Vai al contenuto

  • Titolo
  • Pintar la luz - Dipingere la luce
  • Autore
  • Gustavo Vega Mansilla
  • Collana
  • Stella verde
  • Pagine
  • 120
  • Anno
  • 2012
  • Prezzo
  • € 10,00


La vita è inciampare fra sogni (fingendo a volte di non riuscire a svegliarsi), sapendo bene che sono sogni – poi ci si scuote, presi da nuove occasioni e sospinti ad altri lidi... Siamo vagabondi in cerca di rive amiche e ospitali, siamo naufraghi emersi alla veglia, siamo sognatori disillusi che si aggrappano alla luce appena intravista, per non cadere un'altra volta nel buio (dipingendo magari una finta luce sul proprio cammino, quando non riescono a forare la grigia coltre che li ancora alla banalità delle immagini del quotidiano).
È vero, a volte, están de sobra las palabras... e quelle che appesantiscono il dire vanno eliminate. La misura del verso è "misura di vita". Cadono hasta agotarse, le parole, come dentro una clessidra i granelli di sabbia, e segnano "istanti di cristallo": è una sospensione continua fra immagini mentali e realtà che viene fotografata e virata in camera oscura, prima di essere cristallizzata in una foto. Artefici di vere immagini, le parole, se riusciamo a leggerle come nostre.
La vita del poeta – sempre misurata – è un succedersi di parentesi, un rincorrere dentro e fuori momenti da gustare e testimoniare (schizofrenia del guardarsi allo specchio), per farne "sculture" verbali e lasciarle in esposizione – contro il tempo non c'è altra medicina che fissarlo nella memoria, appena vissuto (o sognato...) un istante, messo nell'album e così custodito, esorcizzando la stessa paura del tempo che passa, superando le incertezze di un approccio al domani, certi che il momento vissuto oggi (o sognato!) ci fa più forti (e pronti all'imprevisto).
È la nostalgia del futuro che vizia spesso la nostra esistenza pellegrina: saremo... chi? E stiamo lì a pensare senza risolvere, catturati da "momenti di lirismo delirante" che infine costituiscono una straordinaria "metafora di quello che siamo e quello che vorremmo essere"... Poiché non tutto è possibile dire, non tutto si dice.
Tradurre Gustavo Vega è una scommessa non facile da vincere – non sempre vinta. Ma è pure un gioco esaltante inseguirlo a scoprire nei versi la parola che ne apra il senso e riconduca alla chiave del testo – è un gioco che si può anche perdere: vale sempre la pena essersi messi in gioco! Seguendo le regole che l'autore fa finta di spargere sulla carta: è un gioco anche questo, poiché le regole sono fluttuanti, aleatorie, provvisorie e si scompongono "nel disarticolarsi del senso stesso del linguaggio attraverso la materializzazione della scrittura".
Anche dipingere la luce è una scommessa difficile - non sempre ci riesce il pittore, ma forse il poeta lo può: la parola può dire i colori e indicarne i rapporti e le tonalità, chiarirne perfino le più lievi sfumature. Certo, "la luce" non è quella che si vede, non è la luminosa essenza che fa giorno il giorno: la luce che "dipinge" il poeta è la sua mente, l'intelligenza che gli consente di leggere il mondo e il tempo che lo regola. La luce del poeta è la parola stessa che dice chi è il poeta.
Denudare il linguaggio (come fa – ormai da decenni – Gustavo Vega) e rappresentarlo nelle sue funzioni minimali non avviene per un semplice vezzo estetico, ma per esporre una riflessione sul sentire poetico e sulle stesse capacità umane di sentire il linguag gio come spazio di libertà, non delimitato dalla pagina in cui si presenta. D'altra parte, la poesia non è solo parola, non la parola in sé, ma il rapporto che essa stabilisce con altre parole, con immagini e suoni a cui si richiama o che lei pure stabilisce o suggerisce, perfino nella disposizione che il testo assume.
Un equilibrio sottile domina e regge i versi di Gustavo Vega, il suo giocare con le parole e con la loro presenza sulla carta, la sperimentazione continua di accostamenti e slittamenti verbali. È l'equilibrio che tiene in bilico le ombre e le illusioni di una vita ("sculture schizofreniche") in equilibrio fra il dicibile e il non detto, instabile precarietà dell'essere che cerca di affermare almeno il suo diritto ad essere chi è.

Giuseppe Napolitano

  • Autore
  • Amerigo Iannacone
  • Titolo
  • Pensieri della sera
  • Collana
  • Colibrì
  • Pagine
  • 60
  • Anno
  • 2012
  • Prezzo
  • € 9,50

Da un vissuto nativamente radicato nell’area molisana trae origine la volontà espressiva di Amerigo Iannacone e si configura in misure poetiche che, pur nella ancora naturale acerbità, danno spazio a presenti e future credibilità di slargate appropriazioni liriche.
Le varianti tematiche che motivano queste prime prove manifestano tratti di assorta lettura del paesaggio amato e una deserta riflessione esistenziale addolcita dal respiro domestico dell’amore. Su questa sostanza densa di vitale energia e di promesse Iannacone opera, proteso alla ricerca di un linguaggio, di una modulazione di ritmi propri, atti a cogliere e fissare il fuggevole flusso dell’esistenza. Certo è che assorbire il passato nella fenomenologia poetica in cui è stato realizzato almeno dai suoi maggiori rappresentanti, vivere il presente in nuove umane tensioni, liberare l’espressione dai ritmi divenuti patrimonio di tutti e l’occhio dalle immagini sfocate dall’uso, in lotta contro il convenzionale dell’esperienza vissuta e tramandata da altri per la conquista di una libera ed originale sensibilità, non sono imprese di poco respiro. Sarebbe, pertanto, ingiusto pretendere dai giovani alle prime prove, necessarie per futuri elevamenti di tono e approfondimento del sentire, una simile maturità di sensibilità e di voce; e sarebbe altrettanto ingiusto, se ignorassimo la loro presenza.
Amerigo Iannacone è uno di questi giovani che non devono essere ignorati: egli corrobora dentro di sé con accanimento le energie e i palpiti della crescita e man mano dà maggiore vigore all’urgenza di conoscersi e costruirsi mediante la parola poetica. Vogliamo asserire che se egli non ha raggiunto
le alte sfere dell’Arte e della Poesia è bene incamminato verso di loro. In questa sua produzione di esordio, Pensieri della sera, già si incontrano momenti che toccano e restano col flebile ricordo del commosso e dell’amore.
L’immagine della donna che riempie col suo magico respiro la vita dell’uomo che la ama, la soffice intimità di certe atmosfere colte e intensamente vissute in tesi silenzi di sere e di notti, i ritrovati colori di certe albe lungamente desiderate quando sul vivere quotidiano si addensano le nebbie della noia
e dell’angoscia, il tremolare pudico dell’aprile nelle pupille dei fiori e le soffuse mestizie
di novembre con i suoi toccanti sentimenti suscitati dai pensieri sul veloce svanire di ciò
che si è amato e si ama vivono in queste poesie già scorporati e resi nelle aeree distanze
fatte di realtà tramutata in sogno.
Iannacone, ormai uomo, sa rivivere le intense e incantate sensazioni della fanciullezza, giocata al fresco sorriso delle sue montagne e degli ulivi, tra i ciottoli delle mulattiere e le voci dei cari:
Ho respirato bambino
l’aria pura
delle tue montagne
ho giocato ragazzo
tra le tue vie sassose
quando per avere una moto
bastava una croce di sambuco.
Il sambuco, che con l’acuto profumo dei suoi fiori, ci riporta puntualmente la primavera, è divenuto motivo di creazione e simbolo d’innocenza; e le mulattiere con i suoi ciottoli arrotondati dai piedi degli animali e degli uomini, diventano l’immagine dolente di una civiltà al tramonto. Ma non sono intessute, queste poesie, soltanto di paesaggio e memoria; esse accolgono anche il motivo religioso, nato dal dolore e dalla speranza, e il piglio iroso della satira sociale:
Antipasto, primo misto
secondo prelibato
..............................
E intanto c’è chi muore
per un pugno di riso
che non ha.
La pioggia e novembre, richiamati in una varietà di visioni, si caricano di connotati rituali in un panico sentimento della sacralità e della morte:
Anche tu soffri di solitudine
novembre
e i tuoi giorni ti vedono
morire nella nebbia.
E vi sono versi che si appuntano con efficace misura contro l’invasione magmatica di ferro e cemento che dilagano irrefrenabili travolgendo con “grigia geometria” la bellezza e la vita sulla terra:
L’odore del cemento
fagocita il profumo delle zolle
.........................................
l’acciaio prende il posto della pietra l’amore cede all’odio.
Chiudendo questa breve ricognizione all’interno della silloge Pensieri della sera, crediamo di poter dire che la scrittura in versi di Amerigo Iannacone, sostanziata di personali memorie e di malinconiche esperienze di vita, palesa disposizioni e intenzionalità poetiche che otterranno piú visibili e migliori esiti man mano che la crescita culturale si renderà sempre piú indissolubile dalle strutture espressive.

Cerro al Volturno, 7 aprile 1980
Vincenzo Rossi

  • Titolo
  • E non è mai troppo lungo il giorno
  • Autore
  • Filippo De Angelis
  • Collana
  • L'albatro
  • Pagine
  • 96
  • Anno
  • 2011
  • Prezzo
  • € 12,00


Filippo De Angelis è senza dubbio tra le piú felici scoperte fatte dagli anni (oramai innumeri) che frequento – letterariamente parlando – la regione molisana, cosí fertile in termini di cultura, di storia e di arte.
E se è vero che il De Angelis non è molisano di nascita, lo è però di adozione. Sicché gli anni vissuti per ragioni di servizio nel Venafrano, gli sono bastati perché dall’ambiente assimilasse l’amore per la poesia, e – bisogna aggiungere – per il bel verso.
Cosí, dopo la prova – positiva – compiuta con la silloge in vernacolo reatino Peraforte de ’na ota e de mo’, dove si rivela appassionato cantore di trascorse civiltà paesane dell’entroterra laziale, il dinamico Colonnello delle Forze dell’Ordine, in pensione da qualche anno, del quale si apprezza una apertura mentale ad ampio raggio, torna a corteggiare il vocale Elicona, e stavolta affidando all’itala cetra il suo fecondo estro creativo.
Il titolo, che suona E non è mai troppo lungo il giorno, è già di per sé rivelatore di un modo d’essere di una personalità forte, di un temperamento inappagato, e segnala nell’autore un animo – vichianamente parlando – perturbato e commosso, che non conosce momenti di noia o di stanca, i cui sensori vitali ancora conservano una intatta capacità recettiva. Scrive infatti a chiusura della lirica che dà il titolo al testo: «… / vivo la vita che mi vive intorno, / che mi bisbiglia piano, sottovoce / e non è mai troppo lungo il giorno». Da tale bisogno di esserci, di continuare a partecipare alla gran festa della vita, si origina nel poeta un malinconico interrogativo, quando arriva a dubitare del ruolo di “livella” che Antonio de Curtis (l’universale Totò) riconosce alla morte nel ben noto carme in dialetto napoletano. E il dubbio nasce dall’empietà con cui la “falce” di Atropo non si fa scrupolo di stroncare vite di bambini appena approdate sulle “splendenti plaghe della luce” discriminando cosí tra creature piuttosto che livellando in termini di opportunità.
Tanta reattiva ipersensibilità del De Angelis è percepibile dal sovrabbondare – nella raccolta – di motivi poetici che, distribuiti secondo il variar quotidiano dell’umorale status interiore del poeta (In “Autoritratto”: «io scrivo di getto / pensieri improvvisi. / Son troppo diretto»), si formalizzano spaziando tra intimismo, sensualismo, paesaggismo e attenzione al sociale. Né mancano passi dove rimontano prepotenti le memorie; dove – in special modo in chiusura – si affronta in termini accorati ma virili l’inesorabilità del tempo che passa.
Le pagine – o almeno gli stralci – da citare per ciascuno dei motivi individuati a mo’ di esempio sarebbero innumerevoli, sicché me ne esimo lasciando al lettore il piacere di un approccio senza mediazioni. Ma una – delle pagine, dico – voglio proporla per la pregnanza significante che vi si condensa: «Il filare ormai rosso / annuncia un autunno precoce / mentre grappoli / cadono sapidi / nel cesto / un raccolto odoroso / un profumo fruttato / e le api la spola incessante / per l’arnia / ultimi contributi / alla regina / anche il mio autunno / già tende sul rosso / e l’ape regina / tra figure e le rime / raccoglie i frutti / maturati sul tardi / a te mia Regina / il pensiero commosso.»
Di forte impatto metaforico e di grande bellezza l’immagine di una vita feconda, che si trasfigura in vigna grondante di buon frutto in un «autunno» che «già tende sul rosso».
A tal punto del discorso l’obiettivo del prefatore deve puntare sull’assetto metrico. E l’assetto si presenta variegato nel senso che accanto a un visibile, per me gradevolissimo, recupero della tradizione, da cogliersi nel ritorno dell’endecasillabo, del novenario, del settenario etc., sistemati in un contesto ritmico e di rima non rimesso al caso, si evidenzia anche l’adozione di costrutti liberi, svincolati da prefissati modelli, con drastici tagli sulla punteggiatura e ricorso a soluzioni ellittiche che solo di rado tuttavia rasentano i limiti della impenetrabilità, quasi che il De Angelis intenda sfidare le poetiche dei modernissimi sul piano della essenzialità descrittiva.
Il volume, visto nella sua complessità, è testimonianza di una natura fervida, mossa da tensioni umane e culturali che periodicamente risalendo dagli anfratti dello spirito si riversano all’esterno facendosi parola. E l’amore per la parola è l’elemento, connotativo forse piú che ogni altro, dell’intera silloge, che viene oggi ad arricchire la già ricca collana poetica delle Edizioni Eva.

Aldo Cervo

  • Autore
  • Amerigo Iannacone
  • Titolo
  • Matrioska e altri racconti
  • Collana
  • I Colibrì
  • Pagine
  • 88
  • Anno
  • 2011
  • Prezzo
  • € 8,00

Prove d’esistenza per gli amici

«La ruota gira, sempre uguale, sempre uguale… E un giorno ci guardiamo allo specchio e ci meravigliamo di quella malinconica figura che ci sta davanti».
Sono due le espressioni che vengono subito in mente quando ci si prepara a leggere un breve scritto in prosa di Amerigo Iannacone: “microracconti” e “cronache reali e surreali”. E comunque ci si aspetta di leggere una densa storia breve che all’apparenza della certezza “reale” unisca un’aria “surreale”...
In effetti, la misura del racconto brevissimo gli è congeniale, certo abituale, come pure gli avviene di scrivere in poesia, spesso nelle rapide pennellate – o staffilate – dell’epigramma e dell’aforisma. E pure al confine incerto fra realtà e sogno (che a volte è un incubo) siamo abituati, noi amici delle sue parole scritte – noi che lo conosciamo da decenni e continuiamo a stupirci (ma non piú tanto) della sua fedeltà alla misura, alla oraziana ratio che diventa metodo di osservazione e descrizione della natura umana e dell’ambiente in cui questa si manifesta e cerca di perpetuarsi. Nel gioco logico dello spostamento dei piani espressivi, capita però, a volte, che quella misura vada persa, e ci si trovi spaesati, oltre la dimensione che conosciamo.
Amerigo ci accompagna nella sua narrativa come quando portava in giro una classe per musei e luoghi di grande interesse: guardate e ricordate... Ci sono luoghi nella vita (e lo sa bene, l’autore di Luoghi) che si mantengono nella memoria privata o appartengono a quella collettiva: tutti hanno qualcosa da ricordarci ed è giusto che ci si faccia attenzione. A volte, facendo attenzione, si può evitare di attraversare per la seconda volta un luogo inospitale, si può evitare di incontrare per la seconda volta qualcuno che ci ha fatto del male; anche se – si sa – guarire dal masochismo è difficile, e l’uomo è l’unico animale che inciampa due volte nella stessa pietra!
Vuol dire – Amerigo – abituatevi alla vita com’è, e non fatevi imbrogliare dalla vita come la vorreste: meglio non avere troppi grilli per la testa, poiché al risveglio si trasformano in cicale e quelle – si sa – cantano senza voglia di lavorare... La morale della favola in questi nuovi racconti di Amerigo Iannacone sembra essere la vecchia morale dell’ostrica, ma in piú si avverte una cresciuta amarezza che va oltre la stessa oraziana capacità di sopportazione: qui si coglie inevitabile e cattivo il passo del tempo che incalza, e nello specchio (quello fisico nel quale «ogni primavera rimanda un’immagine che ha una ruga in piú» e quello ideale in cui ciascuno vorrebbe almeno potersi guardare senza vergognarsi) si legge il costante rischio del degrado e del fallimento. “Il salice piangente”, la “voragine” sotto i piedi, la “macchia nera” che inghiotte... sono allusioni terribili, avvisi di cui tenere conto.
C’è tempo, certo, ma – si sa – chi ha tempo non lo perda; prendiamoci per mano allora, e andiamo insieme, insieme agli amici (che dobbiamo imparare a conservare), verso il minimo traguardo che la vita ci concede: un momento di serenità va gustato, un incontro, un piccolo successo... eppure, inguaribilmente – ed è questo il cruccio dell’autore di questi racconti, sospesi tra descrizione e premonizione –, pensiamo ad altro, ci perdiamo nel potrebbe essere e nel magari capitasse, «Mentre la nostra favola si avvia alla conclusione».

Giuseppe Napolitano

  • Autore
  • A.A.V.V.
  • Titolo
  • Da un popolo ad una nazione
  • Pagine
  • 64
  • Anno
  • 2011
  • Prezzo

Verbale della giuria

La Giuria del Premio Nazionale di Poesia “Per non dimenticare” - dedicato quest’anno al 150° anniversario dell’Unità d’Italia, “Da un Popolo a una Nazione”, si è riunita il giorno 8 marzo 2011, alle ore 19,00, nei locali del Comune di Coreno Ausonio per esaminare gli oltre 100 testi partecipanti al Concorso. Insieme con il Presidente Tommaso Lisi, erano presenti Domenico Adriano, Maria Benedetta Cerro e Amerigo Iannacone.
Dopo aver constatato il consistente numero dei partecipanti e il buon livello letterario delle opere presentate, la Giuria ha fermato la sua attenzione sui seguenti autori:
Simona Aiuti (Alatri - Frosinone), Sabrina Balbinetti (Roma), Francesca Barone (Ceppaloni - Benevento), Fabiano Braccini (Milano), Franca Calcabotta Sirica (Monza), Alberto Canfora (Roma), Antonio Chiades (Pieve di Cadore - Belluno), Rosamaria Coreno (Coreno Ausonio - Frosinone), Dalia Iarussi (Terni), Serena Modena (Cavarzere - Venezia), Tiziana Monari (Prato), Giuseppe Quirino, (Coreno Ausonio - Frosinone), Alvaro Staffa (Roma), Lenio Vallati (Sesto Fiorentino), Veronica Vercellone (Cigliano - Vercelli), Rodolfo Vettorello (Milano), Anna Maria Villani (Brindisi).
In un secondo tempo l’esame della Giuria si ristretto ai seguenti nomi: Sabrina Balbinetti (Roma), Fabiano Braccini (Milano), Franca Calcabotta Sirica (Monza), Alberto Canfora (Roma), Dalia Iarussi (Terni), Serena Modena (Cavarzere - Venezia), Giuseppe Quirino (Coreno Ausonio - Frosinone), Veronica Vercellone, Cigliano (Vercelli), Rodolfo Vettorello (Milano), Anna Maria Villani (Brindisi).
La Giuria ha infine deliberato di assegnare il 1° Premio Nazionale di Poesia “Da un popolo a una nazione” di € 300,00 alla poetessa Franca Calcabotta Sirica (Monza), per la poesia “Sussurro il tuo nome”, nella quale, come suggerisce il titolo, la poetessa “sussurra” il nome dell’Italia attraverso le vicende leggendarie e storiche della nostra Patria, ma lo fa con un “sussurro” tutt’altro che fievole e fuggevole, caratterizzato com'è da un linguaggio suggestivo nella semplicità delle immagini e incisivo nelle parole appropriate ed evocative.
Il secondo premio di € 200,00 al poeta Alberto Canfora (Roma) per la composizione “Banniera” nella quale commozione e amarezza, ironia e sarcasmo risultano cosí trasparenti e convincenti da rendere superflua la traduzione del dialetto romanesco, dall’autore comunque e doverosamente fornita.
La Giuria infine assegnando il 3° premio di € 100,00 a Veronica Vercellone, alunna di terza media dell’Istituto Comprensivo di Cigliano (Vercelli), per il testo “Pensiero autobiografico” ha inteso riconoscere insieme alla stupefacente facoltà visionaria e di sintesi della ragazza, la straordinaria iniziativa della sua scuola di appartenenza: quella, cioè, della creazione di un progetto didattico di scrittura che, ispirato e organizzato dalle professoresse Francesca Perini, Simona Ravetto e Federica Pegorin, ha coinvolto e impegnato per settimane tutti i ragazzi delle tre classi di scuola media.
La Commissione giudicatrice, poi, a conclusione della seduta, ha voluto esprimere il piú vivo ringraziamento al Sindaco di Coreno Ausonio Domenico Corte, all’Assessore alla cultura Francesco Lavalle e al coordinatore degli eventi Gianfranco Onairda.

  • Autore
  • Amerigo Iannacone
  • Titolo
  • Prefazioni e postfazioni
  • Collana
  • Il Cormorano
  • Pagine
  • 174
  • Anno
  • 2010
  • Prezzo
  • € 16,00

Molte delle cose che ho scritto e delle traduzioni che ho fatto sono andate perdute nel tempo o sono disperse tra le montagne di carte che si accumulano a casa mia. Non sarà stata una grande perdita per l’umanità, ma a me un po’ dispiace ed è anche per questo che ho voluto raccogliere in questo volume le prefazioni e le postfazioni che ho scritto nel corso degli anni. Ne manca solo qualcuna. È annotato quando si tratti di postfazioni, note critiche, quarte di copertine. Se nulla è annotato, si tratta di prefazioni.
Devo precisare che la prefazione a Antonio Giordani è stata scritta insieme a Ida Di Ianni e quella al Dizionario Sampietrese insieme ai coautori Antonietta Perrone e Maurizio Zambardi.
Ho ritenuto di inserire anche le prefazioni ai miei libri Dall’Arno al Tamigi e Sera e l’ata sera e l’introduzione al Piccolo manuale di Esperanto, non per megalomania ma perché vi sono espressi dei concetti che ritengo significativi.

Amerigo Iannacone

  • Autore
  • AA.VV.
  • Titolo
  • Premio Una fiaba per te 2010
  • Collana
  • Premio Una fiaba per te
  • Pagine
  • 116
  • Anno
  • 2010
  • Prezzo
  • € 15,00


Non perdiamo di vista il bello, il giusto, il buono

Il calo dei partecipanti a questa quarta edizione del Concorso “Una fiaba per te”, probabilmente casuale, forse fisiologico (alcuni fedeli concorrenti potrebbero aver esaurito negli anni le cartucce migliori), invita comunque a riflettere: può darsi che il mondo non voglia piú ascoltare favole? Può darsi che troppe se ne debbano sentire da chi invece avrebbe il dovere di parlare concretamente… può darsi che si preferisca ormai parlare chiaro a chi nemmeno ha piú le orecchie per intendere.
Di fiabe, invece, abbiamo ancora bisogno, se è vero che il passato è il fondamento della nostra cultura e quindi della nostra stessa esistenza; e se è vero che la memoria del passato è custodita spesso proprio dalle narrazioni favolistiche, custodi della sapienza popolare di un tempo, alla quale conviene comunque rifarsi per evitare fughe in avanti a sensazione, le quali troppo spesso – è dimostrato – non portano dove avremmo voluto. Nella favola, invece, possiamo trovare una dimensione umana (esaltata di solito nel confronto e nello scontro con l’imprevisto, il magico, il sogno) che ancora ci dà la misura del nostro essere, del nostro stare qui, oggi – ed è con questo che bisogna fare i conti. Perché, per andare avanti, è meglio, è senz’altro piú produttivo sapere da dove si viene, piuttosto che sognare dove si vorrebbe andare (peggio: farsi portare dove ci vorrebbero portare, dove le immagini sono solo immagini e non hanno sostanza dietro, la sostanza che invece nutre le favole, intrise del buon senso di un’intera civiltà).
I lavori presentati quest’anno al Concorso “Una fiaba per te” – malgrado siano apparsi nel complesso meno convincenti rispetto agli anni precedenti – hanno proposto comunque diversi interessanti spunti tematici; costringendo la Giuria ad un attento lavoro di vaglio per decidere come assegnare i premi previsti.
La tendenza all’apologo permane piuttosto forte: parecchi autori si soffermano a ragionare di come potrebbe andare il mondo, proponendo soluzioni moraleggianti. Trova quindi spazio la favola ecologica e fantapolitica, come pure quella – diretta forse piú a lettori in formazione – che invita a cogliere nel mondo circostante l’attiva presenza di creature amiche (e l’intento pedagogico – “de te fabula loquitur”, dicevano gli antichi – è un carattere che va sempre tenuto presente). Il tema dell’amore, della vittoria dei buoni sentimenti sulle difficoltà dell’esistenza, è pure ben presente. Gli animali, come si conviene, sono spesso protagonisti, come i bambini con il loro stupore e le difficoltà di crescere e le prove da superare in un ambiente ostile. In qualche caso, si può cogliere netta la derivazione dai modelli classici, piú o meno assimilati ma necessariamente riproposti proprio perché vi si ritiene espressa una verità sempre valida.
Si avverte in definitiva l’esigenza (e la conseguente ricerca) del bene – e questo è già un indice caratterizzante; ma discutere su come debba intendersi oggi la scrittura favolistica, su quali debbano essere i criteri per valutare di una scrittura narrativa l’elemento fiabesco, sul messaggio che da quella dovrebbe emergere… tutto questo lascia il tempo che trova in simile contesto operativo: nel valutare i lavori pervenuti a concorso, si è inteso riconoscere il valore della scrittura piú che le componenti specifiche del genere (anche se il giudizio della Giuria ha tenuto conto delle qualità linguistico-espressive dei testi pervenuti, ma pure della loro forza di testimonianza, della volontà di schierarsi dalla parte del bello, del giusto, del buono – non è parso poco e tale sforzo soprattutto si è voluto premiare).

Giuseppe Napolitano

  • Autore
  • Amerigo Iannacone
  • Titolo
  • Parole clandestine
  • Collana
  • I Colibrì
  • Pagine
  • 56
  • Anno
  • 2010
  • Prezzo
  • € 8,00

Originale e calzante l’idea di identificare il poeta come il clandestino della parola.
D’altronde in un tessuto sociale transnazionale oramai da tempo immemore monopolizzato, nell’attenzione, dalla produttività, dal consumismo, dall’interesse quotidiano per i costi del petrolio in dollari per barile, dal confronto – quotidiano anch’esso – dei valori monetari delle Borse, da Londra a Hong Kong, da Milano a Tokio, e cosí via, cos’altro può apparire la poesia, se non il grido di disperati, ammucchiati a bordo di un malandato gommone rigonfio di utopie, sballottolato fra le onde alla deriva?
Rari nantes – i poeti – in gurgite vasto.
E basterebbe questa sola suggestiva intuizione posta in esordio di volumetto a legittimarne la pubblicazione. Ma le pagine a seguire non sono da meno. Sfogliandole, ci si imbatte in altre liriche (quarantatré in tutto) dense di motivi esistenziali, che si avverte a lungo rimuginati da una mente avvezza all’autoanalisi. Ed è difficile, molto difficile trovarne una che non sollevi un interrogativo, che non insinui una riflessione. Che non susciti, insomma, un interiore turbamento dai contorni – se si vuole – indefiniti ma bastevoli a scalfire opinioni comuni, a riaprire discorsi interrotti, a ridiscutere quelle che si ritenevano inoppugnabili certezze.
La maturità poetica, che sembrava in Iannacone aver già toccato nelle ultime raccolte il punto di massima espansione, vieppiú s’approfondisce con Parole clandestine, dove ogni parola – appunto – ogni concetto, ogni immagine si affina in un distillato linguistico-espressivo, per trasparenza, essenzialità e “sapore” avvicinabile alla purezza sincera delle grappe.
La veste formale della silloge conferma, nell’autore, l’opzione per un impianto metrico svincolato da schemi tradizionali, o comunque rigidamente prefissati. E tuttavia non rompe i ponti con la poesia buona d’altri tempi, della quale sono tenuti in apprezzabile riguardo tanto la scansione degli ictus – unico antidoto alla sciatteria prosaica – quanto il gioco, gradevole, di assonanze, di consonanze, e – quando capita – della stessa rima.

Aldo Cervo

  • Autore
  • AA.VV.
  • Titolo
  • Premio Una fiaba per te 2009
  • Collana
  • Premio Una fiaba per te
  • Pagine
  • 148
  • Anno
  • 2009
  • Prezzo
  • € 14,00


Partecipare alla creazione di un sogno

«In questi giorni di vetrinette per tutti e serietà per pochi, fa bene accorgersi che la parola scritta ancora vuole (e si prende) i suoi spazi… il concorso merita di avere una seconda edizione ed altre ancora, per offrire nuove possibilità di emozionarsi a chi scrive e a chi legge favole di oggi, a chi ogni tanto sa fare a meno del perenne teatrino delle immagini videotrasmesse e preferisce sognare sulle ali della fantasia, quella piú difficile, quella che le immagini le fa nascere dal gioco delle parole»: cosí nella premessa all’antologia dell’edizione 2007 del Concorso “Una fiaba per te”, organizzato dall’associazione culturale “Ad Flexum” di S. Pietro Infine. Intanto è arrivato il centenario del Futurismo, e sta per arrivare il centenario di una sconsolata affermazione di Umberto Saba: “è tempo che i poeti facciano la poesia onesta”, affermazione ahimé sempre attuale. Insomma, noi che crediamo nelle favole, nella parola che ce le racconta e ci porta (o perfino ci prende) in giro, nella fantasia che non si vergogna di canzonare la realtà perché si possa riflettere su entrambe – e accorgersi di quanto siano “vere” certe invenzioni (e quanto siano fasulli per contro certi modelli che ci offre la realtà dei nostri giorni) – a noi fa piacere che ci siano tanti scrittori i quali hanno voglia di misurarsi con un genere antico, a torto ritenuto solo per bambini…
Dunque, siamo ancora qui: la terza edizione del Concorso “Una fiaba per te” va in archivio con questa pubblicazione dei testi migliori… Ancora una volta, quanta fatica per decidere il migliore, i migliori, per decidere chi eliminare alla fine dalla rosa dei selezionati… Anche se (va detto proprio per onestà) quest’anno è leggermente calato sia il numero dei partecipanti sia il livello medio dei testi pervenuti: non mollate! viene da dire, agli scrittori di storie, a coloro che hanno partecipato alle prime due edizioni e si sono (speriamo solo un po’) seduti a riposare. Il mondo ha bisogno di favole vere, di favole oneste! E quante invece siamo costretti a leggerne, di aspiranti principi e principesse (piú queste, in verità), e di maghi e streghe e orchi e fate che offrono e poi strappano sogni! È un mondo di immagini, il nostro, poco amante di belle parole, delle belle parole che davvero fanno vivere i sogni.
Noi siamo qui ad ascoltare le parole oneste di chi vuole illuderci che il sogno è possibile, noi pensiamo che abbiano ragione coloro che – partecipando a questo concorso – hanno voluto mostrarci un orizzonte,  magari “finto”, oltre la siepe, oltre i confini della realtà, o immediatamente prima di quei confini, dove cioè il reale sta per confondersi con la fantasia ma conserva ancora i connotati del possibile. Vogliamo conservare la speranza che si possa guardare dentro di noi leggendo una storia inventata, che però sappia di noi come siamo, come ci hanno insegnato altri a conoscerci. Vorremmo anche la speranza che le storie raccontate ci parlino di un mondo onesto e vero, dove i buoni sentimenti siano quelli buoni e dove i cattivi abbiano le botte e finiscano in guardina… ma questa sí, questa è una favola che non si può raccontare.
Non è il caso (come pure si sottolineava in quella già citata “premessa” del 2007) di sottilizzare sulle caratteristiche “tecniche” alle quali una “fiaba” dovrebbe rispondere: ci si può contentare, se lo spirito è nuovo, anche di “variazioni sul tema” – comunque interessanti e coinvolgenti. Accontentiamoci allora di “Una fiaba per te” e ringraziamo l’intuizione di Maurizio Zambardi e dei suoi amici di S. Pietro che hanno avuto l’idea di proporre un premio alla fiaba. Nel panorama vastissimo dei concorsi letterari non c’è molto spazio per la narrativa favolistica, e va riconosciuto il merito all’Associazione “Ad Flexum”.
Noi della giuria, abituati per mestiere e per passione a leggere e leggere di tutto, ci saremmo rilassati volentieri nella lettura di testi semplici e discorsivi tipo “c’era una volta”… ma abbiamo trovato improvvise e impreviste aperture liriche, improvvise e impreviste impennate retoriche. Nelle fiabe pervenute a questa terza edizione del Concorso abbiamo colto molte buone capacità espressive e narrative, alcune ardite costruzioni di personaggi e situazioni, perfino qualche ammicco a generi di moda come il “noir” (del tipo “e morirono tutti felici e contenti”) – ma in definitiva abbiamo potuto apprezzare la precisa volontà di partecipare alla creazione di un sogno, quello che vede la parola protagonista, la parola capace di rappresentare e alludere, di far danzare la mente sull’onda di un viaggio oltre i confini del dicibile. E parecchi dei concorrenti hanno toccato questo traguardo – e non è poco.

Giuseppe Napolitano

  • Autore
  • Amerigo Iannacone
  • Titolo
  • Luoghi
  • Collana
  • I Colibrì
  • Pagine
  • 50
  • Anno
  • 2009
  • Prezzo
  • € 6,00

Quasi una dedica

Se non temessi di sembrare presuntuoso sarei tentato di definire questa raccolta di versi la mia geografia poetica. Io non sono mai stato alle Maldive, né alle Hawaii, né a Sharm El Sheik, né in altri luoghi esotici. Conosco poco i posti frequentati dai turisti (e non soltanto perché non me lo consente il magro bilancio familiare, ma anche per scelta). Conosco luoghi appartati e poco noti, luoghi spesso modesti, lontani dai flussi turistici: Caiazzo, Gallinaro, Agnone, Cerro al Volturno, Esperia, Macchiagodena, Tora e Piccilli, e tanti altri piccoli centri, che mi è capitato di frequentare quasi sempre per via di un poeta o di uno scrittore. E su questi luoghi talvolta mi sono sfuggiti dei versi che, se anche probabilmente non raggiungono un alto valore né poetico, né etico né estetico, vanno intesi come un omaggio al paese e agli amici che vi abitano.

Amerigo Iannacone