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  • Autore
  • Amerigo Iannacone
  • Titolo
  • A zonzo nel tempo che fu
  • Collana
  • Perseidi
  • Pagine
  • 112
  • Anno
  • 2016
  • Prezzo
  • € 16,00
  • Isbn
  • 978-88-96028-46-9

Lo struggente ricordo
di un mondo senza cose:
“A zonzo” assieme ad Amerigo Iannacone
“nel tempo che fu”

Amerigo Iannacone ha la sensazione che Leopardi, declamando il “natio borgo selvaggio”, si riferiva a Ceppagna. È la stessa che ho provato io per il mio paese natale, Carpinone. Condivido pienamente la scelta del primo capitolo di questa raccolta, intitolato e dedicato a Ceppagna. E come poteva essere altrimenti? Il vissuto dell’infanzia ci resta nel sangue per tutta la vita. E quando si ha il dono di una scrittura limpida e precisa come quella di Amerigo, accade che A zonzo nel tempo che fu si legge tutto d’un fiato. Pochi tratti, vergati con essenzialità, ci descrivono il carattere dei molisani… dall’ammiria fino alla demmiria.
Lo scrittore di Ceppagna, con stile lapidario, riesce a riportare in vita l’incanto perduto che noi, della generazione postbellica, ci portiamo dentro, abbarbicato ai gangli della nostra infanzia e della nostra adolescenza… come nel Pozzo, quando all’inizio descrive la casa in cui ha abitato fino a nove anni: «Non ci si chiedeva se era bella o brutta: era una casa e tanto bastava». Si vedono riapparire quelle pareti della cucina-centro della casa non spoglie… ma addobbate solo con oggetti essenziali. Ecco la differenza fra le case moderne e quelle della nostra infanzia, quelle della gente semplice come me ed Amerigo: oggi le nostre abitazioni sono grondanti di oggetti, d’una marea di cose inutili. Nel post-guerra, negli anni cinquanta, non mancava nulla di essenziale. L’acqua era scarsa? Allora doveva bastare. Quella del pozzo della famiglia Iannacone bastava tutto l’anno. Poi giunse l’acquedotto. Il pozzo venne distrutto. E pianse. Non era il pozzo a piangere… ma Amerigo che vedeva tramontare una stagione della vita, quell’infanzia che non sarebbe tornata mai piú.
L’essenza di questa carrellata di racconti-ricordi – spesso permeata dell’ironia che appartiene all’Amerigo uomo – sono le radici che diventano valori su cui poggiare una vita intera: e dalle radici salde e definite – che sono il fondamento dell’esistenza di noi molisani – forse è nata qualche nuova speranza. A zonzo nel tempo che fu non è semplice rimembranza, ma rilettura critica di quegli anni, di quel momento storico, in quella terra, il nostro Molise… una rilettura talvolta spietata che non risparmia nulla e nessuno, che getta luce anche sulle ombre della vita paesana, sull’ammiria generata dallo sguardo rivolto più ai fatti degli altri che ai propri.
Il mio vissuto è quello di Amerigo: la nostra infanzia-adolescenza è stata permeata di colori cosí intensi e nitidi, che gran parte della nostra produzione poetica-narrativa ne è stata finora influenzata (e penso continuerà ad esserlo sino alla fine di questa nostra piccola unica irripetibile vita). Mai affiora una sola briciola di malinconica nostalgia o indifferenza; talvolta si effonde lo stupore dinanzi ad un impulso selvaggio come quello di cucinare un gatto… dopo essersi cucito un bottone a lutto per la morte di un altro. Dalle pagine di Amerigo emerge la profonda energia della vita, un’energia custodita nell’asprezza della terra e delle condizioni storico-ambientali in cui erano vissuti i nostri tatoni, i nostri genitori… e in cui siamo nati noi. E gli anni della nostra infanzia sono stati duri, durissimi… ma felici, senza cose, ma a contatto con la natura. La forza armonizzante di questo lungo racconto è la forza dei nostri padri, uomini ancora vivi col loro esempio anche se cenere coi loro corpi: è la persistenza nel tempo del valore di dissodare la terra, di mondarla dalle pietre e dalla gramigna prima di seminarci il grano.
L’Amerigo narratore subisce l’influenza dell’Amerigo poeta: non spreca una sola parola, va dritto al dunque, essenziale, e riesce, in poche pagine, a sprigionare storie complete, intense, bellissime, che non concedono dispersioni retoriche e linguistiche. Pochi gli aggettivi, tipico dei grandi scrittori.
Aleggia, tra le righe, la forza di chi ha dentro la consapevolezza che magari un solo atomo del nostro corpo, una sola sinapsi del nostro cervello… provenga da loro, dai nostri progenitori, dalle antiche glorie dei Pentri – i piú coraggiosi dei Sanniti… quei nostri avi che preferirono essere trucidati, piuttosto che avere piú terre e dividere con Roma la conquista del mondo. Aleggia l’omaggio piú bello che Amerigo abbia fatto al Molise: la sua poesia Terra di silenzi, in cui dice che forse questa non è terra di fiori e nemmeno di frutti, ma solo di radici… che non possono essere recise.
Tutti amano la propria terra, anche quella piú inospitale, anche la piú avara di luce e di bellezza. La terra di Amerigo, la mia terra, il nostro Molise, forse possiede qualcosa di unico. Avevo provato tante volte a dare una spiegazione razionale all’attaccamento viscerale a questo nostro lembo di cuore, senza mai riuscirci. Qualche briciola di verità l’ho scovata in questi racconti, passeggiando nel groviglio di vicoli di Ceppagna, sulla collina brulla, incontrando le donne con la testa piegata sotto il peso del canestro di vimini colmo di roba da vendere (formaggio, ricotta, uova) per poter comprare qualche chilo di pasta o di riso, nel mandarino e nel pugno di fichi secchi che portava la befana, nelle mine della guerra inesplose raccolte per venderle al ferrovecchio… e che qualche volta facevano volare in aria – come a mazz’e piuze – brandelli di vita…
Aleggia, tra le righe, la vera partecipazione ai difetti e al dolore dei suoi paesani, una comunione che illumina queste pagine, il cui riverbero vola verso il lettore… filtrato dal cristallo della scrittura e diventando letteratura vera. Per raccontare un mondo durissimo ma semplice come il nostro Molise, quello di tanti anni fa, occorreva non solo la penna di un grande scrittore, ma soprattutto la sensibilità di un uomo dal cuore grande come quello di Amerigo.

Adriano Petta

  • Autore
  • Donatella Mambrini
  • Titolo
  • Ridi con gli occhi
  • Collana
  • La stanza del poeta
  • Pagine
  • 88
  • Anno
  • 2015
  • Prezzo
  • € 10,00

Un'opera necessaria

«Un’opera contro natura, una di quelle cose che non si dovrebbero fare, eppure è un libro necessario, non soltanto perché così l’hanno sentito gli autori, ma proprio perché doveva esserci, era giusto che il lavoro di una vita fosse degnamente ricordato. E peccato che quella vita sia stata così crudelmente breve, da impedire a quel lavoro di essere apprezzato ancor più di quanto già lo fosse; peccato che sia toccato ad altri, ai genitori, il compito di mettere insieme i cocci e ricostruire una vita precocemente spezzata. Ecco perché è contro natura: tocca ai figli narrare la storia dei padri, non viceversa! Se accade, l’opera di ricostruzione è partico-larmente dolorosa, certo più di quanto lo sia quella di un figlio che racconta le vicende pa-terne».
Così scrivevo, anni fa, quando mi trovai a condividere il dolore degli amici Georges e Nicole (poeti francesi) per la perdita del loro figlio, manifestato in un libro, Le mouvement interrompu, costruito senza retorica e senza lacrime – ma solo apparentemente, poiché il pianto di un genitore per la morte immatura di un figlio non ha bisogno di mostrarsi esteriormente, poiché segna intimamente e si trasmette intimamente.
Quando l’amica Pina Scotti mi ha proposto per la pubblicazione lo scritto della signora Mambrini, ebbi un momento di esitazione: non mi piacciono i racconti, nemmeno proposti in forma poetica, se vogliono solo partecipare un dolore privato e chiedere sollievo al dolore, come direbbe Dante: per aver compagni al duolo.
Lessi quindi con cautela, ma fui subito preso da come il lavoro era composto e presentato. Mi sembrava un dossier, contenendo infatti non solo le pagine materne dedicate al figlio scomparso, ma le lettere e persino gli sms di amici del ragazzo, in primis della fidanzata, e inoltre articoli di giornale ed altre testimonianze. Senza retorica, senza compiacimento per un dolore che doveva rimanere privato, ma era necessario che si facesse dono per chi potesse comprenderne lo strazio.
Ne scaturisce, del povero Francesco strappato dal mare alla vita a soli 27 anni, un ritratto umano e letterario insieme, poiché infine il ragazzo emerge in queste pagine come il personaggio di una storia più grande di lui: diventa figura di sé. Donatella Mambrini, dopo aver dato la vita a un figlio che duramente la sorte le strappa, lo rimette in vita – e senza più il rischio di perderlo – nelle pagine di un libro che ormai le farà compagnia per sempre, tenendola anche vicina a tutti coloro che ebbero amicizia e affetto per quella sua creatura e non ebbero il tempo di curarlo di più.
C’è molta poesia, in definitiva, in queste pagine, ed è perciò che Ridi con gli occhi... è accolto in collana pur essendo un racconto in prosa articolato come un’inchiesta giornalistica. La poesia sta nel cuore di una mamma che ha voluto aprirsi ai lettori e sta certo nel cuore dei lettori che della mamma di Francesco vorranno leggere le parole contro natura che ha dovuto pronunciare per liberarsi, un po’, soltanto un po’, di un peso insostenibile.

Giuseppe Napolitano
settembre 2015

  • Autore
  • Daniel Leuwers
  • Titolo
  • Concerto Questioni d'amore
  • Collana
  • La stanza del poeta
  • Pagine
  • 64
  • Anno
  • 2015
  • Prezzo
  • € 8,00

La concreta visione
Daniel Leuwers tra lezione e azione

Presente più volte nella collana “la stanza del poeta”, nella sua prima serie, Daniel Leuwers apre in questa nuova serie la partecipazione degli autori stranieri – ed è un onore che sia lui (oltre che un piacere, per l’amicizia che ormai ci lega da anni, fin da quando mi fu presentato dagli amici Georges e Nicole): già professore all’Università di Tours e promotore della fortunatissima collezione dei livres pauvres, è una voce importante della poesia francese contemporanea.
Quando mi ha chiesto se potevo provare a tra-durre ancora qualche suo testo, qualcosa che diventasse il (suo) terzo libro italiano, dopo Fausseté du vrai e Malamour, la mia risposta (positiva!) è stata immediata. La poesia di Daniel mi coinvolge, è colta, e sa pure come parlare con parole chiare: la sua peculiarità è comunicare direttamente attingendo a codici riconoscibili: quelli dei sentimenti
Sentimenti però – qui, d’altronde, è la vena che ci accomuna – filtrati, mediati, sempre depurati dalla ratio superiore che domina la scrittura.
Anche la scansione a volte aspra dei suoi versi è sempre poggiata su cardini mobili, eleganti: le sonorità ricorrenti, le rime – mai casuali, pur se appaiono sparse –, sono caratteri forti di una lingua che si snoda e si avvolge intorno all’oggetto descritto. La suggestione delle immagini nasce e si sostanzia dall’evocativa forza della parola. In un verso è presente quindi la cosa (o la sensazione che produce), la percezione di essa, la codificazione e il messaggio che la rende altro da quel che è: la forma poetica è pittura aggiunta alle parole, è colore, è musica e suono.
Daniel Leuwers ha appena compiuto settant’anni, ma crede ancora che la poesia possa aprire percorsi e nuove porte nel mistero dell’esistenza (anche la sua); bisogna però saper “amare ancora” e “amare l’amore”, come lui dice, bisogna saper “carezzare le tue piaghe per nascondere le mie”... La poesia è dono e ricerca insieme, è “voce profonda” e “luce particolare” che si fanno “chiaro cammino” oltre l’oscurità dei giorni. La poesia è sconfitta della solitudine ed è “mistero totale” che va penetrato con lo slancio di un nuovo sentimento al quale affidiamo convinti l’ipotesi di un cambiamento.
Questo Concerto di Daniel Leuwers si compone di tre momenti, tre poemetti a loro volta articolati in sezioni (e i numeri sembrano avere un ruolo importante nella composizione di queste suites liriche: “Trios” è formato da tre parti di tre strofe; mentre i “Quatuors” sono sempre divisi in tre, ma con quattro strofe per parte). Come d’abitudine, la vena dominante è quella erotica, appena sfiorata a volte, altrove più evidente, comunque delicata (e allusiva, certo memore di esemplari letture) nel mostrarsi e nell’esprimersi, nello schiudere paesaggi mentali che si sospendono al sogno.

***

Che in un anno questa nuova serie della “stanza” abbia raggiunto le dieci pubblicazioni è un segno di fiducia: autori affermati e giovani esordienti si fidano dell’etichetta che li accoglie. E l’etichetta si fida di loro poiché è proprio nella filosofia della collana ospitare voci nuove e promuoverne la conoscenza presso un pubblico, forse non vasto ma competente e appassionato, che difficilmente certi autori giovani e poco noti potrebbero raggiungere. Che ci siano anche qui (com’era accaduto nella vecchia “stanza”) entrambi i miei genitori è un omaggio e un augurio, a loro e a me.

Giuseppe Napolitano
settembre 2015

  • Autore
  • Giuseppe Ernesto Segreto
  • Titolo
  • Il ballo della vita
  • Collana
  • La stanza del poeta
  • Pagine
  • 96
  • Anno
  • 2015
  • Prezzo
  • € 10,00

«Ci sono storie che non possono avvenire dinanzi agli occhi di tanta gente, e credo che la mia storia faccia parte di questa ristretta cerchia». Con queste parole l’autore introduce il suo racconto, fornendo già la chiave di lettura della sua opera; essa narra una storia particolare, caratterizzata dalla descrizione di sentimenti profondi e impalpabili, e per ciò stesso inadatta alle grandi platee, anzi assolutamente intima e riservata.
Una storia dove emerge il profilo umano ed emotivo di un ragazzo di 23 anni, con tutti i tur-bamenti, gli entusiasmi e le paure della sua gio-vane età, ma dove gli spunti di riflessione sulla vita e sul suo significato sono numerosi e profondi, rivelando una capacità non comune di leggere l’animo umano ed i sentimenti che in esso albergano. Il primo, il piú importante, è l’amore, che costituisce l’elemento guida di tutta la narrazione, preparato da una vicenda che trova il suo acme nell’incontro con Margherita, la donna per eccellenza, simbolo di un eterno femminino che ricorda l’irraggiungibile Micòl, emblematico personaggio creato da Giorgio Bassani ne Il giar-dino dei Finzi-Contini.
L’amore per la bellissima Margherita, però, non esaurisce il significato del racconto, ma sembra a volte solo il pretesto per andare oltre, per scendere sempre piú nel profondo dell’animo umano o salire al di là di ciò che vediamo con gli occhi razionali della mente, in una dimensione surreale, onirica, dove trovano voce e luogo i fantasmi del nostro cuore, angeli o demoni che siano. Il passaggio continuo, a volte repentino, tra la quotidianità “normale” e il sogno, che spesso appare come una voragine che inghiotte il protagonista per condurlo attraverso fiabeschi giardini incantati o palazzi tenebrosi con labirinti angoscianti, è lo strumento narrativo di cui l’a-utore si serve per dare voce al flusso ininterrotto di razionale ed irrazionale che si avvicendano senza sosta nel nostro animo, flusso che si concretizza in immagini che evocano atmosfere a volte barocche e a volte gotiche.
Non solo romanzo d’amore, dunque, ma viaggio nell’animo umano, ricco di spunti di riflessione e condotto attraverso l’esperienza di un ragazzo qualunque, che, pur immerso nel suo mondo e nella vita forse troppo veloce dei giovani di oggi, non ha rinunciato al piacere di fermarsi per riflettere. Un racconto originale, scritto con garbo, che riesce ad avvincere il lettore sin dall’inizio, conducendolo con leggerezza ad un epilogo per nulla scontato, dove Margherita svela finalmente la sua natura di simbolo universale.

Sabrina Mazzeo

  • Autore
  • Rita De Magistris
  • Titolo
  • Uno spicchio di sole
  • Collana
  • La stanza del poeta
  • Pagine
  • 64
  • Anno
  • 2015
  • Prezzo
  • € 8,00

Spicchio di sole spacca le nubi

Ormai ha solo l’imbarazzo della scelta, come si dice in questi casi: Rossella de Magistris ha scritto per anni e ha conservato tutto, in vista di un giorno che la convincesse a proporsi come autrice, che la po-nesse – edita e disponibile alla lettura – nel mirino di chi ancora alla poesia attribuisce un ruolo, letterario non solo ma umano. Prima ancora che essere poetessa, lei è infatti umanissima creatura che si offre nelle facce che il tempo le ha dato: co-minciando a sistemare le decine e decine di poesie raccolte nello scorrere della sua esistenza, Rossella ha deciso infatti di mostrarsi come donna, ricca di sé, del suo vivere stesso, della tenace volontà di vivere. E dirsi, certo, poiché scrivendo sapeva bene che prima o poi qualcuno avrebbe letto e scoperto, magari compreso, forse condiviso... la funzione del fare poesia è quella di partecipare e mettersi in comunione.
Il regalo di queste quarantanove poesie è dunque appena un inizio, un primo sorso di vita vissuta e custodita sulla carta. Rossella ha selezionato e ordinato – senza troppo rigore, sembra, ma con la ferma convinzione di rendere manifesta una sua via, nella quale ha percorso i gradini non sempre agevoli del suo andare, costruendo e sperando, aspettando e risolvendo, spesso anche subendo lo schiaffo del tempo e della sorte, l’incomprensione e la delusione degli uomini. Ma comunque avanti, non è tipo da fer-marsi sugli ostacoli: capace anzi di procedere pur nelle difficoltà e nelle intemperie, cui la vita ci spinge contro, anche inconsapevolmente – ma ineluttabile.
Asprezza di toni e leziosità lessicali, durezza di forme, insistite ellissi: la vena lirica qui oscilla tra varie lezioni espressive, ma il tono generale è co-stante, essendo costante l’attenzione che Rossella de Magistris ha posto alle cose della vita, ai sentimenti del prossimo, abituata a tenersi dentro le osservazioni anche se sulla carta si assicurava che rimanessero a futura memoria, anche sua. E poi, adesso che la vita le pare pronta ad una svolta, rinnova il suo patto con il mondo, facendo i conti col passato e dunque catalizzando il brutto e il bello del suo vissuto.
Incastonati nel fluire di immagini e sensazioni, certi versi isolati valgono la bellezza di questo libro: l’autrice si fa qualche volta prendere dal pathos dell’esistenza e ne risente l’armonia di qualche testo – o è da pensare che voglia proporsi proprio come ella stessa sente l’accartocciarsi della foglia esistenziale... Non ha pudore proprio perché non ha più paura di sé. Per evitare che «L’intera vita [sia] pagine scritte, / ma non su scaffale posate, / bensì al fuoco consegnate», bisogna imparare a riconoscerla come una «Giostra senza posa [che] gira come vortice»: l’artificio poetico coglie momenti che si susseguono senza posa e ne registra – spontanea adesione – il valore di e-sempio.
Perciò emergono – segnacoli imprescindibili nel-l’itinerario insieme umano e artistico – i ricordi della paziente tessitura (e delle smagliature, confessate anch’esse) di una complessa femminilità. Così, come uno «Spicchio di sole spacca le nubi», sgorga dal-l’animo afflitto una parola che consola, che riapre e slarga e invita a percorrere di nuovo un sentiero dimenticato, una via sbagliata, una porta troppo a lungo rimasta chiusa. Ecco perché “Cerco” (uno dei testi più belli di questo libro) diventa un modo di essere, un desiderio di andare oltre, di non contentarsi al quia – direbbe Dante: bisogna cercare con la speranza non solo di trovare, ma perché nel cercare stesso è il trovare, la capacità di leggere nelle cose e scor-gervi presenze e significati.
La poesia di Rossella de Magistris, “Gabbiana stanca” che spinge “solinghi pensieri” verso oriz-zonti di sogno, è un bacio di sole, una lacrima di pioggia, un sorriso di alba nuova. Nella parola poetica, l’anima («or nuda a meraviglia») si quieta e il dolore del giorno appare cristallizzato e sopportabile: non è più un “pozzo”, l’animo, in cui celare i pensieri del male; è invece una “risposta condivisa” a chi sia capace, pronto, responsabile, al lettore cui si rivolge infine la musica soave di un palpito e da cui si aspetta però uguale forza d’animo nel decifrare i segni di un sentire comune.
Intanto, sfogliando le pagine che sono il dono di queste poesie, possiamo essere certi che Rossella non ci lascerà: pegno di amicizia, ci offre stille di sua vita – genuine passioni di donna che subisce il fascino della parola poetica più di quanto voglia dominarla forzandone i sensi –, soffre nell’offrirsi scoperta delle difese dietro cui non vuole più difendersi, e vive con noi per essere la vita che vuole. Ci darà ancora notizie di sé, ci vorrà ancora con sé, ci chiamerà a leggere altri quaderni del suo diario, a sfogliare altre pagine del suo grande cuore – e saranno scintille che accenderanno il nostro.

settembre 2015
Giuseppe napolitano

  • Autore
  • Lina Rotunno
  • Titolo
  • La maestra Napolitano
  • Collana
  • La stanza del poeta
  • Pagine
  • 128
  • Anno
  • 2015
  • Prezzo
  • € 8,00

Invito alla lettura

Laggiù dov’è Mogador (tu cantavi) – e qui
ambasciatori di parola siamo insieme
come avresti voluto (perché basta
volersi bene – dicevi – a stare insieme)


Si fa maestra la rossa Marrakech
di umanità con l’augurio che si possa
volersi bene almeno fra poeti
                                             – e poi
comunicare a chi ci ascolta un sentimento
di bontà (dedizione a chi ha bisogno
delle nostre parole regalate
a piene mani – maestra disponibile)


e di amore quello vero che non chiede
in cambio nulla – l’amore di una mamma
più che maestra per i suoi alunni.

Scritta a Marrakech, lo scorso aprile, in occasione della nostra partecipazione (io e Irene, insieme) al Festival internazionale di Poesia – invitati dall’amica Dalila Hiaoui –, questa riflessione lirica dedicata a mia madre era intenzionalmente preparata per aprire la pubblicazione delle sue pagine scelte, a cele-brazione dei cento anni dalla sua nascita.
Ho dedicato gran parte dello scorso 2014 a ricordare mio padre a cento anni dalla sua nascita – ora sento pure di dover fare almeno una cosa per la mamma. Già pubblicai, in due versioni, una scelta delle sue poesie (strappate a una decina di quaderni). Per questo centenario mi sono messo davanti le numerose agende in cui ha annotato quasi quotidianamente pensieri e sofferenze, e i diversi quaderni che usava per scrivere le sue pagine scolastiche.
Non le piacevano molto sussidiari e libri di lettura. che pur doveva far adottare ai suoi alunni di scuola elementare: preferiva scrivere personalmente i brani da far leggere e studiare... In particolare, a Natale o per la festa della mamma, il 2 o il 4 novembre, in tempo di carnevale o alla fine dell’anno scolastico, ogni occasione insomma era buona per comporre un suo brano e proporlo alla scolaresca.
Ho trascritto senza cambiare nulla. Tra parentesi quadre, alcune incertezze di costruzione, e qualche variante da lei stessa proposta. A posteriori, un po’ mi ha sorpreso, nelle pagine scolastiche, il frequente richiamo al Signore, certo ad uso di una pedagogia (quarant’anni fa, e più) rivolta comunque ad uno standard “ministeriale” che prevedeva – ideologie personali e convinzioni religiose a parte – che il maestro delle elementari impartisse anche i fondamenti della religione. Ma il Signore di mia madre abitava con lei, direi dentro di lei.
Insieme alle pagine di scuola, però, e a quelle più personali, di riflessione sulla propria natura e sulla vita in tempo di guerra, non ho resistito alla tentazione di proporre anche una – ridotta – scelta di poesie, fra le tante non pubblicate nei libri usciti a un anno e a dieci anni dalla morte: Strappi d’anima (Edizioni Eva, 1998) e Stracci d’anima (la stanza del poeta, 2007): completano, mi pare, il suo ritratto di maestra – perché sempre nella sua vita mia madre lo fu, operaia convinta in una grande fabbrica di uomini quale riteneva dovesse essere la scuola, ed anche fuori della scuola, poiché per lei un uomo degno di questo nome lo è nello spirito produttivo di bene per il prossimo.

Giuseppe napolitano
settembre 2015

  • Autore
  • Giuseppina Scotti
  • Titolo
  • I porti dell'anima
  • Collana
  • La stanza del poeta
  • Pagine
  • 48
  • Anno
  • 2015
  • Prezzo
  • € 8,00


Non l’ha fatto a caso, Giuseppina Scotti (niente succede per caso, in poesia), non ha costruito a caso questa esile raccolta di testi, dando ad essi, a tutti, un titolo morfologi-camente equivalente e disponendoli nell’ordi-ne alfabetico, appunto, dei titoli... Ora possiamo chiederci perché e cercare una chiave logica, oppure seguire il percorso poetico che la poetessa ci offre, facendoci semplicemente guidare sulla strada che ha scelto di percorrere alla ricerca – sembra – di una sua “verità” (ed è il titolo dell’ultimo testo). Una verità che potrebbe poi essere condivisibile, certo, ma è e deve restare la sua proposta, il suo gioco esistenziale.
Manca però la “bontà”, all’inizio, che avrebbe degnamente aperto la silloge – e chi conosce l’autrice, la sua disponibilità e la sua dedizione al mondo dell’arte, sa che è una delle sue più vive qualità. Come lo è del poeta che, se non è buono, non sa darsi, e la poesia è dono.
Si leggono, navigando per questi porti dell’anima, strani accostamenti e addirittura illuminanti coppie di titoli (tanto per rimanere ad esaminare la struttura dell’esile libro, comunque denso, malgrado la scarna offerta): sarà sempre un caso che ci siano affiancate “Felicità” e “Fragilità”, “Incredulità” e “Irrealtà”, “Vacuità” e “Verità”? Dobbiamo pensare che per caso l’iniziale “Complessità” vada a sfociare nella “Verità” finale?
Conoscere Giuseppina Scotti da tanto tem-po (ci incontrammo a Norcia, in una cornice poetica e mistica che subito ci fece amici e confidenti) e ritrovarla, ri-conoscerla in que-ste poesie, è il sigillo della certezza che non muta verso: con lei si va dritti al cuore, sem-pre, in un abbraccio di freschezza e bel-lezza, poiché bella e fresca è sempre la sua maniera di esprimersi.
Della poesia di Pina so tutto; nel tempo ne ho scritto e parlato, presentando alcuni dei suoi libri... il bello di questa nostra amicizia è nell’essersi mantenuta curiosa di noi, nell’aver conservato, nei lunghi anni che passano e pure ci spingono a porti diversi, la voglia di sapere le nostre cose e scambiarcene le impressioni poetiche avute in sorte.
I porti dell’anima sono quelli in cui la vita ci sospinge, a volte facendoci sbattere sul molo, incauti o distratti, a volte fortunati se ci attende un amico o un’anima buona con una lanterna nella notte buia...
Un “ciottolo lanciato a perdersi nel vuoto” è l’avventura del vivere (in “Felicità”), un dado che non smette di volteggiare facendoci ansiosi di conoscere il verdetto: la poesia scruta oltre il nostro sguardo quotidiano e vaga in cerca di approdi in cui rifugiarci.
Il dubbio è in fondo la vita stessa (come dice Pina, in “Spiritualità”): non c’è bisogno di scomodare i filosofi, ma è proprio la capacità di farsi domande sull’esistere che ce lo rende amico, e il poeta è anche capace di darsi risposte, di vincere quel dubbio e conquistare una sua ragione, una dimensione in qualche misura soddisfacente.
Se si volesse evidenziare qualche tema, le molle che spingono l’arte in versi di Giuseppina Scotti, qui troveremmo un intimo scatto, “in impeto di sentimento costruito dal nulla” (“Nullità”), verso un cielo più puro, un bene più raccolto, “in nudità d’anima immersa in pensiero divino” – per festeggiare una ricorrenza anagrafica importante (non si dice l’età di una donna, ma di un poeta sì), non si poteva fare un regalo più importante: questa silloge di versi è uno dei vertici nella produzione poetica di Pina, e avermela affidata per questa nuova collana della stanza del poeta è ancora un segno forte della nostra amicizia, del quale la ringrazio, augurando a lei un sereno anno e ai lettori di cogliere insieme a lei la tangibile manifestazione della sua generosa interpretazione dell’essere donna e poeta.

Giuseppe Napolitano
20 maggio 2015

  • Titolo
  • Coscienza:
    già e non ancora
  • Autore
  • Salvatore Rinaldi
  • Pagine
  • 148
  • Anno
  • 2015
  • Prezzo
  • € 14,00
  • Isbn
  • 978-88-97930-40-2


Siamo lieti di ospitare nella collana IBIS, di psicologia e neuroscienze, il saggio del Prof. Salvatore Ri-naldi sul tema della coscienza.
Il nome del Professore non ci era estraneo per i suoi studi antropologici sulle culture degli Zingari Rom e per i numerosi interventi su argomenti di bioetica, disciplina nella quale il Professore può vantare anche un Dottorato di Ricerca.
Ma Rinaldi – anche se avvezzo a muoversi in vari ambiti del sapere – è soprattutto una persona di fede cristiana ed un sacerdote, quindi è naturale che abbia voluto dare al presente lavoro un taglio decisamente teologico.
A nostro avviso principalmente due sono i punti di riferimento che orientano tutto il saggio: la Sacra Scrittura – a cominciare dalla dottrina dell’apostolo Paolo – ed i documenti del magistero cattolico. Riecheggia infatti l’insegnamento della Gaudium et Spes, la poderosa costituzione pastorale attraverso cui il Concilio Vaticano II seppe parlare di speranza alla nostra confusa e scoraggiata contemporaneità.
Quindi lo scritto di Rinaldi (la cui prima stesura risale ad oltre 20 anni or sono), sia pure nella sua brevità ed essenzialità, si pone come prezioso completamento alla miriade di studi sulla coscienza che, a partire dagli anni ’50, hanno invaso le riviste scientifiche e filosofiche.
L’argomento “coscienza” è indagato da secoli, anche se nell’accezione “moderna” ne fa specifico oggetto di riflessione (forse per primo) il filosofo tedesco Gottfried Wilhelm Leibniz, nella seconda metà del 1600. Dobbiamo però attendere l’avvento delle discipline che studiano il cervello, anatomicamente considerato, perché il tema della coscienza divenga interessante per quei “figli dell’Illuminismo” che avrebbero poi dato forma al concetto di scienza che utilizziamo oggi. È il neurofisiologo Carl Wernicke, sul calare del XIX secolo (1874), che tenta una localizzazione cerebrale della “funzione” della coscienza, considerandola in stretta relazione con la possibilità del soggetto di avere dialogo interiore.
Se per Wernicke la coscienza è dunque una sorta di meccanismo fisiologico addirittura rapportabile ad un’area specifica della corteccia dell’encefalo – ed in quanto tale assimilabile ad una funzione d’organo – per lo psicologo Wilhelm Max Wundt, connazionale e contemporaneo di Wernicke, è qualcosa di assai piú complesso, «premessa di ogni esperienza interiore» (è sempre il 1874 – anno in cui Wernicke pubblica gli studi sulle aree cerebrali), né circoscrivibile, né commensurabile.
Procedendo da queste due posizioni, lungo il corso del XX secolo, si configurano le grandi correnti di pensiero che disserteranno sulla coscienza: alla visione di Wernicke si ispirano gli studi che tentano di analizzare la coscienza attraverso tecniche di indagine bioelettrico-funzionale, a partire dalle ricerche del ’29 di Hans Berger, l’inventore dell’EEG (elettroencefalogramma), fino ad arrivare alle moderne apparecchiature per la neuro-imaging funzionale, quali la PET (tomografia ad emissione di positroni) e la SPET (tomoscintigrafia cerebrale ad emissione di singolo fotone) che consentono addirittura di fotografare di stati di coscienza “in movimento”.
Con la posizione di Wilhelm Max Wundt si coniugano invece quelle interpretazioni fenomenologico/fi-losofiche per le quali la coscienza è qualcosa che trascende la mera materialità neuroanatomica. Citiamo solo alcuni nomi: Karl Jaspers, Edmund Husserl, Maurice Merleau-Ponty, Martin Heidegger, Gerard Edelman, che considerano la coscienza assai piú di una funzione, senza necessariamente aprirsi a scenari spiritualisti o addirittura metafisici.
Da oltre 50 anni gli scienziati piú attenti hanno comunque cercato di superare la dicotomia organicismo sí, organicismo no, per aprirsi alla prospettiva di una complessità mirante all’integrazione di diverse branche del sapere – come il congresso internazionale di Boston sulle neuroscienze cognitive, del 1956, ebbe a dimostrare: ricordiamo i lavori di George Armitage Miller, Noam Chomsky (che nel 2005 ha ricevuto la Laurea Honoris Causa in Psicologia all’Università di Bologna), Hilary Putnam, Jerome Bruner. Ancora ne fu prova l’attività della rivista Journal of Cognitive Neuroscience – emanazione del congresso – che ospitò, sul tema della coscienza, contributi tanto di noti neurologi, quanto di celebri filosofi.
Ormai gli studi sulla coscienza non sono piú appannaggio di un’unica categoria di specialisti, ma necessitano di un poderoso sforzo di collaborazione interdisciplinare. In questo panorama, che sempre piú tende ad allargarsi, trovano, a pieno titolo, diritto di cittadinanza le discipline morali, cioè quelle che indagano la relazione tra coscienza e coscienza etica, ed è propriamente in tale contesto che si inserisce il saggio di Salvatore Rinaldi.
Potremmo dire che la dimensione etica è una funzione della coscienza? Forse sí, almeno se utilizziamo con una certa elasticità la parola “funzione”. La lingua tedesca – sempre piú preoccupata della nostra circa il rischio di confusione dei significati – preferisce usare due diversi termini per definire la coscienza in senso lato e la coscienza morale: nel primo caso usa l’espressione Bewusstsein e nel secondo la parola Gewissen, intendendo quell’insieme di processi, sia a livello cognitivo che emozionale, che stanno alla base della formazione della misteriosa voce interiore che, dalla notte dei tempi, guida le azioni degli uomini e con esse i loro destini… Ma qui ci fermiamo, altrimenti entreremmo nel territorio del Prof. Rinaldi, al quale invece è d’uopo che cediamo la parola.

Forlí, 16 marzo 2014
Gianni Tadolini

  • Autore
  • Laura Schioppa
  • Titolo
  • Fragmenta
  • Collana
  • La stanza del poeta
  • Pagine
  • 88
  • Anno
  • 2015
  • Prezzo
  • € 8,00


Una giovinezza da vivere insieme

ERANO I CAPEI d’oro a l’aura sparsi...
Citare Petrarca, quando si ha a che fare con la poesia di una donna che si chiama Laura, potrebbe addirittura sembrare ov-vio, forse banale... Ma (a parte la sugge-stione dei capelli biondi) il pensiero corre spontaneo a quei versi, a quelle parole, a quell’angelico seno e alle chiare fresche acque, dopo aver letto le poesie di Laura Schioppa... e desidera, il pensiero, confermarsi nell’idea che una poesia giovane ma attenta, personale ma leggibile, una poesia di oggi che non abbia dimenticato come si scrive, sia ancora possibile – e benvenuta.
Benvenuta, quindi, la poesia di questo piccolo libro, il terzo nella nuova serie della “stanza”, e ancora di una poetessa molisana, dopo Antonella Sozio.
È ancora giovane, troppo giovane, la nostra Laura, per volersi frammentare – come allude il titolo di questo suo (secon-do) libro – e donarsi a chi abbia non sol-tanto le orecchie per intendere, ma l’animo ben disposto a condividere. Detto che non è all’esordio, va pur detto – perché non sempre accade – che Laura sta lavorando con passione su di sé e sulle sue qualità espressive: anche questo le fa onore, nell’a-rengo difficile ove è scesa a misurarsi. Forse qualcosa ancora va regi-strata, ma si può essere certi, conoscendone ormai la volontà e l’onestà nel proporsi, che presto si avranno altri frutti da questa sua passione che cresce e matura.
Dall’incipit di «Viviamo di incertezze / e paure» si arriva facilmente ad afferma-zioni apodittiche, come «È un soffio la felicità»... Qui si può seguire un itinerario, scandito del resto nelle tre sezioni del libro (e la seconda è a due voci, a rafforzare l’idea di un darsi e l’attesa di una risposta per darsi ancora), un percorso che porta a conoscere, mentre l’autrice stessa si conosce.
Ed è lei stessa che dice, presentandosi:
La poesia è fatta così, è indomabile.
Del mio essere, sono tre gli elementi e la mia fine, in senso di violazione a cui ogni resistenza è vana al possesso; mi posseggono quando la vita punge con la sua dolcezza, forza, dolore:
Natura, madre-mondo, indole prepo-tente [natura cioè nel senso più ampio del suo essere: natura concreta che mi contorna, natura umana di chi mi circonda, e natura personale che mi controlla].
Amore, custode impietoso.
Mare, mio segreto amante.
In questi tre elementi è dunque l’unione della mia fine che in me è principio: tre “FRAGMENTA” di me.

Lasciamoci sedurre: Laura non ci porta dove non sappiamo, ma è stimolante an-darci con lei, con la sua serenità (mal-grado non manchino qui i momenti di aspra riflessione sui mali del mondo e sulla cattiveria dell’uomo). Lasciamoci prendere dal gioco sottile delle sue suggestioni, anche se è chiaro che si tratta di sogni destinati all’alba veritiera...
Con Laura ci ritroviamo a leggere le pagine di formazione di un cuore (e di una mente, certo, la mente ha la sua parte portante, qui) e ce ne facciamo testimoni a tutela di una serietà che convince e coinvolge: la giovane autrice di questo libro, nel frammentarsi per noi, poca voglia ha di scherzare, mettendoci anzi in gioco insieme a lei alla scoperta di un tutto che ci appartiene.

Giuseppe Napolitano

  • Titolo
  • Racconti di paese
  • Autore
  • Lino Di Stefano
  • Collana
  • Perseidi
  • Pagine
  • 88
  • Anno
  • 2015
  • Prezzo
  • € 10,00


Premessa dell’autore

Dopo i tre libri di racconti – Racconti d’una volta (1980), Racconti molisani (1987) e Storie Kalenesi (2001) – ecco un’altra raccolta piú breve volutamente intitolata Racconti di paese perché le storie si svolgono quasi tutte in un centro abitato del Centro-sud o s’ispirano a momenti che hanno come motivi d’interesse il medesimo luogo.
E si tratta, nella fattispecie, di personaggi e di ambienti profondamente cambiati o scomparsi, travolti, come sono stati, dall’inarrestabile dinamismo della società contemporanea che tutto travolge – storia, consuetudini, tradizioni, dialetti, usi e costumi – verso l’ignoto.
Chi manda piú, ad esempio, un pacco dall’America ai propri congiunti?
Eppure, nell’immediato dopoguerra questo pacco – che quasi sempre arrivava a destinazione assai alleggerito delle cose migliori – rappresentò per la gente piú indigente un aiuto per sopravvivere, considerate le condizioni economiche della stragrande maggioranza delle persone dei paesi, grandi e piccoli.
Oppure, chi si reca, oggi, in America, settentrionale o meridionale, in cerca di fortuna, o in altri paesi europei ed extra-europei? Ancora, dove trovare, al giorno d’oggi, quelle persone che diventavano dei veri e propri personaggi per le spiccate attitudini umane, professionali, umoristiche ed anche comiche rappresentanti la ricchezza dei borghi nel cui ambito si esauriva l’intera loro umana esistenza?
Esistenza fatta anche di sapienza popolare visto l’inesauribile bagaglio della loro semplice e modesta cultura costituita da proverbi, soprattutto, da massime, da modi di dire, da motti e da detti arguti che tanta ammirazione suscitavano negli amici, nei conoscenti e nei parenti. Tutto ciò, è ormai scomparso e solo in qualche piccolo insediamento umano è possibile rinvenire sporadici personaggi di tale fatta.
Rammentare tali situazioni non sembra inopportuno al cospetto di un mondo quasi interamente proiettato verso un futuro carico di incognite e denso di inquietudini.

Frosinone, 2015