmo
le idee che stanno indorare
l’avvenimento momentaneo;
il vento aiuta a scoprire
il senso delle parole nuove
che circondano con piacere
lo stendardo che invoca idee nuove
come un treno che passa veloce
stupito della bellezza del d’intorno.
Una processione di parole cadono
successivamente impetuose
sul mio quaderno.

27.1.18
                        Carmel Mallia - Malta


L’Aquilone
Poesia giovane
A cura di Antonio Vanni

Colpito dallo sguardo
di questi alberi spioni
ascolto vita redenta
da nubi misteriose.

L’autunno scandisce
il cambio dell’era
che presto arriva
ingannata dal tempo.
[...]

Carlo Sarnelli – anni 20


A ottantacinque anni

A ottantacinque anni
è divenuto un bambino.
Si emoziona
per ogni piccolo gesto
per un ritorno dei pensieri
agli amici
di un tempo
alle ore felici,
ai momenti piú neri,
per un ricordo mesto,
per un’allusione,
per un silenzio.
Lo commuove un bel film
e persino
uno spot indovinato.
Come un bambino
diventa triste
se viene trascurato.
Nell’eterno
alterno percorso dell’età,
circolo misterioso,
nel figlio,
e forse nel nipote,
sogna la figura del papà.

Amerigo Iannacone

Foglio Volante n°11 Anno XXXII Novembre 2017


Centenario di Zamenhof

Esattamente cento anni fa moriva a Varsavia, colpito da un infarto, Lazzaro L. Zamenhof.
Era il 14 aprile del 1917. Negli ultimi momenti della sua esistenza presenziarono al capezzale l’amata consorte Klara Silbernik e la figlia Lidja, che simpatizzava per la fede Baha’i.
I funerali si svolsero il giorno 16, partendo dalla sua abitazione di Via Krolewska 41. Quell’appartamento, che era alquanto spartano, non esiste più. L’edificio dove esso era situato venne infatti distrutto dai bombardamenti che, nel 1939, si abbatterono sulla città polacca. Così ha raccontato tempo addietro Louis C. Zaleski Zamenhof, nipote del Doktoro Esperanto. Il trasloco nella nuova abitazione, che si trovava davanti ad un parco alberato, avvenne a poco più di due anni di distanza dalla sua dipartita. Quegli alberi che vedeva dalle finestre e che tanta gioia gli procuravano non poté, quindi, goderseli tanto a lungo.
Il suo corpo lo tumularono nel grande cimitero ebraico di Via Okopowa, dove un rabbino formulò alcune rituali preghiere. Inizialmente nel luogo in cui venne sepolto era collocata una semplice lapide, dopo qualche anno questo punto subì però una radicale trasformazione.
La tomba come si presenta oggi risale al 1926 quando, in occasione del nono centenario della sua morte, sostituirono la vecchia lapide con un monumento ad opera dell’artista scozzese J. Coults. Al piede del granitico monumento, sovrastato da un simbolico globo terrestre, vi è una piccola aiuola sempre ben fiorita a cui fa seguito, in posizione scoscesa, una grossa stella verde ivi racchiudente la E centrale del nome Esperanto. Subito a fianco del declivio, caratterizzante l’artistica tomba, si incontra una piccola gradinata di passaggio verso uno dei tanti vialetti dello storico cimitero.
In una delle due diciture - stavolta scritte in esperanto - riportate sul monumento si ricorda (a latere) che tale opera fu eretta grazie al magnanimo contributo degli esperantisti di tutto il mondo. Ai funerali parteciparono, oltre ovviamente ai familiari, pure diversi amici e tantissimi samideani (le cronache di allora parlano di circa centocinquanta persone), tra questi era presente anche Antoni Grabowski, un chimico e, appunto, uno stimato samideano che era stato in diretto contatto con Zamenhof.
Nell’improntare un ossequiante discorso in suo ricordo, esso, lo volle perciò fare proprio in quella stessa lingua che il caro collega aveva ideato e tanto sostenuto. Il breve discorso si concluse così: “Dopo le pene della vita riposate quietamente, la terra sia per voi leggera!”. In quel giorno di metà aprile se ne era andato per sempre, a soli cinquantasette anni, un vero e fraterno amico dell’intera collettività mondiale.

Luciano Masolini


Dolori

Terza età, non mancano i dolori.
Mi fermo, guardo il cielo
per scorgervi una speranza.
Una voce mi dice
che i ponti non sono sicuri
e potrebbero crollare...
Allora, guardo il mare
e la voce delle onde
mi dice di accettare anche il male.

Amerigo Iannacone


“Quando il foglio volava…”
(Alla memoria di Amerigo Iannacone)

Ti ho sempre immaginato pensoso
fra le tante parole clandestine
e le carte degli altri sul tavolo
di un impegnato editore,
a correggere le emozioni
e gli stati d’animo espressi in poesie.
Eppure non ci siamo mai conosciuti
purtroppo, in questo mondo a rovescio
le persone buone fanno fatica
a rimirarsi negli occhi,
perché c’è troppa caligine nei giorni
che trascorriamo di fretta.
Ci vorrebbe la musica
di un oboe d’amore
per farci dimenticare chi siamo;
oppure una dissolvenza incrociata
in cui far ricominciare la sequenza
di un’altra nostra esistenza
laddove non ci saranno più né l’Arno,
né il Tamigi. Se puoi Amerigo
mandami la bozza della mia
autobiografia che solo tu
hai compreso bene, l’hai corretta
prima che lo facessi io
e sicuramente la manderai in stampa
dall’otto settembre al sedici luglio.
Telefonami e fammi sapere
quando terminerà questa eterna
metamorfosi, la tua voce
greve sarà come sabbia
sulle mie palpebre chiuse
che aspettano di svelare agli occhi
le bellezze dei tuoi luoghi sconosciuti,
così ci ricorderemo con gioia
di quando insieme andammo
a zonzo nel tempo che fu!

Isabella Michela Affinito


Foglio Volante n°10 Anno XXXII Ottobre 2017


Un pensiero per un amico

Era a fine anni ’80, poco dopo la pubblicazione del mio primo libro, che conobbi Amerigo Iannacone. Come tanti alle prime armi, cercavo nuovi contatti. Trovai in biblioteca un catalogo delle riviste in Italia (a quei tempi non esisteva internet, e tanto meno riviste telematiche) e scrissi a tante di quelle che facevano letteratura. Amerigo Iannacone mi rispose per primo. E fu tra i pochissimi che mi risposero! Probabilmente capì la mia inesperienza e la mia emozione, e fu così gentile nella sua risposta da offrirmi anche la sua disponibilità a pubblicare qualcosa sul “Foglio Volante”.
Iniziò così la mia collaborazione alla rivista, di cui apprezzai subito la snellezza, la chiarezza, l’impostazione internazionalista ed equilibratamente progressista. Ricordiamo tutti noi i tumultuosi anni Novanta, i blocchi politici contrapposti muro contro muro, il cosiddetto nuovo che avanza. Amerigo riusciva sempre a trovare la parola giusta e, come le vere persone di cultura, a capire nanche le ragioni degli altri, a tentare una mediazione pur nella obiettività diversità di ruoli ed opinioni. Non era facile a quei tempi. Da allora ho pubblicato, non regolarmente, racconti brevissimi, poesie, lettere. E, quasi senza neanche accorgercene, semplicemente, siamo arrivati fino a oggi.
Alcune delle sue battaglie meritano di essere ricordate, contro la barbarie di una sottocultura dilagante, perché, come diceva Nanni Moretti ne La palombella rossa, “Chi parla male, pensa male e vive male. Bisogna trovare le parole giuste: le parole sono importanti!” Qui c’è tutta la passione per la nostra lingua italiana, per l’uso fiero e consapevole dell’italiano, per difendere il nostro bel parlare dalle più stupide derive anglicizzanti. Difesa della lingua non come retaggio di un’idea di retroguardia, ma perché dal pessimo uso delle parole e dalla resa stupida ed incondizionata al conformismo si possa produrre una reazione in grado di valorizzare un ricchissimo ed autonomo patrimonio culturale: difesa da una globalizzante mercificante e impoverente. Innumerevoli i suoi interventi tendenti a stigmatizzare e talvolta anche a ridicolizzare gli usi abnormi dell’inglese, in base ai quali una parola banale in italiano diventa intelligente in inglese; o un concetto stupido italiano diventa furbo in inglese; o un prodotto italiano scadente diventa ottimo in inglese, com’è per i mediocri film che mantengono il titolo inglese e non vengono tradotti (per fortuna, altrimenti già se ne capirebbe l’insulsaggine).
Potremmo dire ancora tante altre cose, in particolare sul suo amore per l’esperanto e sulla sua visione universalistica e non particolaristica della cultura. Potremmo anche dire molte cose sull’area tra Roma e Napoli su cui ha operato, con interesse da studioso, da storico, da uomo fortemente legato al territorio. Ma confido che altri possano trattare questi temi a parte, molto meglio di me e con gran dovizia di informazioni di prima mano. Amerigo, persona decisa ma sempre rispettosa, e mai superficiale, diventò sempre più negli anni un infaticabile operatore culturale, specie quando, raggiunta l’età della pensione, la casa editrice Eva conobbe uno slancio irresistibile con l’ampliarsi delle collane, l’arricchimento scientifico e qualitativo, le infinite presentazioni dei libri editi. La casa editrice Eva, già ampiamente presente nell’universo culturale italiano - e non solo strettamente letterario! - è diventata un punto di riferimento importante in Italia, il cui catalogo desta una grande vivissima ammirazione per tutti coloro che operano nel mercato o che semplicemente amano la cultura tout court, senza preconcetti, senza schemi rigidi.
Di vista sono stato con Amerigo una volta sola, purtroppo, e me ne pento. In quell’occasione, con mia moglie, conobbi Maria Grazia, moglie vivace, attenta e insostituibile alter ego anche per le attività culturali, e Chiara, preziosa giovane collaboratrice della casa editrice, da cui poi, dolorosamente, è piombata a tutti per mail la tristissima notizia. Ricorderemo sempre, mia moglie ed io, l’eccezionale carica di cordialità e simpatia che emanava dalla persona, il clima di sincera e duratura amicizia, il delizioso pranzo che ci offrì e che avremmo voluto ricambiare a Firenze, la nostra città, il pomeriggio passato a Venafro a contemplare le bellezze del paese, l’invito a ritornarci in estate.
Sono trascorsi neanche tre anni, e qualche volta ci è capitato di transitare in prossimità di Venafro, giù per l’autostrada per Salerno o al mare opposto verso Termoli. Il tempo stretto, la necessità di arrivare a destinazione all’ora prevista ci hanno, ingiustamente e crudelmente, impedito di ripassare per Via Nunziata Lunga 29. Amerigo mi aveva chiesto, quel giorno quasi piovigginoso del nostro incontro, di mandargli un racconto, una poesia. Io stavo concludendo quel periodo della mia vita, durato 40 anni, in cui avevo scritto un’infinità di testi letterari. Avevo deciso di imprimere una svolta alla mia esistenza, semplicemente pubblicando tutte le mie opere e poi passando a fare altro. E così non potetti inviare niente ad Amerigo. Non avrei pensato di scrivere qualcosa proprio per quest’occasione. Dimenticavo: ci salutammo il 5 dicembre 2014, erano circa le quattro del pomeriggio, un sole opaco stava per tramontare, eravamo lieti.

Paolo Ragni


Nei sogni mi appari

Nei sogni mi appari spesse volte
con la tua paterna e tranquilla presenza.
Ti parlo,
espongo il mio pensiero su alcune cose,
tu rispondi affermativamente,
come condividessi le mie idee.
Ma è così vivida la tua presenza
che un presentimento emerge dal mio animo:
cosa mi rende triste se tu sei qui?
Allora provo a sfiorarti
e la mia mano si perde nel vuoto.
Improvvisamente il sogno diventa sogno.
La realtà del sogno è un sogno nella realtà.

27 agosto 2017
Renzo Iannacone


Stress

Stress
Il giardino senza fiori
la luna rossa
gli occhi spalancati
al vuoto del mondo.
La statua della Libertà
immortalata in fotografia.
La mia mente si sfalda
tentando di rimuovere
quello che fu vissuto.

Teresinka Pereira - Brasile
(Traduzione di Giuseppe Napolitano)


Foglio Volante n°8 Anno XXXII Agosto 2017


Verso un luogo diverso

Inconosciuto inconoscibile ultimo
dei luoghi di tua vita vai da solo
al viaggio che ti porta oltre te stesso
E solo scopri quanto già vissuto
nella memoria avevi un luogo simile
poiché altri – tanti e troppi –
gli incontri che ti hanno preceduto
Solo qui ognuno che rimane
a domandarsi quanto abbia avuto senso
per te per tutti credere in un bel sogno.

Amerigo Iannacone è stato ucciso la mattina del 12 luglio (anniversario della nascita di Pablo Neruda), a Venafro, la sua città, mentre attraversava la strada. Certo che non l’hanno fatto apposta, ma è andata così, purtroppo: uno sbadato al volante l’ha colpito mortalmente, mentre – come tutte le mattine – si recava a prendere il giornale e un caffè al bar. L’avevo sentito la sera prima: preparavamo la presentazione di un libro a Formia, l’ultimo delle Edizioni Eva. Mi hanno telefonato in rapida successione gli amici Antonio Vanni, Maria Giusti e Ida Di Ianni: non ho potuto rispondere ai primi e da quest’ultima, dalle lacrime di Ida, ho appreso che una tragedia si era appena consumata.
In quei giorni Amerigo avrebbe dovuto incontrare in tipografia il caro Pontone, a Cassino, per preparare il nuovo numero del “Foglio Volante”. Questo. Questo che ora gli amici orfani hanno voluto dedicare interamente a lui, al compagno di tanta strada percorsa in amicizia di parola, per amore della parola scritta: insieme a lui, eravamo tanti a crederci ancora, nel valore della parola. Convinti che la poesia abbia ancora un posto nella vita, che sappia e possa parlare alla parte migliore dell’uomo, quella capace di leggersi dentro e sognare. Adesso ci sentiamo impegnati a non perdere quel valore, e vogliamo – a partire dalla pubblicazione di questo speciale numero del suo amatissimo “Flugfolio” – continuare a camminare le vie della parola. Per ora, questo. Poi raccoglieremo ancora altre testimonianze, magari certe sue cose inedite che già aveva in animo di pubblicare. Con la necessaria calma, ci prepareremo anche a organizzare un convegno per analizzare la sua opera complessiva di poeta e critico, giornalista e scrittore. Col tempo che ci vorrà.

È uno strano mercante il poeta
che la sua mercanzia mette all’asta
per un sorriso un bacio una carezza
– e magari anche per niente la regala
E vagabondo risponde a cento inviti
camminando le strade più lontane
portando in giro le parole – quelle sue
– che forse un altro poi saprà ripetere
È pronto sempre se deve a riconoscere
limitato il suo mondo – ma è possibile
che sia il suo quello più accogliente
quando qualcuno resta senza casa.

Ringrazio l’amico poeta tunisino Abdelmajid Youcef, che affettuosamente ha tradotto il mio testo in francese (sua moglie Siham Sfar è stata una delle ultime poetesse pubblicate nella collana la stanza del poeta delle Edizioni Eva):

Un étrange marchand, le poète:
sa marchandise il la met aux enchères
pour un sourire un baiser une caresse
– et peut-être il la donne pour rien.
Vagabond, il répond à toute invitation
en allant par les chemins les plus lointains
promenant les mots – les siens
certes, quelqu’un saura les reprendre.
Il est toujours prêt à le reconnaître
son monde limité – mais il est possible
qu’il soit le plus accueillant
quand quelqu’un reste sans domicile.

Giuseppe Napolitano


Cartolina precetto

Quando partirò
porterò con me soltanto
una valigia di ricordi
qualche rimpianto
per l'amore non dato e non avuto
un po' di nostalgia
per un'epoca d'oro favolosa
sempre immaginata.
Lascerò
un pezzo di anima
e un brandello di cuore
che avranno vita di parole.
Quando partirò
vorrò avere il volto sereno
e lasciare un sorriso
per quelli che con me
condivisero sogni luminosi
ed eteree speranze.
Ecco: il bagaglio è preparato.
Non aspetto
ma non sarò troppo sorpreso
quando arriverà
la cartolina precetto.

(Ceppagna, 12 giugno 2014, 22,35 )
Da Eppure

Amerigo Iannacone


Ad Aldo, che al funerale ha pianto

Aldo, sempre ti sei stupito,
senza farne un mistero,
della mia buona tenuta al bicchiere.
Ma anche per me la morte di Amerigo
è un vino troppo forte, troppo amaro.
È impossibile reggerlo, ti giuro.

(16 luglio 2017)
Gerardo Vacana

  • Autore
  • Gianluca De Lucia
  • Titolo
  • Transgredior
  • Collana
  • L'albatro
  • Pagine
  • 64
  • Anno
  • 2017
  • Prezzo
  • € 10,00
  • Isbn
  • 978-88-94866-05-6


Diamo fiducia a chi lo merita. Incoraggiamo chi ha il coraggio delle proprie scelte. In questa collana di poesia, “L’albatro”, il nome stesso della collana impone serietà di scelte ma pure slancio di sfida: simbolo del poeta, il grande uccello di Baudelaire si fa custode e al tempo stesso stimolo di poesia. In questo libro si presenta un esordiente che merita il posto in collana per il suo coraggio. Il giovane Gianluca De Lucia si affaccia con timore alla scena editoriale ma pure consapevole dei suoi mezzi - che devono essere affinati, certo, ma gli consentono già qualche momento di sicura presa espressiva.
Il titolo del libro di esordio è già un biglietto da visita con il quale poi si dovranno fare i conti. Ci si butta nell’arena e ci si dichiara: è una sfida e insieme una maschera – chi sono io per aver deciso di uscire in fra la gente e farmi valutare come poeta? Allora transgredior significa proprio questo: eccomi pronto a sfidare le regole e giocare con voi che mi leggete. Gianluca d’altronde si rimette apertamente al suo lettore ideale, al quale chiede perfino di essere aiutato a comprendere il senso della sua poesia. Ed è bello, da parte di un giovane (oggi i giovani sono diventati un tantino arroganti); è bello vedere in un giovane alle prime armi, alla prima pubblicazione, lo sforzo di farsi capire, il timore di non essere compreso, la speranza di trovarsi nel giudizio del lettore.
Questa raccolta di Gianluca De Lucia si compone di 46 testi (il doppio dei suoi anni…), scritti in un arco di anni considerevole, visto che le prime cose qui presentate risalgono alla prima adolescenza. Nel complesso, il libro c’è, si dipana in una serie di temi connessi alle dinamiche esistenziali, agli affetti provati, alla voglia di conoscere il mondo. Conviene che ad un libro di esordio si perdoni qualche leggerezza, ma qui ce ne sono di lievi davvero – ingenuità formali che non tolgono peso al dettato lirico, abbastanza controllato. L’autore di Transgredior sembra avviato a correre con rinnovato slancio le vie della scrittura: non gli mancano gli strumenti, per quanto ancora debbano essere migliorate certe maniere di approcciare le forme espressive. Non gli manca soprattutto l’onestà di confrontarsi, di accettare consigli (anch’essa rara, ormai) – leggiamolo con la stessa onestà.

Nota introduttiva di Giuseppe Napolitano