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  • Titolo
  • La stella, la croce, la luna
  • Autore
  • Lucia Barbagallo
  • Collana
  • Perseidi
  • Anno
  • 2014
  • Pagine
  • 208
  • Prezzo
  • € 15,00

Presentazione

DA UN TACCUINO di appunti, presi durante un viaggio, dimenticati in un cassetto e poi ritrovati, nasce un romanzo; certamente legato al desiderio di ricordare, rivivere, narrare quella esperienza, per alcuni aspetti unica e irripetibile, e alle sensazioni vissute, alle fantasie evocate dalle immagini di quella terra; ma anche per accomunare a quel felice itinerario una sottile storia d’amore.
La tenue vicenda di Elena e Saverio, che si ritrovano proprio là, dopo anni di lontananza, è il filo conduttore della storia narrata in questo libro. Ma protagonista incontrastata è proprio quella Terra dal triplice volto:
Terra d’Israele, sulle carte politiche e nel cuore, nella fede, nella storia di una razza e di una cultura;
Terra di Palestina, nei millenari ricordi storici e religiosi e nelle speranze di un altro popolo che l’abita e di una parte di esso che dovette abbandonarla;
Terra Santa, nella fede di chi in essa vede e sente il dipanarsi del disegno cristiano di salvezza.
Quella terra, dunque, non può non essere che la vera protagonista, qualunque sia la storia umana a cui faccia da sfondo.
Persino l’insolita, fascinosa trovata degli “interludi”, magiche evocazioni di fatti e vicende, suscitate dai luoghi come fantasmi sorti da fuochi nascosti tra ceneri e rovine, finisce per sottolinearne la complessa fisionomia, pur partecipando alla vita stessa del romanzo. In esso, le tre culture che attraversano e animano quella terra, trovano ognuna un “paladino” che dimostra di essere — al di là delle singole convinzioni ideologiche — un “credente” di fatto e di diritto; ma il convivere e lo scontrarsi di fedi e di anime, se da un lato costituisce la ricchezza e la pienezza di quel paese, è ben lungi, sia nel libro come nella realtà vera, dal trovare un momento di armonia, in cui possa germogliare il seme di un superiore credo universale, che raccolga in sé il meglio di quanto le singole idee possano dare.
Resta comunque il fatto che le domande poste da quella terra a chiunque l’accosti, non lasciano indifferenti: cosí è per i personaggi della “storia di un viaggio” i quali, attraverso una sofferta parabola esistenziale, manterranno le loro individuali scelte di fede che, in fondo, sono scelte di libertà interiore.

  • Autore
  • Nicola Napolitano
  • Titolo
  • Centopagine
  • Collana
  • La stanza del poeta
  • Pagine
  • 136
  • Anno
  • 2014
  • Prezzo
  • € 8,00


SE AVESSI un figlio, mi piacerebbe che un nonno gli raccontasse una storia come quella che in queste pagine rivive e fa rivivere il mondo che una volta... perché c’era, una volta, un mondo così, un mondo anche duro ma buono, difficile e generoso, un mondo fatto di uomini e di cose, di cose semplici, e di animali domestici. Le mucche non impazzivano, allora...
Non ho conosciuto il nonno di cui porto il nome e del quale in questa narrazione emerge a tratti la figura che pur conoscevo, come in gran parte sapevo degli episodi e dei personaggi dei quali si racconta... eppure, leggendo d’un fiato le vicende a volte buffe, a volte pensose, non di rado venate di malinconia ma quasi sempre accarezzate con l’affettuosa dolcezza che la distanza nel tempo consente anche a chi le ricorda con una punta di dolore, leggendo tutte insieme queste pagine, ho scoperto quanta fatica c’è dietro la mia nascita!
Nicola Napolitano continua a scrivere nella sua nota biobibliografica che è “nato da una famiglia di agricoltori. Ha lavorato la terra fino a 22 anni”, quella terra alla quale è tornato, con l’entusiasmo dei vent’anni, appena ha smesso di lavorare nella scuola, e finché le forze glielo hanno consentito. E poi si è dedicato alla ricostruzione letteraria del suo passato, prima attraverso l’amorosa raccolta dei proverbi paesani, infine con queste memorie del tempo che fu – per farne un “presente” ancora degno di essere ascoltato, come se fosse una storia di quelle che sua nonna gli raccontava da bambino, frutto di fantasia e di esperienza, come quelle che sua madre, mia nonna, raccontava a me...
Ecco perché vorrei che a mio figlio fosse raccontata la storia che si srotola in queste pagine. Non riesco a concepire come si possa, pur nel mondo tecno-informatico che ci avvolge e ci protegge, ci seduce e ci sconvolge, dimenticare o fingere di dimenticare che veniamo da un’altra civiltà, genuina e sofferta, costruita sulla fatica di uomini e donne che ha segnato secoli di lenta evoluzione, e senza di quella, è addirittura ovvio ricordarlo, non ci sarebbe questa nostra civiltà. Il corsivo allude peraltro all’insistente dubbio che mi turba: siamo ancora, consapevolmente, cives di qualcosa? Ci sentiamo in qualche misura, in quale misura, appartenenti ad una società? Un tempo, anche i contadini, ignoranti per lo più, superstiziosi, avevano tuttavia una identità di appartenenza... sapevano di essere tali, masticavano amaro, certo, si nutrivano spesso di pane e lavoro e a volte di solo lavoro o nemmeno di quello, della speranza di averlo presto, ma sapevano di essere quel che erano e rispettavano i propri simili e coloro che, di-versi, li rispettavano.
Ho voluto riproporre queste pagine (la parte iniziale della premessa a Casale. Memorie del tempo che fu) perché adesso “un figlio” c’è, ed è una figlia che legge moltissimo e sa di aver avuto un nonno scrittore... L’augurio di allora, quindi, può dirsi esaudito? Veglierò su mia figlia che abbia sempre sul suo tavolo i libri giusti, che faccia le letture adatte alla sua età, alla sua personalità, ai suoi interessi, e non dimentichi che – se è nata com’è, con la voglia di leggere (e scrivere) che ha – è anche per merito di un nonno come suo nonno Nicola, del quale porta anche il nome.
Comunque, ho voluto ancora proporre, di mio padre, una scelta di pagine esemplari, in cerca ancora di lettori disposti con lui a viaggiare nei sentimenti, a farsi catturare dalla bellezza della vita, dalla bontà dell’uomo. Se avrò fortuna, l’avrà avuta anche lui, in questo 2014 che ha segnato i cento anni dalla sua nascita. Perciò sono “centopagine”, perciò spero di avergli dato un’altra occasione di essere vivo con i lettori che vorranno avvicinarsi a lui con l’animo buono che egli aveva quando si avvicinava ai lettori – prima di scoprire, purtroppo, a volte, di non aver saputo cogliere la loro attenzione, la loro disponibilità, la loro sensibilità. È sempre il cruccio dei buoni: accorgersi che la propria bontà non è compresa – fraintesa o disprezzata, inutile. Allora può anche darsi che il buono diventi cattivo, scopra in sé la durezza che gli consentirebbe di sopraffare il prossimo in una lotta per sopravvivere, alla quale comunque non si sente portato – e la cattiveria, appena emersa, torna nel fondo dell’animo, che però ancor più se ne cruccia, e si chiude a riccio, pauroso di nuovi incontri...
Questo volumetto esce come primo numero di una nuova serie della vecchia collana “la stanza del poeta”, nella quale ho pubblicato 111 piccoli libri: la presenza di mio padre è un augurio per me, a continuare a crederci, come lo è la collaborazione rinnovata con l’amico fraterno Amerigo Iannacone, editore e poeta. Nella sua collana “i colibrì” era uscito qualche mese fa Scuola di poesia, testimonianza a più voci sulla natura poetica di Nicola Napolitano: queste Centopagine vogliono essere di quel libro un complemento, per unire alle voci amiche la voce dell’amico, scomparso ma sempre vivo se in quelle appunto la sua può trovare un’eco.


Un grazie particolare a Maria Rita Manzo, Assessore alla Cultura, per aver sollecitato e patrocinato la commemorazione che si è tenuta il 7 novembre al Comune di Formia, nella Sala Sicurezza (Antonio Sicurezza fu grande amico, oltre che conterraneo, di mio padre). Nell’occasione, abbiamo anche inaugurato nella Biblioteca Comunale di Formia un “fondo poesia” intitolato a Nicola Napolitano – la stanza del poeta, che raccoglie oltre cinquecento volumi di poesia di autori del Novecento


Un grazie affettuoso a Maria Di Maria (mio padre fu il suo primo Preside), mamma del mio indimenticato alunno Alfredo Lanzafame, prematuramente scomparso: ricordando suo figlio, Maria ha voluto ricordare insieme, e insieme a me, Nicola Napolitano.

Giuseppe Napolitano

  • Autore
  • AA.VV.
  • Titolo
  • Poesia da tutti i cieli 2014
  • Collana
  • Premio Poesia da tutti i cieli
  • Pagine
  • 184
  • Anno
  • 2014
  • Prezzo
  • € 16,00

Più o meno di questo tipo è stata la prima reazione di quanti hanno sentito l’idea per la prima volta. Ma noi abbiamo tanti problemi, non riusciamo nemmeno ad imparare l’inglese. Mio figlio lo studia a scuola da anni ed anni, gli ho dovuto pagare vari viaggi a Londra eppure ancora non ci siamo. E poi noi dobbiamo competere nel mondo e lavorare alla borsa di New York.
Tutto questo ed altro ancora hanno detto tanti onesti italiani, che seguono la corrente. E la corrente in questo momento dice: adeguati ai forti. I forti sono gli americani e noi cerchiamo di essere come loro e di parlare la loro lingua. Basta a questi sogni egalitari, come l’esperanto. È una cosa da socialisti e di quelli utopistici.
Ma la speranza in un mondo migliore è difficile da uccidere. In ogni generazione rinasce l’aspirazione a poter vivere in pace ed in giustizia, anche se quelli che fanno la guerra e le ingiustizie, i leoni, sono sempre piú degli agnelli.
Perciò i parlanti di esperanto sono sopravvissuti ad un secolo, il secolo passato, pieno di sangue e di fuoco e nonostante le persecuzioni di tutti i governi nazionalisti, di destra e di sinistra, sono ancora qua ed ancora continuano a proporre la loro soluzione a tutti quelli che dicono: anche nel campo delle lingue e delle culture vale la legge della giungla, il grande mangia il piccolo, l’inglese mangia l’italiano, e già lo sta facendo, tra gli applausi di tutti compresi i mangiati, sostituendosi all’italiano nei corsi di laurea di parecchie università.
Poi ci sono un’altra razza di uomini, i poeti. Anch’essi sono un po’ particolari. Sono persone che amano cogliere il nocciolo delle cose e raccontarle in poche essenziali parole. Anch’essi, nella mia visione, sono degli agnelli, dei giusti.
Alla fine, quindi, malgrado le perplessità iniziali il concorso di poesie in italiano ed in esperanto lanciato da Giuseppe Campolo, una vera forza della natura di iniziative culturali, ha ricevuto un’atten–zione notevolissima, con centinaia di poesie pervenute dall’Italia e dall’estero. Un vero problema per una giuria di una decina di persone, che si è dovuta leggere tutto ed ha dovuto fare una graduatoria, di cui avete il risultato in questo volume, che presenta le migliori cinquanta poesie in entrambe le lingue.
Non avete, perciò, bisogno di conoscere l’esperanto per leggere questo libro, però forse anche voi, che avete in mano questo libro, appartenete alla schiera di coloro che sperano in un futuro piú equo e forse avrete voglia di vedere un momento come è fatto l’esperanto.
Non avrete gli stessi problemi che avete avuto con altre lingue, perché l’esperanto è semplice (solo un cretino metterebbe eccezioni in una lingua fatta per essere semplice), si legge come si scrive (ancora di piú dell’italiano) e non ha problemi di verbi complicati come “se fossero andati, avrebbero visto”, ecc.
Impararlo è facile e non costa. Se siete giovani e mangiate pane e computer, basta cercare in rete la parola esperanto, ed arriverete a dei corsi in rete gratuiti e divertenti.
Se volete un libro vero di carta, una grammatica di esperanto, chiedetela alla Federazione Esperantista Italiana (Via Villoresi, 38, 20143 Milano, feilibri@esperanto.it).
Ma prima finite di leggere questo libro e di riflettere sul significato di una lingua costruita come l’esperanto. È una lingua di tutti e di nessuno. È una lingua che mette tutti su uno stesso piano di parità. È una lingua sostanzialmente contraria al sistema delle lingue imperiali, in cui i parlanti della lingua guida parlano e gli altri ascoltano.

Renato Corsetti

  • Titolo
  • Pasquinate al peperoncino
  • Autore
  • Aldo Cervo
  • Collana
  • Fuori collana
  • Pagine
  • 48
  • Anno
  • 2014
  • Prezzo
  • € 8,00

Per gli amici che leggeranno

Ho raccolto e assemblato in quattro stringatissime sezioni i pochi versi che seguono, buttati giú piú o meno occasionalmente sulla base di umori (e malumori) di passaggio.
La loro pubblicazione è dovuta alla necessità non piú derogabile di ripassare con l’aspirapolvere i cassetti del mio scrittoio, che in materia di cartacce non ne possono piú.
Nella speranza che nessuno voglia provare a reperirvi una qualsivoglia parvenza di poetica, tanto meno di possibili motivi unitari, e avvertendo che le prefazioni delle prime due sezioni (della seconda anche i giudizi critici) sono parte integrante delle medesime, licenzio l’opuscolo per le stampe.
E vi abbraccio.

Aldo Cervo

  • Autore
  • Rodolfo del Hoyo
  • Titolo
  • Il viandante alla deriva
  • Collana
  • Stella Verde
  • Pagine
  • 128
  • Anno
  • 2014
  • Prezzo
  • € 12,00

Biografia

Rodolfo del Hoyo è nato a Barcellona il 20 ottobre 1953, ma è sempre vissuto a Santa Coloma de Gramenet, in pro-vincia di Barcellona.
Ha seguito studi di Diritto e di Arte Dram-matica. Dal 1990 lavora come addetto culturale al Comune di Santa Coloma de Gramenet, dove dirige un centro d’arte contem-poranea e un centro di cultura tradizionale e po-polare catalana.
Svolge un’intensa attività di incentivazione della lettura. Partecipa al programma Autori nelle Aule dell’Institució de les Lletres Catalanes, con cui visita ogni anno scuole di tutto l’ambito linguistico catalano per tenere conferenze nelle scuole elementari e medie.
Ha pubblicato circa venti libri, principalmente di letteratura infantile e giovanile. Come poeta è autore delle sillogi De miradas imprecisas (1994), Asuntos interiores (1995), Els dits de l’intèrpret (2003) e El caminant a la deriva (2007), oltre che di diverse plaquettes. Per la narrativa, di particolare rilievo le raccolte di racconti Els amors furtius (2000), per la quale ottenne un sostegno per la creazione letteraria dell’Institució de les Lletres Catalanes, e Llegir al metro, cui è stato assegnato il prestigioso premio Recull-Joaquim Ruyra di Narrativa 2012. La sua poesia è stata tradotta in italiano, in romeno e in esperanto.

  • Titolo
  • E la sera la calma paura dei gatti
  • Autore
  • Carmine Brancaccio
  • Collana
  • Perseidi
  • Anno
  • 2014
  • Pagine
  • 128
  • Prezzo
  • € 14,00

30 settembre

Detto tra noi, il giorno che ho terminato la lettura di tutte le poesie di Sandro Penna ho cominciato ad amare e odiare questo poeta. Mi dava troppo fastidio il fatto che fosse così naturale e limpido, così maledetto e maledettamente bravo.
Detto tra noi, gli scrittori omosessuali, diversi, o che abbiano tanto sofferto in vita, li adoro. Come stracacchio riescano a scrivere opere come Scritti corsari, Il ritratto di Dorian Grey, Prima che sia notte, Le illuminazioni, Morte segreta, Altri libertini non lo capisco. Come posso far fronte a questi geni?
Detto tra noi, se avessi amato soltanto il cinema forse a quest’ora mi sarei iscritto al D.A.M.S o alla scuola di cinema di Bologna. Ma sono nato con la passione di scrivere, la necessità di dire la mia (o almeno ci provo). Per questo, quando mi sono iscritto all’Università, ho scelto la facoltà di Lettere e a diciassette anni ho pubblicato il mio primo librettino di poesie (molto brutto, devo dire) già influenzato dalla lettura di Dario Bellezza, il primo poeta (omosessuale) che ho amato.
Detto tra noi… che poi, diciamocelo pure, di ambizioni ne ho avute tante nei miei ventisette anni di vita, chissà poi perché finite tutte nel dimenticatoio. E sì, perché mi svegliavo una mattina e mi dicevo che volevo diventare un medico, un’altra mattina un ingegnere, un’altra ancora un musicista, poi un cantante, un ballerino, un calciatore… Finché in un timido pomeriggio da cani sono stato un’ora sul terrazzino della mia camera da letto a fissare il mal tempo e mi sono convinto che volevo fare lo scrittore.
Avevo quindici anni.

Breve estratto dal libro

  • Autore
  • AA.VV.
  • Titolo
  • Premio letterario Macchia d'Isernia 2014
  • Collana
  • Premio letterario Macchia d'Isernia
  • Pagine
  • 112
  • Anno
  • 2014
  • Prezzo
  • € 12,00

Eccoci all’appuntamento di Macchia d’Isernia con la letteratura. Con il racconto, con la fiaba, con la poesia e anche con uno spazio dedicato agli autori in erba, bambini e ragazzi, che nella scrittura possono trovare un piacere e una gratificazione, ma anche un incoraggiamento a leggere, prima che a prendere la penna e scrivere.
Nelle sue cinque edizioni giunte finora a buon fine, il Premio Letterario “Macchia d’Isernia” ha visto la partecipazione di centinaia di concorrenti di ogni parte d’Italia ed ha premiato decine di autori, come si può vedere anche nell’albo d’oro che pubblichiamo in fondo al volume. E siamo alla terza antologia, dopo quella del 2008 e quella del 2013. Noi, con tutto il rispetto per i libri elettronici, restiamo amanti della carta stampata e delle pubblicazioni tradizionali. Un libro si può toccare, maneggiare, sfogliare, si può sentirne l’odore. Un libro è un qualcosa di concreto, di tangibile, che rimane rimane nelle case, nelle biblioteche, pubbliche e private, e contribuisce in qualche modo alla costruzione dell’edificio culturale. Il costo di pubblicazione di un libro, oggi, con le nuove tecniche di stampa, è relativamente modesto, ma rimane comunque piuttosto elevato per gli organizzatori di questo premio e per l’Associazione “Maccla Saracena”, che riesce a vivere solo per merito e buona volontà di soci che non solo lavorano gratuitamente per la cultura ma che, tra l’altro, si autotassano anche. Cosí pure la giuria: impegna il proprio tempo e la propria professionalità senza compenso, solo per amore della poesia e della cultura. Ma i meriti di chi opera per la cultura non sempre vengono adeguatamente riconosciuti là dove c’è il potere politico e dove c’è il potere economico. Anche per questo una parola di lode va spesa per l’Amministrazione Comunale di Macchia d’Isernia, che pur coi problemi di bilancio in cui praticamente tutti i comuni e soprattutto i piú piccoli oggi si dibattono, continua a sostenere questo Premio. Consapevole, evidentemente, del valore e dell’importanza della cultura in una società distratta come la nostra.
Sfogliando le pagine che seguono, vi renderete conto della qualità degli scritti antologizzati, prosa e poesia, e inoltre potrete rendervi conto della loro provenienza geografica, da Messina a Treviso, da Savona a Caserta. E anche delle promesse degli autori in erba. A dimostrazione dell’attenzione del mondo delle lettere per la nostra piccola realtà e del fatto che la cultura non ha delimitazioni geografiche e non cede ad alcun tipo di campanilismi.
La qualità dei testi, ripeto, è elevata e i temi sono vari. Certo, forse una giuria diversa avrebbe fatto scelte diverse, forse, anzi certamente, tra i testi concorrenti che, nell’economia di questo volume, non è stato possibile inserire, ce n’erano di validi, che indubbiamente meritavano. Ma comunque non escludiamo poter avere l’occasione di premiarne gli autori in una prossima edizione.
Sia per le poesie, sia per i testi narrativi, possiamo dire che diversi sono gli stili, diversi i contenuti, ma sempre si tratta di testi di valore e non escludiamo, anzi ne siamo convinti, che alcuni autori, se non tutti, lasceranno delle tracce nelle storie della letteratura.

Amerigo Iannacone

  • Titolo
  • Sabbia
  • Autore
  • Amerigo Iannacone
  • Collana
  • Colibrì
  • Anno
  • 2014
  • Pagine
  • 80
  • Prezzo
  • € 10,00


Prefazione
La poesia di Amerigo Iannacone esige, da parte del lettore, buone dosi d’attenzione, impegno e dedizione, insieme con spirito di complicità e con una certa dimestichezza con la sua vasta e complessa produzione. Per capire veramente la poetica dell’Autore molisano, per compenetrarsi appieno nelle sue riflessioni sovente sottotono, sussurrate a mezza voce, occorre mettere da parte sia la magniloquenza che le istanze della nostra ingannevole persona, o “maschera individuale”. Pregi e difetti da accantonare con giudiziosa umiltà, mantenendo l’animo, tuttavia, ben aperto al confronto con testi dotati d’una sí elevata intensità e profondità di pensiero, al fine di carpirne, valutarne e apprezzarne valore e portata.
Amerigo tutto rammenta, scruta ed analizza – in ogni minimo dettaglio, con una certosina, limpida capacità di sintesi e d’inventariazione –, senza nulla omettere e, soprattutto, facendo tesoro di ciò che l’esistenza gli ha insegnato e donato e tuttora continua a proporgli.
Il suo è, e rimane, un ininterrotto percorso di “formazione”, in un crescendo di meditazioni ed emozioni che le esperienze – spesso dolorose e traumatiche – inesorabilmente hanno rimodellato e quindi trasformato, sí da imporre alla sua forma mentis, intimamente libera da condizionamenti, contegnosi atteggiamenti di moderazione e di riserbo, dove il dubbio – l’incertezza dell’essere – diviene il fulcro (ovvero, l’organon) intorno a cui ruota il suo pensiero ed attraverso il quale, di conseguenza, prendono forma i suoi versi.
Esiste, dunque, un persistente rapporto dialettico, per quanto impercettibile, che regola – a volte sconvolgendola, fino a scompaginarla – l’ispirazione di fondo: c’è la vita, là fuori, che incombe e fortemente strepita ed urla; nel mentre, il mondo interiore di Amerigo macera, soffre, confronta e freme.
È un poetare che richiede, anzi implora, il silenzio. Soltanto dai luoghi incontaminati della memoria, da quelle dimensioni misteriche ed oniriche popolate da ombre a volte rassicuranti e familiari, piú di frequente minacciose ed oscure – «luoghi insignificanti / siti senza storia», osserva il Poeta in Ogni attimo –, è possibile risalire ai tanti interrogativi del tempo presente. Sono domande che, per quanto irrisolvibili, riescono a dare un senso al nostro vivere quotidiano, ai disegni che, pur rivelandosi mendaci, stimolano il nostro sentire ed il nostro spirito critico, esortandoci a non arrenderci e ad andare avanti.
Pure, ricorrono nell’opera frequenti asserzioni che sarebbe errato spiegare come una capitolazione di fronte all’«incancellabile magma di dolore» che, come un «fiume di sabbia» – si legge in Fiume di sabbia –, ci sospinge «verso il nulla».
Uno dei meriti e delle qualità fondamentali di Amerigo Iannacone, accanto al talento poetico e ad una solida conoscenza delle problematiche proprie della letteratura contemporanea, è l’aver saputo prendere atto dei pesanti livelli d’incomunicabilità – il vero cancro della modernità – che minano il nostro sereno rapportarci con il prossimo. Partendo da questa semplice constatazione, egli s’è dimostrato capace finora, non soltanto dal punto di vista strettamente letterario ma anche sul piano della militanza e dell’impegno concreto, di combattere le terribili conseguenze della solitudine e dell’emarginazione dell’artista, mettendo in campo notevoli risorse di altruismo e coraggio.
La presente raccolta “Sabbia” si distingue, dunque, per la ferma e fiera volontà di capire e lottare, andando oltre le mere apparenze. Confessa, ad esempio, Amerigo nella lirica Ponti: «C’incontriamo / ci parliamo ancora / nel mondo iperuranio delle idee / nel sito imperscrutabile dei sogni. / Il dialogo scavalca / il muro imprescindibile dell’oltre, / dialoghi-ponti / con il passato e forse / con il futuro / duro a immaginare.»
L’impenetrabilità del mistero è intesa – con un accento, in parte, sottilmente provocatorio – come l’estremo rimedio, il piú raro e prezioso: una riedizione del leopardiano conato volto ad affratellare ed unire gli uomini, assumendo come coordinate e, nel contempo, come elementi d’aggregazione, le universali ed enigmatiche leggi della sofferenza e del dolore.
C’è, in effetti, in Iannacone una religiosità di fondo, concepita – oserei dire – come sacralità dell’inconoscibile. Questa silloge potrebbe benissimo essere interpretata come una ulteriore evoluzione, una maturazione in fieri e non definitiva – benché priva di certezze ma senza grossi inganni –, tale da comportare la compilazione d’una sorta di lezionario – laico, se vogliamo, al passo con i tempi –, prossimo a quei venerabili libri d’ore che, a partire dal Medio Evo, hanno accompagnato per millenni le tenebrose notti d’un’umanità confusa e alla ricerca di punti fermi. Un asciutto, categorico sequenziario d’inenarrabili velleità, accuse, contenziosi, lamenti, confessioni, omissioni, ingiustizie, gratificazioni, trame, destini, condanne, evoluzioni ed involuzioni…
Allo stesso modo, ma sul fronte opposto, è possibile riscontrarvi un vorticoso ed emblematico campionario di nefandezze ed assurdità, che l’“homo homini lupus” – da Plauto ad Erasmo da Rotterdam, fino a Thomas Hobbes – ancora seguita a perpetrare. Ciò lascia pensare, senza tema di smentite, al profano “Libro di sabbia” che il visionario Jorge Luis Borges realizzò all’insegna d’una nietzschiana, sprezzante e luciferina empietà: sogni, incubi, spettri ed echi, frammisti a carne, volti, luoghi, misfatti…
Sabbia, insomma, quale umanissima e completa registrazione, codice (codex, notare l’etimologia della parola: da caudex, tronco d’albero) – del perpetuo disfacimento del Creato, accompagnato e seguito dal suo portentoso, simultaneo rigenerarsi.
Una “natura naturans” – va ricordata la lectio di Giordano Bruno e, successivamente, quella di Baruch Spinoza – che, nel suo incessante divenire, assume le sembianze piú difformi, fino a quelle, infinitesimali, di granuli volatili ed impercettibili, che evocano e rimandano all’arcano del nulla eterno.
È il prodigio della materia/mater dinanzi al quale noi siamo spettatori muti ed impotenti, e che l’intelletto e la coscienza del Poeta si sforzano in qualche modo d’afferrare, di sedimentare, decantandone tristemente, mirabilmente corsi e ricorsi, flussi e riflussi, sia tangibili che incorporei.
Perché qualcuno ha insegnato che l’immaginazione può essere tragica e vera, assai piú della realtà.

Francesco De Napoli

  • Titolo
  • Quattro autori per quattro medioevi?
  • Autori
  • Buongiovanni, Franchitti, Sarra, Zullo
  • Collana
  • Colibrì
  • Anno
  • 2014
  • Pagine
  • 120
  • Prezzo
  • € 10,50

Introduzione
L’idea di Medioevo nasce con l’Umanesimo italiano, per definire un arco di tempo che si snoda tra la fine del VI e il XV secolo. Da un certo punto di vista possiamo considerare la categoria storiografica di Medioevo pertinente, perché riconosce e custodisce molti elementi di continuità in un lungo periodo; allo stesso tempo però questa etichetta risulta equivoca e ingrata, costringendo il Medioevo alla condizione subalterna di tempo intermedio e di attesa tra l’età antica e l’età moderna. Per altro, rispetto alle due età estreme, il Medioevo risulta un tempo molto più lungo e complesso. La difficoltà per l’Umanesimo a comprendere il Medioevo corrisponde al fatto che in esso la razionalità ha un ruolo di secondo piano, soprattutto nella costruzione del senso della storia e della vita. Questa caratteristica potrebbe per altro costituire un elemento capace di suscitare di per sé interesse dal punto di vista del nostro tempo, segnato da così grandi interrogativi sul significato della razionalità nella storia.
La storiografia letteraria che si dedica ai testi latini scritti da Boezio a Erasmo da Rotterdam mostra una vivacità culturale inattesa. Il Medioevo nasce dopo la guerra di Giustiniano contro gli Ostrogoti di Teoderico, dopo la sua effimera vittoria e dopo il sostanziale prevalere in Italia dei Longobardi sui Bizantini, quando tutto ciò che proveniva dalla tradizione classica e dalla romanità fu messo in discussione, in un profondo rinnovamento della cultura. Da questo momento in poi non è più la razionalità a prevalere, e interruzioni che non si ritenevano possibili si verificano nella realtà. La rottura con la cultura classica non è, però, assoluta e ciò è rivelato dal fatto che il latino rimane la lingua della cultura e i testi antichi continuano a essere letti e trasmessi, per quanto in un contesto intellettuale e spirituale del tutto nuovo, segnato dall’idea che vi è qualcosa di ulteriore alla ragione che regola i fatti storici e la natura, qualcosa che sarà rappresentato eminentemente dalle forme della cristianità.
Nello studio del Medioevo è possibile individuare quattro periodi, ognuno dei quali può essere introdotto con lo studio di un autore ritenuto particolarmente rappresentativo della temperie culturale dell’epoca di appartenenza. La prima fase (secoli VIII-IX) è successiva all’apertura di Gregorio Magno nei confronti dei Germani. Egli è il primo a dare un’interpretazione di un periodo confuso e a percepire la possibilità di senso di una storia che sembra non averne. La figura maggiormente rappresentativa di questa nuova visione storiografica, sulla scia di Gregorio, è il monaco anglosassone Beda il Venerabile, autore dell’Historia ecclesiastica gentis Anglorum, la prima storia degli Angli. Tra i secoli X-XI, con la crisi dell’impero carolingio e l’uso ideologico della tradizione germanica (che nuovamente cerca il mito dell’Impero), avviene un cambiamento. Sul piano letterario, la storiografia lascia spazio alla lirica, nasce una nuova sensibilità letteraria, emergono passioni e sentimenti, l’attenzione è rivolta al singolo individuo e la letteratura si focalizza sulla natura dei sentimenti umani. Paradigmatica di questa fase è la personalità di Letaldo di Micy, agiografo e autore in particolare del Whitin Piscator. Nei secoli XI-XII la riflessione filosofica di Anselmo di Aosta, vescovo di Canterbury, dà una nuova dignità alla ragione dell’uomo, che si rivela uno strumento utile per dimostrare l’esistenza di Dio e la verità della tradizione cristiana. In questo riconoscimento delle possibilità della ragione Dio si mostra vicino all’uomo e compare nella figura dell’amicizia. Da ciò deriva quello che è stato chiamato il Rinascimento del secolo XII, con una rinnovata fiducia nel linguaggio e nelle possibilità dell’uomo. Eloisa, nelle lettere ad Abelardo, porta alle estreme conseguenze il razionalismo anselmiano, mostrandone la forza e le criticità: la persona si sente ora capace di giustificare interamente se stessa e i propri atti. Il linguaggio che aveva trovato in sé una traccia divina, trasforma gli atti umani che narra, ponendoli in relazione all’intenzione di chi li compie e questa relazione è decisiva nel giudizio. La letteratura si impegnerà a scrivere storie nelle quali l’unico metro di giudizio è il protagonista stesso, le sue caratteristiche, i suoi amori e qui la letteratura europea scopre il romanzo.

Nei secoli XIII-XIV, con Francesco d’Assisi, nasce una nuova concezione di Dio: non è la ragione a dimostrare che Dio esiste, ma il silenzio di Dio, che lascia l’uomo libero di compiere le sue scelte. Il Dio forte della razionalità, diventa il Dio debole che ha accettato di annientarsi calandosi nell’umanità, non nel segno dell’evidenza ma della insignificanza: Dio mostra la sua onnipotenza calandosi nel nulla, accettando ciò che è del tutto altro da lui; per avvicinarsi a questo Dio, quindi, bisogna ugualmente rinunciare a tutto, fino a perdere la propria identità. In letteratura a questa nuova idea divina corrisponde una progressiva diffusione del volgare. La perfezione della persona corrisponde sempre per il Medioevo alla consapevolezza della propria vicinanza a Dio e dopo Francesco questa vicinanza si esprime compiutamente non nella lingua delle scuole, della tradizione, del potere, non nella lingua che teneva in comunicazione tutto il mondo europeo, ma in una lingua debole, all’inizio della sua storia. La lingua madre diviene la lingua della perfezione: la storia letteraria del Mediolatino qui sostanzialmente si chiude.

  • Autore
  • Athanase Vantchev de Thracy
  • Titolo
  • Dia digno de la vorto
  • Collana
  • Stella Verde
  • Pagine
  • 96
  • Anno
  • 2014
  • Prezzo
  • € 12,00

Dia digno de la vorto

MI ĉiam admiris la dolĉan kaj brilan klarecon de la poezio kaj la printempan roson glimantan sur la kalikoj de la vortoj. Mi amis, ekde mia infaneco, la nekredeblan kompleton de iuj versoj kaj ilian plenkompletan profundon. Adole-ska, mi intuiciis mian mizeron kaj tiun de la homoj ĉirkaŭ mi. Bal-daŭ mi ekkonsciis pri la nenio, kiu alkroĉiĝas al niaj korpoj, sen iu utilo. Mi sufokiĝis antaŭ la perspektivo de kompatinda ekzistado, en la eto de la deziroj kaj la malpleno de modestaj kontentigoj. Ĉu mi devis vivi en tiu minerala silento kiu ŝvebis en la ĉirkaŭa aero kaj trankvile resti komplico de la malesto de sankta pasio? Mi revis lumajn flagojn kaj ĝojajn oriflamojn. Mi volis esti la kanto de la najtingalo, kiu per sia voĉeto, aŭrora glavo, fendas la profundon de la ombroj. Mi deziris palpi la tempon sciante, ke neniam mi estos vidanta ĝian vizaĝon.
Mia entuziasma animo puŝis min ami la belon en ĉiuj ĝiaj for-moj, en ĉiuj ĝiaj manifestadoj. Memvole mi aprecis la netan ele-ganton de la arboj kaj de la floroj, la fantazion de la insektoj ĉiam moviĝantaj, ilian ĝojan akcepton de la ekzistado. Mi baldaŭ ko-mencis plejami la silentan saĝon de ĉio, kio estas humila kaj vera, la surdan ekzaltadon de la animoj markitaj de la mistika signo de la abnegacio, la senmovajn vorticojn de la puraj koroj.
Mi baldaŭ komprenis, ke la interna bruo, kiun lasas gravuritaj la eventoj en nia karno estas ege pli grava ol la eventoj mem. Mi devis eduki en mi mem sagacan kaj klarvida gardadon. Mi lernis naĝi en la revoj. Estas tiel ke mi spertis la mirindaĵojn de la profundoj kaj la sencesajn miraklojn de la vivo. Mi lasis miajn ĉagrenojn hejme, en mia ĉambro, ĉiam orda por iri serĉe al la poezio, tiu senlima maro plena je suno, sonoj kaj nesupozitaj trezoroj. Ĝi kaŝis en sia sino la silenton klaran kaj sen iluzioj, kiu povis levi min al la regno de la vero. Ĝi enhavis en siaj ĉiam moviĝantaj akvoj la puran esencan malĝojon tiel proksiman al la eterna ĝojo, kiu malkaŝas al ni la teorion, la vidon de Dio.

Breve estratto dall'Introduzione